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Il nome di un albergo è un marchio e circola autonomamente dalla proprietà dell’immobile che ospita l’attività

La Cassazione segna una tappa decisiva nella storia del nome “Britannique” che identifica un cospicuo albergo napoletano noto nel mondo dalla fine del 1800

Con una sentenza ricca di spunti giuridici interessanti sotto il profilo del diritto immobiliare e della proprietà industriale, la Corte di Cassazione ha segnato una tappa decisiva nella storia del nome “ Britannique ” che identifica un cospicuo albergo napoletano noto nel mondo dalla fine del 1800.

Punto di riferimento del turismo altolocato ed internazionale, l’hotel Britannique ha ospitato clienti illustri, da molti reali dei Paesi europei agli esponenti più noti del mondo della cultura internazionale da Virginia Wolf a George Bernard Show ed è anche divenuto sede del comando generale tedesco e poi di quello americano durante la Seconda Guerra Mondiale.

Nel 2017, in concomitanza con una sospensione dell’attività alberghiera, la proprietà dell’immobile che allora ospitava l’hotel Britannique è passata di mano con un contratto di compravendita che ha comportato il trasferimento dell’edificio e di diversi beni materiali.

Nell’intendimento dell’acquirente, il contratto comportava anche la cessione dell’insegna Britannique, cosicchè, senza che fosse mai avvenuto prima, questo soggetto ha provveduto a registrarla come marchio con il proposito di precostituirsi un diritto esclusivo.

Tale iniziativa ha determinato la pronta reazione del venditore dell’immobile che era stato anche il gestore dell’attività alberghiera ivi esercitata, il quale ha promosso un giudizio avanti il Tribunale di Roma domandando la nullità della registrazione di marchio in ragione dei diritti sul segno “Hotel Britannique acquisiti per effetto dell’ampio uso e della notorietà tuttora sussistente a livello nazionale ed internazionale, avanzando anche una domanda di condanna dell’acquirente per malafede.

L’azione, rigettata in primo grado, ha trovato accoglimento da parte della Corte di Appello con una motivazione che è stata pienamente confermata dalla Cassazione con la sentenza n.5866 del 5 marzo 2024.

Alla base della decisione dei Giudici di merito e della Suprema Corte sta la più alta considerazione del valore dell’avviamento connesso ad un segno distintivo e della esigenza primaria di tutelare il soggetto che lo ha determinato.

Avendo escluso che, in mancanza di una previsione espressa, il contratto di compravendita di un immobile che ospita una attività commerciale possa ritenersi comprendere l’insegna sotto la quale tale attività è esercitata, la decisione della Cassazione ha anche confermato che nome/insegna di un hotel non corrispondono al nome di un edificio e che anche la cessazione dell’attività alberghiera esercitata nell’immobile non fa venire meno in capo all’ex proprietario e gestore la titolarità del marchio costituito da quella insegna ove per essa permanga la notorietà presso il pubblico di riferimento.

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*A cura di Elisabetta Berti Arnoaldi Veli, Partner Sena & Partners

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