Il giudice che ritiene perfezionato l'accordo dichiara la cessata materia del contendere
Non può più pronunciare alcuna sentenza di condanna. Se poi i termini non vengano rispettati, l'inadempimento va fatto valere nelle sedi opportune, e non chiedendo una condanna all'adempimento al giudice del giudizio concluso dall'accordo conciliativo
Il giudice il quale ritenga perfezionato un accordo conciliativo fra le parti non può più pronunciare alcuna sentenza di condanna. Delle due, infatti, l'una: se si pronuncia una condanna, vuol dire che tra le parti pendeva una lite; e per pendere una lite non deve essere stato raggiunto alcun accordo; se è stato raggiunto un accordo, va dichiarata cessata la materia del contendere. Se poi i termini dell'accordo non vengano rispettati da una delle parti, tale inadempimento va fatto valere nelle sedi opportune, e non chiedendo una condanna all'adempimento al giudice del giudizio concluso dall'accordo conciliativo. Lo hanno affermato i giudici della terza sezione della Cassazione con l’ordinanza 13 maggio 2021 n. 12899 (Presidente Vivaldi; Relatore Rossetti).
La vicenda all’attenzione della Suprema corte
In sede di opposizione agli atti esecutivi, il giudice dell’esecuzione aveva formulato alle parti una proposta transattiva, ai sensi dell’art. 185-bis Cpc, proposta che prevedeva la cessione delle proprietà della rete idrica dai proprietari opponenti alla società opposta dietro pagamento di un corrispettivo da stabilirsi mediante consulenza tecnica d’ufficio.
Accettata la proposta e nominato un consulente tecnico d’ufficio questi ha determinato il valore della rete idrica, valore non accettato - peraltro - dalla società acquirente, sì che il giudice della opposizione ha pronunciato ordinanza con la quale ritenuto il mancato perfezionamento del procedimento di conciliazione, ha invitato le parti a precisare le conclusioni.
A seguito di quest’ultime il tribunale, da un lato, ha dichiarato perfezionato l’accordo tra le parti di cessione per l’importo indicato dal CTU, dall’altro che condannato la società opposto la somma accertata dal CTU, oltre accessori.
Proposto ricorso per cassazione la Suprema corte lo ha accolto, osservando che, in realtà, nella specie nessuna transazione stragiudiziale o conciliazione giudiziale si era perfezionate e che comunque, l’adito giudice alternativamente o pronunziava una condanna, per non essersi concluso alcun accordo, o, ove quest’ultimo fosse stato raggiunto, doveva limitarsi a dichiarare cessata la materia del contendere.
Le motivazioni dei Supremi giudici su una questione nuova
Questione nuova, sulla quale non risultano precedenti in termini.
Ricordata in motivazione, nel senso che la conciliazione giudiziale prevista dagli artt. 185 e 420 Cpc è una convenzione non assimilabile ad un negozio di diritto privato puro e semplice, caratterizzandosi, strutturalmente, per il necessario intervento del giudice e per le formalità previste dall'art. 88 disposizioni attuazione Cpc e, funzionalmente, da un lato per l'effetto processuale di chiusura del giudizio nel quale interviene, dall'altro per gli effetti sostanziali derivanti dal negozio giuridico contestualmente stipulato dalle parti, che può avere anche a oggetto diritti indisponibili del lavoratore; la transazione, invece, negozio anch'esso idoneo alla risoluzione delle controversie di lavoro qualora abbiano ad oggetto diritti disponibili, non richiede formalità ad substantiam, essendo la forma scritta prevista dall'art. 1967 Cc ai soli fini di prova, Cassazione, sentenza 26 ottobre 2017, n. 25472, che, in applicazione di tale principio, ha cassato la sentenza di merito che aveva respinto la domanda di accertamento della transazione intervenuta tra le parti nel corso di una udienza, per carenza di forma scritta e della relativa sottoscrizione, senza tener conto che il verbale di causa costituiva atto scritto idoneo ai fini probatori, mentre come osservato nella pronunzia in rassegna nella specie mancava un tale verbale.
Per riferimenti cfr., altresì:
- per il rilievo che Il verbale di conciliazione giudiziale, pur essendo titolo esecutivo ai sensi dell'art. 185 Cpc, idoneo all'esecuzione per le obbligazioni pecuniarie, alla esecuzione specifica ai sensi dell'art. 2932 Cc e alla esecuzione per consegna e rilascio, non legittima alla esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, poiché l'art. 612 Cpc menziona quale unico titolo valido per l'esecuzione la sentenza di condanna (dovendosi intendere estensivamente con tale espressione ogni provvedimento giudiziale di condanna), in considerazione della esigenza di un previo accertamento della fungibilità e quindi della coercibilità dell'obbligo di fare o di non fare, Cassazione, sentenze 13 gennaio 1997, n. 258 e 14 dicembre 1994, n.10713.