Società

Il trattamento dei crediti prededucibili sorti nel corso della procedura fallimentare

I crediti prededucibili sorti nel corso della procedura fallimentare e non contestati per collocazione e ammontare non debbono essere insinuati al passivo nel termine di decadenza previsto dall'articolo 101, commi 1 e 4, della Legge fallimentare

di Rossana Mininno

La prededuzione attua un meccanismo satisfattorio destinato a regolare tutte le obbligazioni della massa ovvero sia quelle sorte al suo interno che quelle interferenti con l'amministrazione concorsuale e influenti sugli interessi del ceto creditorio.

La codificazione dell'istituto è avvenuta con il decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, recante la "Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell'articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80", il cui articolo 99 ha modificato l'articolo 111 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (c.d. Legge fallimentare), ponendo i crediti prededucibili al vertice della gerarchia da seguire nella distribuzione delle somme di denaro ricavate dalla liquidazione dell'attivo e definendo «debiti prededucibili» quelli «così qualificati da una specifica disposizione di legge, e quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali» (comma 2).

L'espressione originaria «debiti prededucibili» è stata sostituita con l'attuale «crediti prededucibili» dal decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169, sostituzione effettuata, come esplicitato nella relazione illustrativa, per una mera esigenza di precisione lessicale.
Quanto alla ratio legis della disposizione i Giudici di legittimità hanno precisato che il secondo comma dell'articolo 111 della Legge fallimentare «detta un precetto di carattere generale che, per favorire il ricorso a forme di soluzione concordata della crisi d'impresa, introduce un'eccezione al principio della par condicio creditorum» ( Cass. civ., Sez. I, 17 aprile 2014, n. 8958 ).

Il rango prededucibile comporta il soddisfacimento del credito con precedenza, rectius «con preferenza» rispetto ai creditori concorrenti (sia privilegiati che chirografari).
Ne consegue un effetto derogatorio rispetto al principio della par condicio creditorum sancito dall'articolo 2741 del codice civile (rubricato "Concorso dei creditori e cause di prelazione"), ai sensi del quale i creditori «hanno eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le cause legittime di prelazione».

La causa legittima di prelazione, intesa «quale eccezione alla "par condicio creditorum", riconosce una preferenza ad alcuni creditori e su certi beni, nasce fuori e prima del processo esecutivo, ha natura sostanziale e si trova in rapporto di accessorietà con il credito garantito poiché ne suppone l'esistenza e lo segue» ( Cass. civ., Sez. I, 11 giugno 2019, n. 15724 ).

La prededuzione differisce dalla causa legittima di prelazione in quanto «attribuisce […]una precedenza processuale, in ragione della strumentalità dell'attività, da cui il credito consegue, agli scopi della procedura, onde renderla più efficiente […] ha natura procedurale, perché nasce e si realizza in tale ambito e assiste il credito di massa finché esiste la procedura concorsuale in cui lo stesso ha avuto origine, venendo meno con la sua cessazione» ( Cass. civ., Sez. I, 11 giugno 2019, n. 15724 ).

Con la recente sentenza n. 34435/2021 , pubblicata in data 15 novembre 2021, la Prima Sezione civile della Corte di cassazione, chiamata a pronunciarsi sulla vexata quaestio del trattamento dei crediti prededucibili sorti durante la procedura e contestati, ha in primis chiarito - quanto all'ambito oggettuale dell'articolo 111-bis della Legge fallimentare (ai sensi del quale i crediti prededucibili devono essere accertati con le modalità di cui al Capo V «con esclusione di quelli non contestati per collocazione e ammontare, anche se sorti durante l'esercizio provvisorio») - che «i crediti prededucibili «non contestati per collocazione e ammontare» non possono essere identificati semplicemente in quelli che non siano stati oggetto di una specifica presa di posizione da parte degli organi della procedura fallimentare, secondo una nozione processualistica volta ad estendere la nozione elaborata in seno al processo civile di cognizione in forza dell'art. 115, comma 2, cod.proc.civ., in difetto nella fattispecie di una sede procedimentalizzata per lo sviluppo di un percorso dialettico caratterizzato da termini e scansioni per l'articolazione di difese ed eccezioni».

È, invece, ritenuto necessario «un vero e proprio contegno ammissivo degli organi della procedura, volto a riconoscere esplicitamente la sussistenza e l'entità del credito, o, quantomeno, un comportamento incompatibile, logicamente e giuridicamente, con l'intento di disconoscerli».

Al ricorrere di tale presupposto, il curatore è legittimato, ove si tratti di crediti prededucibili «sorti nel corso del fallimento che sono liquidi, esigibili e non contestati per collocazione e per ammontare», a procedere al relativo soddisfacimento «al di fuori del procedimento di riparto se l'attivo è presumibilmente sufficiente a soddisfare tutti i titolari di tali crediti» (articolo 111-bis, comma 4, della Legge fallimentare).

Conclusivamente, i Supremi Giudici hanno enunciato il seguente principio di diritto: «I crediti prededucibili sorti nel corso della procedura fallimentare «non contestati per collocazione e ammontare» di cui all'art. 111 bis, comma 1, l.fall, esclusi dall'accertamento con le modalità di cui al capo V della l.fall., non debbono essere insinuati al passivo nel termine di decadenza previsto dall'art. 101, commi 1 e 4, l.fall. e neppure nel limite temporale di un anno, individuato in coerenza e armonia con l'intero sistema di insinuazione e sulla scorta dei principi costituzionali di cui all'art. 3 Cost. e all'art. 24 Cost., decorrente dal momento in cui si verificano le condizioni di partecipazione al passivo fallimentare».

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