Immigrati, il Tribunale non può bloccare il trasferimento nello Stato membro che ha negato l’asilo
Le Sezioni unite, sentenza n. 935 depositata oggi, hanno accolto il ricorso del Ministero dell’Interno favorevole al trasferimento di un cittadino Pakistano in Austria dopo il diniego dell’asilo
Uno Stato membro non può negare il trasferimento di un extracomunitario presso lo Stato membro competente che ha negato la protezione internazionale a meno di comprovate carenze nella procedura e nelle condizioni di accoglienza. Le Sezioni unite, sentenza n. 935 depositata oggi, accogliendo il ricorso del ministero dell’Interno, affermano un principio di diritto alla luce della sentenza della Corte Ue del 30/11/2023 ponendo dei limiti ben precisi nella valutazione del rischio di violazione del principio di “non refoulement” da parte del giudice nazionale.
Il caso era quello di un cittadino del Pakistan che aveva impugnato il provvedimento del Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione che aveva disposto il suo trasferimento in Austria. Il Paese che ne aveva respinto il ricorso e che dunque l’avrebbe rimpatriato col pericolo, sosteneva il ricorrente, di essere esposto a un grave pericolo.
Il Tribunale di Firenze gli ha dato ragione affermando che la situazione pakistana, in particolare quella della città di provenienza Parachinar e più in generale del distretto di Kurram, era tale da esporre il ricorrente a pericolo di grave danno di trattamenti inumani e degradanti e di esposizione a una situazione di violenza generalizzata.
Per le S.U. però il dictum della Corte europea è inequivoco nel negare ai giudici degli Stati membri il potere di sindacare l’esercizio della clausola discrezionale dell’art.17 del Regolamento Dublino III da parte dell’Autorità competente del loro Stato allo scopo di tutelare il richiedente asilo dal rischio di refoulement indiretto, in assenza di carenze sistemiche della procedura di asilo e delle condizioni di accoglienza nel Paese altrimenti ordinariamente competente, sul presupposto di una diversa valutazione dei rischi connessi al rimpatrio nel Paese di provenienza.
Del resto, prosegue la decisione, il riconoscimento della protezione internazionale nei Paesi dell’Unione è basato su un sistema comune di asilo (art. 78 T.F.U.E.), che postula un principio generale di reciproca fiducia tra i sistemi di asilo nazionali e il mutuo riconoscimento delle decisioni emesse dalle singole autorità nazionali, che si fonda su di un sistema comune di valori e di regole che li incarnano e che tutti gli Stati membri sono chiamati a rispettare.
La Cassazione, nella lunga dissertazione di 58 pagine ricorda tutti i principi messi nero su bianco dai giudici europei, affermando che il provvedimento di Firenze non è allineato. Il Tribunale, infatti, senza accertare alcuna forma di carenza sistemica nel sistema di esame delle domande e di accoglienza austriaco, si è avvalso della clausola di discrezionalità, per formulare proprio quella valutazione che il diritto europeo, come chiarito dalla sentenza «Ministero dell’Interno» della Corte di Giustizia del 30.11.2023, non consente: ossia delibare un rischio di respingimento indiretto in un Paese di origine (il Pakistan) sulla base di una differente valutazione del livello di protezione di cui può beneficiare colà il richiedente, ignorando la regola della fiducia reciproca e la soggezione di tutti i Paesi membri al principio di non respingimento.
La Seconda Sezione della Corte di Giustizia (decidendo sulle cause riunite C-228/21, C-254/21, C297/21, C-315/21, C-328/21), ricorda la Suprema corte, in ordine alla clausola discrezionale: ha ribadito la natura facoltativa della clausola discrezionale e ha ripetuto che spetta allo Stato membro interessato determinare le circostanze in cui intende far uso della facoltà conferita; ha precisato che il giudice dello Stato membro non può obbligare lo Stato membro ad applicare la clausola discrezionale per il motivo che esisterebbe, nello Stato membro richiesto, un rischio di violazione del principio di non-refoulement; infine, ha chiarito che, se le carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dovessero essere acclarate, la competenza dello Stato membro richiedente si fonderebbe sull’art. 2, par. 2 del Regolamento, cosicché non sarebbe necessario, per lo Stato membro richiedente, ricorrere all’art. 17, par. 1, del medesimo Regolamento.
La sentenza «Ministero dell’Interno» dunque esclude che il giudice dello Stato membro possa imporre al suo Stato l’impiego della clausola discrezionale per scongiurare il rischio di non- refoulement che a suo parere si delineerebbe nello Stato membro destinatario del trasferimento: e ciò perché siffatta decisione infrangerebbe il fondamentale principio di fiducia reciproca fra gli Stati membri.
Per queste ragioni il decreto impugnato è stato cassato con rinvio della causa al Tribunale di Firenze in diversa composizione, che si atterrà al seguente principio di diritto: «Nel procedimento di impugnazione delle decisioni di trasferimento dei richiedenti asilo (ex art.27 del Regolamento UE n. 604 del 26.6.2013, nonché ex art.3 del d.lgs. 28.1.2008 n.25, e s.m.i. e ex art.3, lettera e-bis del d.l. 17.2.2017 n. 13, convertito con modifiche in legge 13.4.2017 n. 46), il giudice adito non può esaminare se sussista un rischio, nello Stato membro richiesto, di una violazione del principio di non-refoulement al quale il richiedente protezione internazionale sarebbe esposto a seguito del suo trasferimento verso tale Stato membro, o in conseguenza di questo, sulla base di divergenze di opinioni in relazione all’interpretazione dei presupposti sostanziali della protezione internazionale, a meno che non constati l’esistenza, nello Stato membro richiesto, di carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale».