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I recenti interventi della Cassazione sulla sorte dei crediti di una società cancellata dal Registro delle Imprese

La mancata indicazione dei crediti nel bilancio finale di liquidazione non significa, per sé sola, rinuncia e, conseguentemente, tali crediti si trasferiscono agli ex-soci: la Cassazione, a sezione semplice, conferma il proprio recente orientamento; ma le Sezioni Unite ?

di Angela Currarini *

Tra la fine del 2020 e l'inizio del 2021, la Suprema Corte è tornata più volte ad affrontare il tema della sorte dei crediti di una società cancellata dal Registro delle Imprese e dunque estinta.

Le sentenze Cass. civ., sez. III, 14 dicembre 2020, n. 28439 e Cass. civ. sez. III, 26.01.2021 n. 1724, dando dichiaratamente continuità ai principi espressi nella sentenza Cass. Civ., Sez. I, 22 maggio 2020 n. 9464 (cfr. il precedente contributo in data 09.07.2020 "I crediti litigiosi sopravvivono dunque alla cancellazione ed estinzione della società ? considerazioni a margine della recente sentenza della suprema corte 22 mag. 2020 n. 9464" ) , escludono l'automatismo tra cancellazione/estinzione della società e rinuncia ai crediti litigiosi e ribadiscono dunque che tali crediti, anche se non indicati nel bilancio finale di liquidazione, in assenza di una univoca e concludente volontà di remissione del debito, non possono intendersi rinunciati e non si estinguono ma si trasferiscono agli ex soci quali successori a titolo universale.

La pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite 18 dicembre 2020 n. 29108, peraltro avente ad oggetto l'estinzione di una società di persone, giunge ugualmente ad escludere la sussistenza di una rinuncia al credito ma sembra pervenire a tale conclusione sulla base delle peculiarità del caso di specie, salvo affermare la correttezza del principio per cui la cancellazione della società e la mancata indicazione dei crediti incerti o illiquidi (e non solo delle mere pretese) nel bilancio finale di liquidazione debbono essere interpretati quale rinuncia, con conseguente mancato trasferimento in capo ai soci, ed estinzione, di tali crediti, con il richiamo, al riguardo, a pronunce che sembravano in parte superate dall'orientamento sopra citato.


Le sentenza Cass. civ. sez. III, 14 dicembre 2020, n. 28439 e Cass. civ. sez. III, 26.01.2021 n. 1724 prendono le mosse da un'unica vicenda contrattuale dalla quale, non si comprende "per quale ragione", sono scaturiti due diversi giudizi di opposizione a due diversi precetti, "curiosamente" decisi in maniera diametralmente opposta dalla Corte d'Appello di Napoli: il credito di cui al primo precetto è stato ritenuto non incerto né contestato e, benché non presente nel bilancio finale di liquidazione, è stato riconosciuto trasferito ai soci per effetto dell'estinzione della società; il credito di cui al secondo precetto è stato invece considerato contestato in giudizio ed illiquido e, interpretata la mancata appostazione nel bilancio finale di liquidazione quale rinuncia per facta concludentia, ne è stata affermata l'estinzione.

La Corte di Cassazione, nella medesima composizione, ha ricondotto ad unità la suddetta antinomia e ciò ha fatto richiamandosi:

(i) al proprio precedente a Sezioni Unite 12 mar. 2013 n. 6070, per ricavarne che il mancato inserimento nel bilancio finale di liquidazione di un credito illiquido può consentire sì di presumere la volontà della società di rinunciare ad esso ma senza alcuna indefettibile implicazione unilaterale tra omessa indicazione del bilancio e remissione del debito;

(ii) al recente arresto di cui a Cass. n. 9464/2020, che ha avuto il pregio di "integrare i principi stabiliti nel 2013" dalle Sezioni Unite chiarendo, in particolare, che la rinuncia non può presumersi ipso facto in base al solo rilievo che il credito non è appostato nel bilancio finale di liquidazione, posto che la volontà abdicativa e remissoria del debito può, in ipotesi, essere anche tacita sempreché, in concreto, accompagnata dal compimento di atti o comportamenti inequivocabilmente incompatibili con la volontà di pretendere il credito.

Richiamato quanto sopra, la Suprema Corte ha dunque ribadito che la mancata indicazione di un credito controverso nel bilancio finale di liquidazione non comporta inequivoca manifestazione della volontà di rinunciarvi, potendo essere riconducibile, secondo gli esempi portati dagli Ermellini, alla volontà dei soci di cessare al più presto l'attività sociale o al fine sottinteso di coltivare in proprio l'esazione del credito sopravvenuto o non appostato, o alla pendenza di trattative non concretizzatesi o, semplicemente, a dimenticanza o trascuratezza del liquidatore.

Le due sentenze finiscono così con l'esprimere il medesimo principio di diritto (e, dunque, stante il diverso decisum del merito, nell'un caso con il rigettare il ricorso e nell'altro con l'accoglierlo cassando con rinvio la sentenza della Corte d'Appello di Napoli) e affermano che la remissione del debito quale causa di estinzione delle obbligazioni esige che la volontà abdicativa del creditore sia espressa in modo inequivoco e che un comportamento tacito può essere così interpretato solo quando non possa avere un'altra giustificazione razionale; da ciò consegue che i crediti di una società commerciale estinta non possono ritenersi rinunciati per il solo fatto che non siano stati evidenziati nel bilancio finale di liquidazione, a meno che tale omissione non sia accompagnata da ulteriori circostanze tali da non consentire dubbi sul fatto che l'omessa appostazione in bilancio altra causa non potesse avere se non la volontà di rinunciare a quel credito.

Nell'intervallo di tempo intercorso tra le citate sentenze Cass. n. 28439/2020 e Cass. n. 1724/2021 sono intervenute sulla questione, seppur con riguardo alle società di persone, le Sezioni Unite con la sentenza 18 dicembre 2020 n. 29108.

In tale pronuncia, la Suprema Corte ha affermato la correttezza del principio per cui la cancellazione della società dal Registro delle Imprese e la mancata indicazione dei crediti incerti o illiquidi (e non solo delle mere pretese) nel bilancio finale di liquidazione debbono essere ragionevolmente interpretati quale univoca rinuncia a tali crediti, con conseguente mancato trasferimento in capo ai soci ed estinzione dei crediti stessi, a tal fine richiamando i precedenti di legittimità favorevoli a tale orientamento; le peculiarità della fattispecie, rappresentate dalla circostanza che il credito risarcitorio da illecito extracontrattuale non fosse conoscibile con l'ordinaria diligenza e che la società fosse addivenuta alla cancellazione senza passare attraverso la liquidazione (il che non permetteva dunque di fare leva sulla mancata iscrizione del credito risarcitorio nel bilancio finale di liquidazione per poter distinguere tra crediti trasferiti ai soci e crediti rinunciati), hanno peraltro portato gli Ermellini ad escludere che il come sopra riaffermato principio potesse trovare applicazione, con la conseguente cassazione con rinvio della sentenza di merito che non aveva correttamente applicato il principio generale al caso di specie.

Nella sentenza della Cassazione a Sezioni Unite non è dato rinvenire traccia del contributo apportato alla materia a partire da Cass. n. 9464/2020 e ulteriormente precisato da Cass. n. 28439/2020 e Cass. n. 1724/2021 per cui la mancata indicazione di un credito controverso nel bilancio finale di liquidazione non può essere interpretato inequivocabilmente come volontà di rinunciare a tale credito; pur con le cautele del caso, vista anche la frequenza di pronunce sulla questione, e considerate anche le peculiarità della fattispecie, gli Ermellini, chiamati a decidere in funzione nomofilattica, sembrerebbero dunque sostenere un ritorno verso l'automatismo tra mancata indicazione del credito controverso nel bilancio finale di liquidazione, cancellazione della società dal Registro delle Imprese e rinuncia al credito controverso che traspariva in un certo orientamento anteriore alle sopra citate sentenze.

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*Avvocato Angela Currarini, Studio Legale De André

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