Società

Il Codice della Crisi spinge verso l'adozione di un Modello Organizzativo 231

Il rapporto tra gli assetti organizzativi, amministrativi e contabili ex art. 2086 c.c. e il Modello Organizzativo di cui al D.Lgs. 231/2001

di Benedetta Colombo, Cipriano Ficedolo*

Il Codice della crisi e dell'insolvenza (di seguito anche "CCI"), introdotto mediante il D. Lgs. 14/2019, ha operato una riforma della legislazione fallimentare ispirata alla prevenzione della crisi e al risanamento delle imprese mediante la gestione anticipata del rischio.

Ai sensi del rinnovato art. 2086 c.c. l'imprenditore ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa. Tra i rischi da tenere in considerazione vi sono, oltre a quelli puramente strategici, i rischi connessi alla struttura e gestione operativa dell'azienda quali, a titolo meramente esemplificativo e non esaustivo, quelli provocati da difetti di allocazione delle risorse, dall'adozione di carenti sistemi di governance, dall'obsolescenza degli impianti in uso. Dalla mancata adozione degli assetti non ne derivano automaticamente delle conseguenze negative: l'operato degli amministratori è sindacabile nei limiti del principio della business judgment rule.

Sono evidenti i punti di contatto con il sistema disegnato dal D.Lgs. 231/2001 in materia di responsabilità amministrativa degli enti, anch'esso basato prevenzione del rischio, in questo caso specificatamente rappresentato dal reato, oltre che dal punto di vista metodologico: la definizione di un Modello Organizzativo adeguato, come degli assetti ex art. 2086 c.c., è un processo che deve essere svolto in maniera indipendente da ciascuna impresa, rifuggendo da modelli standardizzati che difficilmente potrebbero essere attuati efficacemente.

Quali sono i rapporti fra la riforma della crisi di impresa e il modello 231?

Il Codice della crisi e dell'insolvenza (di seguito anche "CCI"), introdotto mediante il D. Lgs. 14/2019, ha operato una riforma della legislazione fallimentare ispirata alla prevenzione della crisi e al risanamento delle imprese mediante la gestione anticipata del rischio.

La riforma rappresenta un chiaro segnale dell'attenzione via via crescente dedicata dal legislatore al tema, in quanto la novella introduce una serie di strumenti che permettono di prevenire e rilevare tempestivamente la crisi d'impresa, e non solo.

In tale ambito, assume fondamentale rilevanza l'articolo 375 del Decreto, rubricato "assetti organizzativi dell'impresa", che interviene sull'art. 2086 c.c. modificandone la rubrica (oggi "gestione dell'impresa") e introducendo un secondo comma, ai sensi del quale – per quello che qui rileva- "L'imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell'impresa e della perdita della continuità aziendale".

In questa prospettiva, il Codice della Crisi d'impresa compie un ulteriore passo in avanti, poichè estende l'obbligo di cui all'art. 2086 c.c. a tutti gli amministratori di qualsiasi impresa che operi in forma societaria o collettiva, senza alcuna distinzione, e impone una gestione dell'impresa che sia orientata alla prevenzione, con un atteggiamento di tipo proattivo rispetto all'insorgere di eventi che possano mettere a rischio la continuità aziendale.

Cosa si intende per assetti organizzativi, amministrativi e contabili?

L'adempimento del dovere di cui all'art. 2086 c.c. impone dunque all'imprenditore l'istituzione di una struttura organizzativa mediante la definizione di un insieme coordinato di strumenti, processi e procedure gestionali.

Tale struttura deve essere costruita sulla base delle caratteristiche e delle dimensioni dell'impresa per garantirne l'adeguatezza e l'effettività.

Il sistema di cui all'art. 2086 si articola in tre profili: l'assetto organizzativo è rappresentato dall'organizzazione dell'impresa esplicitata mediante l'organigramma aziendale, attraverso il quale l'imprenditore deve assicurare che l'attività decisionale e direttiva sia distribuita ad un appropriato livello di competenza e responsabilità ed esercitata in maniera coerente; sotto il profilo amministrativo, si richiede che le attività aziendali siano programmate e svolte in maniera ordinata sulla base di processi e procedure. Infine, con riferimento all'aspetto contabile, si richiede che venga attivato un sistema di strumenti e flussi informativi che permetta di rilevare e tracciare la gestione.

L'implementazione di tale sistema di governance consentirà agli amministratori - ove adeguatamente strutturato, implementato e vigilato - di gestire l'impresa in maniera efficiente ed informata, rilevando tempestivamente segnali di crisi dell'impresa, e non solo. Infatti, l'utilizzo della locuzione "anche" appare una chiara manifestazione delle finalità perseguite dal legislatore, che ha inteso estendere il perimetro applicativo dell'istituto non limitandosi ad uno specifico dovere di vigilanza, bensì spingendosi sino ad imporre all'amministratore un più generico dovere di condotta discendente dall'obbligo di diligenza professionale richiesta dalla natura dell'incarico affidatogli.

Le similitudini con il Modello Organizzativo ex D.Lgs. 231/2001

Alla luce di quanto appena riferito, sono evidenti i punti di contatto con il sistema disegnato dal D.Lgs. 231/2001 in materia di responsabilità amministrativa degli enti, anch'esso basato prevenzione del rischio, in questo caso specificatamente rappresentato dal reato.

I due sistemi sono accomunati anche dal punto di vista metodologico: la definizione di un Modello Organizzativo adeguato, come degli assetti ex art. 2086 c.c., è un processo che deve essere svolto in maniera indipendente da ciascuna impresa, rifuggendo da modelli standardizzati che difficilmente potrebbero essere attuati efficacemente.

In entrambi i casi è necessaria una preliminare ricognizione della normativa applicabile e una mappatura dei processi aziendali in essere, per poi procedere alla valutazione dei rischi potenziali e residui e all'individuazione delle funzioni responsabili.

Alla fase ricognitiva segue la fase di progettazione degli assetti, che passa attraverso la definizione di un sistema di reporting tra le funzioni operative e gli organi gestori e un meccanismo di monitoraggio che coinvolga gli organi di controllo.

Le analogie rilevate e le possibili ipotesi di sovrapposizione tra i due istituti consentono di ravvisare un rapporto di genere a specie, in quanto gli assetti organizzativi costituiscono un sistema più ampio all'interno del quale si inserisce il Modello Organizzativo, volto precipuamente a prevenire il rischio di commissione dei reati.

A conferma di ciò, come già anticipato, depone l'utilizzo della locuzione "anche" nell'art. 2086, 2 comma c.c., nel senso che gli assetti organizzativi hanno una funzione di prevenzione generale, che va oltre la rilevazione dello stato di crisi.

Occorre comunque sottolineare che sussistono delle significative differenze tra i due sistemi; tra queste, la più evidente è che l'implementazione degli assetti organizzativi prescinde dalla predisposizione formale di un documento che lo descriva in tutti i suoi aspetti, mentre per avere efficacia esimente è requisito imprescindibile che il Modello Organizzativo sia formalizzato in un documento scritto.

Tanto ciò premesso, risulta innegabile come il micro-sistema e le procedure previste nel Modello Organizzativo siano un valido punto di partenza per la costruzione di adeguati assetti organizzativi, e un solido sostegno per la fase di valutazione, monitoraggio ed aggiornamento.

Si consideri anche che, a causa dell'ampliamento del catalogo dei reati presupposto, si è assistito ad un progressivo ampliamento delle attività sensibili esposte ai rischi 231; oggigiorno, infatti, predisporre un Modello organizzativo implica disegnare un sistema che abbraccia tutto il perimetro aziendale.

Ciò stante, taluno si è spinto fino a sostenere che l'adozione di un Modello Organizzativo non sia più una scelta facoltativa rimessa alla discrezionalità di ciascuna impresa, ma divenga obbligatoria in quanto la mancata predisposizione del Modello, con la correlata valutazione dei rischi, rappresenterebbe un inadempimento del dovere in capo all'organo gestorio di predisporre adeguati assetti organizzativi.

In ogni caso, è ragionevole affermare che tra gli assetti organizzativi ex art. 2086 c.c. e il Modello Organizzativo ex D.Lgs. 231/01 intercorre un rapporto di interdipendenza che si esplica in due direzioni: in un senso, la Società che abbia efficacemente adottato un Modello Organizzativo può contare su una solida struttura di organizzazione e procedure sulla base della quale sviluppare adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili. In un altro senso, il CCI ha sicuramente introdotto un forte incentivo verso l'adozione di un Modello Organizzativo, in quanto questo è sintomo della volontà dell'organo gestorio di amministrare diligentemente, conformando la gestione al rispetto delle leggi e alla prevenzione dei rischi.

Giudizio di adeguatezza e business judgement rule

L'adeguatezza del sistema organizzativo deve essere vagliata in ragione della natura, dimensione e complessità dell'impresa in questione. È evidente che il dovere imposto dall'art. 2086 c.c. comporta una compressione della discrezionalità dell'imprenditore nella gestione e organizzazione dell'impresa.

Appare dunque fondamentale domandarsi quali siano i limiti entro cui si possa esplicare la valutazione del giudice chiamato a pronunciarsi in sede civile sulla responsabilità degli amministratori

La questione, molto dibattuta in dottrina, è stata affrontata in particolar modo dalla giurisprudenza di merito del Tribunale di Roma i cui giudici hanno tracciato un perimetro delle possibili responsabilità degli amministratori in relazione alle proprie scelte aziendali con l'ordinanza - Tribunale di Roma - Sez. spec. in materia di imprese, Ord., 08-04-2020 – statuendo che: "All'amministratore di una società non può essere imputato a titolo di responsabilità di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, atteso che una tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale e non rileva come fonte di sua responsabilità contrattuale nei confronti della società; ne consegue che il giudizio sulla diligenza dell'amministratore nell'adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione, o le modalità e circostanze di tali scelte, ma solo l'omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni preventive normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità. Il principio della insindacabilità delle scelte di gestione non è assoluto, bensì soggetto a due ordini di limiti, i quali attengono, da un lato, al sindacato sul modo in cui la scelta è stata assunta, e dunque se essa sia stata legittimamente compiuta, e, dall'altro lato, al sindacato sulle ragioni per cui la scelta compiuta è stata preferita ad altre, e dunque se essa non risulti irrazionale".

Tale principio, è stato ribadito ed ampliato in un'altra pronuncia sempre dal Tribunale capitolino (Tribunale di Roma – Sez. Specializzata – 24 settembre 2020, sent.): "L'operato degli amministratori in attuazione dei doveri di cui all'art. 2086 c.c., come novellato dal d.lgs. n. 14/2019, codice della crisi (adozione di adeguati assetti organizzativi con la finalità di rilevare tempestivamente la crisi e di intervento tempestivo per il suo superamento) è sindacabile nei limiti del principio della business judgment rule. Di conseguenza, la mancata adozione di qualsivoglia misura organizzativa comporta sempre una responsabilità dell'organo gestorio, mentre ove una struttura organizzativa sia stata adottata, è possibile sottoporla al sindacato giudiziale, ex art. 2409 c.c., nei limiti e secondo i criteri della proporzionalità e della ragionevolezza, sulla base di una valutazione ex ante".

L'ordinanza del Tribunale di Roma sottolinea infatti che all'amministratore di una società non può essere imputato a titolo di responsabilità, ex art. 2392 c.c., di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, atteso che una tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale e può pertanto eventualmente rilevare come giusta causa di revoca dell'amministratore, ma non come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società.

Ne consegue che, il giudizio sulla diligenza dell'amministratore nell'adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione, o le modalità e circostanze di tali scelte, ma solo l'omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni preventive normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità, di talché, gli amministratori non possono essere ritenuti responsabili soltanto perché la gestione dell'impresa sociale che abbia avuto un cattivo esito.

L'amministratore ha il dovere di gestire l'impresa e di agire in piena libertà, ovviamente ponderando le scelte con la dovuta diligenza al fine di perseguire interessi compatibili con quelli della società amministrata non ha, invece, l'obbligo di amministrare la società con il solo ed unico fine del profitto.

Di conseguenza, l'imprenditore nello svolgimento del proprio compito gestorio gode di un potere discrezionale in relazione alle scelte compiute, l'omissione delle cautele, verifiche e informazioni preventive, normalmente richieste, può essere, invece, oggetto di sindacato laddove dalla mancanza di tali cautele e verifiche derivino danni alla società.

La valutazione della condotta degli amministratori non deve essere effettuata soltanto sulla base dell'accertamento dell'acquisizione preventiva di informazioni o di altre cautele, ma può spingersi a sindacare la ragionevolezza del loro operato e la prevedibilità dei risultati, sanzionando gli amministratori che compiano errori grossolani o pongano in essere operazioni sproporzionate rispetto ai mezzi della società.

Se gli amministratori hanno agito con la dovuta diligenza e, nonostante ciò, abbiano posto in essere operazioni imprenditoriali che si siano rivelate inopportune, il principio dell'insindacabilità nel merito delle loro scelte comporta che gli amministratori non siano responsabili per gli eventuali danni così arrecati alla società.

Come ricorda la pronuncia in commento, il principio di insindacabilità non è tuttavia assoluto: la scelta di gestione è insindacabile solo se
• è stata legittimamente compiuta;
• se non è irrazionale.

Benché, quindi, la valutazione sull'eventuale responsabilità dell'amministratore non attenga al merito delle scelte imprenditoriali dallo stesso effettuate, la responsabilità dell'organo gestorio ben può discendere dal rilievo che le modalità stesse del suo agire denotano la mancata adozione di quelle cautele o la non osservanza di quei canoni di comportamento che il dovere di diligente gestione ragionevolmente impone, secondo il metro della normale professionalità, a chi è preposto ad un tal genere di impresa ed il cui difetto diviene perciò apprezzabile in termini di inesatto adempimento delle obbligazioni gravanti sull'amministratore.

È infatti dovere primario dell'organo gestorio quello di perseguire l'interesse della società amministrata, sicché ogni sua azione o omissione che sia invece diretta a realizzare un interesse diverso, ed in contrasto con quello, si configura immancabilmente come violazione del dovere di fedeltà proprio della carica gestoria.

In definitiva, la predisposizione di un adeguato assetto organizzativo non costituisce l'oggetto di un obbligo a contenuto specifico, ma al contrario, di un obbligo non predeterminato nel suo contenuto, atteso che il concetto di "adeguatezza" si concretizza solo avuto riguardo alla specificità dell'impresa esercitata e del momento in cui quella scelta organizzativa viene posta in essere.

Il che riconduce al principio, più volte affermato in giurisprudenza, secondo cui, quando l'addebito di responsabilità agli amministratori di società non si fonda sulla violazione di specifiche norme di legge o di clausole statutarie, ma sull'inosservanza del criterio generale di diligenza richiesta dalla natura dell'incarico e dalle specifiche competenze, viene in rilievo la business judgment rule.

Conclusioni

Tra i pregi del Codice della crisi d'impresa vi è senz'altro quello di aver attratto in un sistema virtuoso di responsabilizzazione dell'organo gestorio e di controllo anche le piccole e medie imprese.

L'assetto organizzativo, amministrativo e contabile si traduce in un complesso chiaro e ordinato di principi, regole, responsabilità, procedure e controlli, finalizzato, prima ancora che alla percezione della crisi in chiave preventiva, ad una gestione più efficiente e consapevole in un'ottica proattiva, in funzione del raggiungimento dello scopo sociale d'impresa.

Dalla mancata adozione non ne derivano automaticamente delle conseguenze negative: come noto, infatti, il legislatore non ha previsto delle sanzioni per la mancata implementazione dell'assetto descritto, tuttavia l'art. 2086 in ogni caso parla di "dovere", configurando così un vero e proprio obbligo in capo all'imprenditore.

Tra i rischi da tenere senz'altro in considerazione vi sono, oltre a quelli puramente strategici, anche i rischi connessi alla struttura e gestione operativa dell'azienda quali, a titolo meramente esemplificativo e non esaustivo, quelli provocati da difetti di allocazione delle risorse, dall'adozione di carenti sistemi di governance, dall'obsolescenza degli impianti in uso.

Grazie all'esperienza ventennale maturata nell'ambito del D.Lgs. 231/2001, molte imprese hanno ormai sviluppato una significativa sensibilità nei riguardi del rischio-reato. L'introduzione del D.L.gs. 231/2001 ha infatti comportato un progressivo sviluppo e diffusione della prevenzione dei rischi come modalità di fare impresa in maniera efficace e competitiva, in quanto molti hanno ormai compreso che prevenire ed intercettare i rischi implica l'ottimizzazione dei processi interni, ma solo un assessment dall'orizzonte più esteso condurrà all'elaborazione di assetti organizzativi, amministrativi e contabili realmente efficaci.

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*A cura degli Avv.ti Benedetta Colombo, Avvocato del Foro di Milano - Partner 24ORE Avvocati, Cipriano Ficedolo, Avvocato del Foro di Benevento - Partner 24ORE Avvocati

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