Società

I patti parasociali nelle società a controllo pubblico pluripartecipate

La qualificazione della società a controllo pubblico nei casi di partecipazione da parte di una pluralità di Pubbliche Amministrazioni, nessuna delle quali, tuttavia, singolarmente detentrice di una quota maggioritaria del capitale sociale, è risultata - in sede applicativa - foriera di incertezze a livello interpretativo

di Rossana Mininno

La qualificazione della società a controllo pubblico nei casi di partecipazione da parte di una pluralità di Pubbliche Amministrazioni, nessuna delle quali, tuttavia, singolarmente detentrice di una quota maggioritaria del capitale sociale, è risultata - in sede applicativa - foriera di incertezze a livello interpretativo.

Incertezze che hanno riguardato, segnatamente, il dubbio circa l'imprescindibilità, al fine dell'affermazione del controllo pubblico c.d. congiunto, del ricorso a forme di coordinamento funzionali all'esercizio del controllo, discendenti da norme di legge o statutarie oppure attuate mediante patti parasociali idonei a determinare l'orientamento delle scelte strategiche della società.

• I PATTI PARASOCIALI

Il codice civile dedica ai patti parasociali gli articoli 2341 bis e 2341 ter, introdotti in occasione della riforma del diritto societario (cfr. decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 6, recante "Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366").

Le disposizioni codicistiche, tuttavia, non forniscono una definizione di patto parasociale, avendo il legislatore della riforma optato per l'elencazione dei patti ritenuti rilevanti e per la regolamentazione soltanto di alcuni aspetti, quali, in particolare, gli obblighi pubblicitari, i limiti di durata e il diritto di recesso.

Secondo la definizione elaborata dai Giudici di legittimità, i patti parasociali «sono convenzioni con cui i soci od alcuni di essi attuano un regolamento di rapporti - non opponibile alla società - difforme o complementare rispetto a quello previsto dall'atto costitutivo o dallo statuto della società stessa» ( Cass. civ., Sez. I, 23 aprile 1969, n. 1290 ).

Quanto ai soggetti aderenti i patti parasociali «possono essere stipulati non solo tra soci ma anche tra soci e terzi» ( Cass. civ., Sez. I, 18 luglio 2007, n. 15963 ).

L'elemento qualificante del patto parasociale è costituito dalla distinzione rispetto al contratto di società, trattandosi di accordo stipulato dai soci al di fuori dell'atto costitutivo, la cui «funzione tipica […] è quella di stabilire in anticipo un indirizzo unitario all'organizzazione sociale, quale strumento di razionalizzazione e stabilizzazione del governo societario» ( Cass. civ., Sez. I, 23 novembre 2021, n. 36092 ).

Il vincolo che discende da tali accordi «opera, pertanto, su di un terreno esterno a quello dell'organizzazione sociale (dal che, appunto, il loro carattere "parasociale" e, conseguentemente, l'esclusione della relativa invalidità "ipso facto" )» ( Cass. civ., Sez. I, 23 novembre 2001, n. 14865 ), non producendo il patto parasociale alcuna efficacia «nei confronti della società, né di eventuali altri soggetti (amministratori, sindaci, ma anche revisori, dipendenti, ecc.)» (Cass. 36092/2021 cit.).

Inoltre, «trattandosi di un ordinario contratto fra i soggetti che l'hanno concluso, il patto può essere modificato con il consenso unanime (art. 1372, comma 1, cod. civ.) o, comunque, secondo le regole previste nel patto sinadacale-quadro, che resta distinto dal "piano sociale" » (Cass. 36092/2021 cit.).

Nella prassi si sono sviluppate molteplici tipologie di patti parasociali, la cui varietà non ne consente «la riconduzione ad uno schema tipico unitario» (Cass. n. 14865/2001 cit.).

Tra quelli più diffusi sono annoverabili il sindacato di voto, il sindacato di blocco e il sindacato di gestione o di controllo.

Il sindacato di voto è un «accordo tra i soci che vi partecipano al fine […] dell'assunzione preventiva delle decisioni concernenti la vita sociale, tali da rendere più organizzata e fluida l'adozione delle successive deliberazioni ad opera dell'assemblea dei soci, organo destinato a provvedervi» (Cass. n. 36092/2021 cit.).

Ontologicamente diversi dai sindacati di voto sono i patti di consultazione, accordi mediante i quali i soci si impegnano a discutere le materie oggetto di voto in sede assembleare e a confrontarsi prima della relativa votazione, senza, tuttavia, assumere impegni circa le modalità di esercizio del diritto di voto (cfr. articolo 122 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 ).

Per sindacato di blocco si intende l'accordo mediante il quale i soci si impegnano a non vendere a terzi le loro quote di partecipazione al fine di mantenere omogenea la compagine sociale. Precipuo obiettivo di tale tipologia di sindacato è quello di conferire stabilità all'assetto proprietario, impedendo l'uscita dei soci o l'ingresso di estranei in qualità di soci.

Il sindacato di gestione (o di controllo) è il patto finalizzato all'esercizio, anche congiunto, di un'influenza dominante.

I patti parasociali spiegano i propri effetti esclusivamente tra i soci sindacati e non anche nei confronti della società.

Come chiarito dai Giudici di legittimità, si tratta di « accordi atipici volti a disciplinare, tra i soci contraenti ed in via meramente obbligatoria, con conseguenze meramente risarcitorie, i rapporti interni fra di essi; il vincolo che ne discende opera, pertanto, su di un terreno esterno a quello dell'organizzazione sociale, sicché non è legittimamente predicabile, al riguardo, né la circostanza che al socio stipulante sia impedito di determinarsi autonomamente all'esercizio del voto in assemblea, né quella che il patto stesso ponga in discussione il corretto funzionamento dell'organo assembleare o la formazione del capitale» ( Cass. civ., Sez. I, 5 marzo 2008, n. 5963 ).

In altri termini, essendo i patti parasociali «vincolanti esclusivamente tra le parti contraenti» (Cass. n. 15963/2007 cit.), al socio « non è impedito di scegliere il non rispetto del patto di sindacato ogni qualvolta l'interesse ad un certo esito della votazione assembleare o proprio atto negoziale prevalga sul rischio di dover rispondere dell'inadempimento del patto» (Cass. n. 5963/2008 cit.).

La violazione del patto comporta unicamente l'insorgere, a carico del socio sindacato resosi inadempiente, di un'obbligazione di natura risarcitoria (cfr. ex multis Cass. civ., Sez. I, 22 giugno 2016, n. 12956 ).

• LA NOZIONE GENERALE DI CONTROLLO SOCIETARIO

L'articolo 2359 del codice civile non definisce il controllo, ma la società controllata, intendendosi tale, al ricorrere di distinti presupposti, la società in cui un'altra società dispone della «maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria» (art. 2359, co. 1, n. 1, c.c.) oppure di «voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria» (art. 2359, co. 1, n. 2, c.c.) ovvero la società che è «sotto influenza dominante di un'altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa» (art. 2359, co. 1, n. 3, c.c.).

Nelle prime due ipotesi il controllo è interno ed è denominato, rispettivamente, di diritto e di fatto; nella terza ipotesi il controllo è esterno.

Dalla formulazione letterale della norma si evince che il rapporto di controllo consiste in una relazione - declinabile in termini di influenza dominante - tra due società (id est, la società controllante e la società controllata), che si estrinseca nei confronti degli organi della società controllata.

La nozione di società controllata dettata dal codice civile si inserisce in un contesto ordinamentale caratterizzato dalla presenza di altre definizioni di controllo, contenute in leggi settoriali riferite a specifiche tipologie societarie (quali, a titolo esemplificativo, quelle bancarie, assicurative, ecc.) e/o a determinati aspetti della disciplina (quali, a titolo esemplificativo, la disciplina antimonopolistica, la redazione del bilancio consolidato, ecc.), le quali fissano, con riferimento agli aspetti regolamentati, particolari criteri per l'individuazione della situazione di controllo, rappresentati, prevalentemente, da presunzioni volte ad agevolare il relativo accertamento.

Le definizioni speciali o settoriali hanno tutte come referente il concetto di influenza dominante fissato dall'articolo 2359 del codice civile, il quale assurge, a livello normativo, a definizione generale di società controllata.

• LA QUALIFICAZIONE DEL CONTROLLO C.D. CONGIUNTO NELLE SOCIETÀ A PLURIPARTECIPAZIONE PUBBLICA SECONDO LA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

Ai sensi dell'articolo 2 ("Definizioni") del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 ("Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica" - c.d. TUSP) per «società a controllo pubblico» si intende quella in cui «una o più amministrazioni pubbliche esercitano poteri di controllo ai sensi della lettera b» (co. 1, lett. m ).

La definizione di «controllo» fornita dal Testo unico (cfr. art. 2, co. 1, lett. b) risulta strutturata in due distinte statuizioni: la prima contiene un generico rinvio all'articolo 2359 del codice civile; la seconda consiste nella declinazione di una specifica situazione di controllo - peraltro, disomogenea rispetto alle situazioni di cui alla norma oggetto del rinvio - ravvisabile nelle ipotesi in cui, «in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all'attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo».

La prima statuizione potrebbe apparire - a prescindere dalla specifica tipologia di rinvio - superflua ove si consideri che l'articolo 2359 è una norma di carattere generale, come tale operante anche oltre i limiti dell'ambito strettamente codicistico ovvero in tutte le ipotesi in cui una qualsiasi norma di settore indichi, tra i presupposti della sua applicazione, il «controllo», senza, tuttavia, ulteriori esplicitazioni normative.

Tuttavia, il rinvio operato expressis verbis dal legislatore del Testo unico all'articolo 2359 induce a considerare la disposizione codicistica parte integrante della definizione fornita dal TUSP con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di ricostruzione e interpretazione dei relativi precetti.

La qualificazione della società a controllo pubblico nei casi di partecipazione da parte di una pluralità di Pubbliche Amministrazioni, nessuna delle quali, tuttavia, singolarmente detentrice di una quota maggioritaria del capitale sociale, è risultata, in sede applicativa, foriera di incertezze a livello interpretativo.

Il punctum dolens verte, in estrema sintesi, sulla sufficienza, al fine dell'affermazione del controllo pubblico c.d. congiunto, della detenzione - da parte dei soci pubblici unitariamente considerati - della maggioranza del capitale sociale ovvero sull'imprescindibilità, al detto fine, di forme di coordinamento funzionali all'esercizio del controllo, discendenti da norme di legge o statutarie oppure attuate mediante patti parasociali idonei a determinare l'orientamento delle scelte strategiche della società.

La questione ha una precipua rilevanza in termini di individuazione del quadro normativo di riferimento, in quanto il TUSP dedica alle società a controllo pubblico una serie di disposizioni maggiormente stringenti rispetto a quelle rivolte agli organismi a mera partecipazione pubblica, disposizioni che introducono specifiche deroghe alla disciplina di diritto comune:
- l'articolo 6, recante i principi fondamentali sull'organizzazione e sulla gestione di tali società;
- l'articolo 11 , recante la fissazione dei requisiti dei componenti degli organi amministrativi e di controllo, nonché norme sui compensi da corrispondere ai detti componenti e ai dipendenti della società;
- l'articolo 13 , recante norme in materia di controllo giudiziario sull'amministrazione di tali società;
- l'articolo 14 , disciplinante i casi di crisi d'impresa;
- l'articolo 19 , recante norme in materia di gestione del personale;
- l'articolo 22 , recante norme in materia di trasparenza;
- l'articolo 25 , recante norme in materia di ricognizione e gestione del personale in servizio;
- l'articolo 26 , recante l'obbligo di adeguamento statutario.

Le società a controllo pubblico sono, altresì, destinatarie della normativa sulla trasparenza (cfr. articolo 2-bis, comma 2, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33) e sulla prevenzione della corruzione (cfr. articolo 1, comma 2-bis, della legge 6 novembre 2012, n. 190 ).

In altri termini, la qualificazione della società a controllo pubblico comporta l'assoggettamento, sia delle Pubbliche Amministrazioni partecipanti che della società partecipata e dei suoi organi, a una serie di vincoli, obblighi e adempimenti prescritti ex lege, volti ad assicurare il coordinamento del controllo dei soci pubblici, nonché a legittimare la detenzione delle partecipazioni.

Sulla questione della qualificabilità della società a controllo pubblico nell'ipotesi di detenzione - totalitaria o maggioritaria - del capitale sociale da parte di una pluralità di Pubbliche Amministrazioni, nessuna delle quali, tuttavia, in grado di esercitare un controllo individuale, i Giudici amministrativi si sono (reiteratamente) pronunciati a favore della tesi della insufficienza della maggioranza in assemblea al fine della configurabilità del controllo pubblico (cfr. ex multis Cons. Stato, Sez. V, 23 gennaio 2019, n. 578; T.A.R. Marche-Ancona, Sez. I, 11 novembre 2019, n. 695; Cons. Stato, Sez. III, 3 marzo 2020, n. 1564; T.A.R. Emilia Romagna-Bologna, Sez. I, 28 dicembre 2020, n. 858; T.A.R. Emilia Romagna-Bologna, Sez. I, 9 marzo 2022, n. 252).

Secondo l'orientamento invalso nella giurisprudenza amministrativa, ferma restando la configurabilità del controllo pubblico anche quando le fattispecie di cui all'articolo 2359 del codice civile si riferiscono a una pluralità di Pubbliche Amministrazioni, il legislatore «certamente consente al soggetto pubblico di ritenere modalità organizzativa adeguata la società nella quale l'amministrazione pubblica detenga una partecipazione minoritaria» ( Cons. Stato n. 578/2019 cit.).

La partecipazione pulviscolare (anche detta frazionata o polverizzata) è «in principio inidonea a consentire ai singoli soggetti pubblici partecipanti di effettivamente incidere sulle decisioni strategiche della società, cioè di realizzare una reale interferenza sul conseguimento del c.d. fine pubblico di impresa […] in presenza di interessi contrastanti e, in ultimo, impeditivi» (Cons. Stato n. 578/2019 cit.).

L'impossibilità di una reale interferenza costituisce la conseguenza, sul piano effettuale, della «debolezza sia assembleare sia, di riflesso, amministrativa» (Cons. Stato n. 578/2019 cit.) riveniente dalla «particolare modestia della partecipazione al capitale» (Cons. Stato n. 578/2019 cit.).

Nelle società pluripartecipate il controllo pubblico «non sussiste in forza della mera sommatoria dei voti spettanti alle amministrazioni socie» (T.A.R. Emilia Romagna n. 252/2022 cit.) nel senso che «non è possibile desumere il controllo pubblico dalla semplice astratta possibilità per i soci pubblici di fare valere la loro maggioranza azionaria in assemblea» ( T.A.R. Marche n. 695/2019 cit.).

Al fine della configurabilità del controllo pubblico congiunto è necessario che «le amministrazioni socie ne condividano il dominio, perché sono vincolate - in forza di previsioni di legge, statuto o patto parasociale - ad esprimersi all'unanimità, anche attraverso gli amministratori da loro nominati» ( T.A.R. Emilia Romagna n. 252/2022 cit.).

In altri termini, i Giudici amministrativi hanno - costantemente e unanimemente - ritenuto che, «anche se la semplice "atomizzazione" dei soci pubblici […] non è ovviamente sufficiente ad escludere la possibilità di controllo pubblico» (T.A.R. Marche n. 695/2019 cit.), il controllo pubblico congiunto «non possa prescindere dalla presenza di forme di coordinamento dell'agire dei numerosi soci che detengono la maggioranza» (T.A.R. Marche n. 695/2019 cit.).

Si appalesa, pertanto, ineludibile il ricorso a strumenti negoziali (quali, a titolo esemplificativo, i patti parasociali) che «possano dar modo alle amministrazioni pubbliche di coordinare e dunque rinforzare la loro azione collettiva e, in definitiva, di assicurare un loro controllo sulle decisioni più rilevanti riguardanti la vita e l'attività della società partecipata» (Cons. Stato n. 578/2019 cit.).

In estrema sintesi, secondo la giurisprudenza amministrativa, dalla partecipazione maggioritaria al capitale sociale non può inferirsi automaticamente la qualificazione della società come a controllo pubblico, essendo a tal fine necessario verificare l'effettivo esercizio, da parte dei soci pubblici, del potere di dominio sulla società, attuabile mediante il ricorso a forme di coordinamento istituzionalizzato giuridicamente vincolanti per le Amministrazioni socie, che siano idonee a garantire stabilità al controllo medesimo, quali, a titolo esemplificativo, i patti parasociali.

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