Civile

Immigrazione, il Tribunale di Catania ‘smonta’ il Dl Cutro sui richiedenti asilo

Il giudice della Sezione immigrazione ha negato la convalida del trattenimento disapplicando la recente normativa sul “paese sicuro” e la “garanzia finanziaria” perché contraria alla legge comunitaria

immagine non disponibile

di Francesco Machina Grifeo

Si deve escludere che la “mera provenienza del richiedente asilo da Paese di origine sicuro possa automaticamente privare il suddetto richiedente del diritto a fare ingresso nel territorio italiano per richiedere protezione internazionale”. Poche parole per rimettere in libertà un cittadino tunisino (arrivato lo scorso 20 settembre a Lampedusa e poi trasferito il 27/9 nel nuovo centro di Pozzallo) che chiedeva la“protezione internazionale” e per ‘terremotare’ il mondo politico. Le ha scritte il giudice Iolanda Apostolico della Sezione immigrazione del Tribunale di Catania (R.G. 10461/ 2023) accogliendo il ricorso dello straniero (difeso dall’avvocato Salvatore Vitale) contro la convalida del provvedimento di trattenimento emesso dal Questore della Provincia di Ragusa.

In tal modo bocciando, perché contraria alla giurisprudenza della Corte Ue ed alla stessa Costituzione italiana (come interpretata dalle S.U. della Cassazione), un pezzo rilevante della politica di contrasto all’immigrazione illegale messa in piedi dal Governo Meloni e che ruota intorno al cd. “ Dl Cutro ” (il provvedimento preso a seguito del naufragio in cui, nel febbraio scorso, persero la vita 94 migranti tra cui 35 bambini). Entrano così in crisi due caposaldi della nuova normativa: le limitazioni all’ingresso per i soggetti provenienti da un cd. “paese sicuro” e la “garanzia finanziaria” di quasi 5 mila euro per evitare il trattenimento.

Per l’avvocato Riccardo Campochiaro, presidente del centro Astalli di Catania: “È una pronuncia importantissima perché stabilisce che la normativa italiana non può che essere disapplicata se non è coerente con quella europea e ci fa capire che una norma italiana deve rispettare sempre la Costituzione e la normativa internazionale”.

Il provvedimento del giudice, per prima cosa, ricorda che il richiedente non può essere trattenuto al solo fine di esaminare la sua domanda (articolo 6, co. 1 Dlgs 142/2015); e che il trattenimento deve considerarsi misura eccezionale e limitativa della libertà personale ex articolo 13 della Costituzione.

La Cgue (Grande Sezione, cause riunite C-924/19 PPU e C-925/19 PPU) ha infatti chiarito che la direttiva 2013/33/UE (artt. 8 e 9) deve essere interpretata nel senso che un richiedente protezione internazionale non possa essere trattenuto “per il solo fatto che non può sovvenire alle proprie necessità”, e che comunque il trattenimento non può avere luogo “senza la previa adozione di una decisione motivata”. Mentre la Corte costituzionale ha stabilito che laddove la disciplina interna è incompatibile con quella comunitaria, la prima va disapplicata dal giudice nazionale (n. 389/1989).

Il provvedimento del Questore non risultava “corredato da idonea motivazione”, difettando “ogni valutazione su base individuale” nonché la “necessità e proporzionalità della misura”. Non essendo sufficiente al diniego il semplice fatto che il richiedente fosse tunisino e dunque proveniente da una paese considerato non a rischio.

Del resto, prosegue la decisione, l’articolo 6 bis del Dlgs 142/2015, per come modificato dal Dl Cutro, prevede una garanzia finanziaria che “non si configura come misura alternativa al trattenimento ma come requisito amministrativo imposto al richiedente prima di riconoscere i diritti conferiti dalla direttiva 2013/33/UE, per il solo fatto che chiede protezione internazionale”. E allora il recente Dm attuativo del 14 settembre 2023 nella parte in cui prevede che la garanzia finanziaria “sia idonea quando l’importo fissato possa garantire allo straniero, per il periodo massimo di trattenimento, pari a quattro settimane (ventotto giorni), la disponibilità di un alloggio adeguato sul territorio nazionale, della somma occorrente al rimpatrio e di mezzi di sussistenza minimi necessari, determinando in 4938,00 euro l’importo per la prestazione della garanzia finanziaria per l’anno 2023, da versare in un’unica soluzione mediante fideiussione bancaria o polizza fideiussoria assicurativa, e precludendo la possibilità che esso sia versato da terzi, non è compatibile con gli articoli 8 e 9 della direttiva 2013/33, come interpretati dalla Corte di Giustizia”.

Inoltre, sempre la direttiva 32/2013UE, impone che le domande vengano vagliate alla frontiera, salvo specifici casi eccezionali, e dunque non autorizzano come nel caso è invece avvenuto una valutazione della richiesta in una zona diversa da quella di ingresso, “ove il richiedente sia stato coattivamente condotto in assenza di precedenti provvedimenti coercitivi”.

”Nello specifico - ricapitola il legale Campochiaro - la fideiussione bancaria personale di circa 5mila euro non è compatibile con la direttiva 33 del 2013 dell’Ue nella parte in cui non prevede che la garanzia possa essere prestata da terzi. Il giudice inoltre cita l’articolo 10 della Costituzione poichè non si può privare il diritto di fare ingresso nel territorio italiano per chiedere protezione internazionale solo perchè si proviene da un paese di origine ritenuto sicuro”. “Inoltre - conclude - l’applicazione della procedura di frontiera non può avvenire in luogo diverso rispetto a quello dell’ingresso: i migranti sono arrivati a Lampedusa non a Pozzallo”.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©