Civile

Imposta di registro al 3% sul decreto ingiuntivo ottenuto dal fideiussore

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di Angelo Busani

Si tassa con l’aliquota del 3% di imposta di registro il decreto ingiuntivo ottenuto dal fideiussore escusso dal creditore garantito in caso di insolvenza del debitore nell’adempimento di un’obbligazione sorta nel contesto di una prestazione di servizi o di una cessione di beni soggetta a Iva. E ciò in quanto il garante chiede al giudice il rimborso di quanto ha versato al creditore (e quindi non aziona in giudizio un rapporto rientrante nel campo di applicazione dell’Iva). Lo decidono le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 18520 depositata ieri componendo un noto contrasto di giurisprudenza tra le sezioni semplici.

Il tema è che il provvedimento giudiziale di condanna all’adempimento di obbligazioni nascenti da un rapporto soggetto a Iva (una prestazione professionale non pagata dal cliente o il pagamento di merce venduta da un’azienda) è soggetto a imposta di registro in misura fissa, in base al principio di alternatività tra Iva e registro.

La questione si complica nel caso delle fideiussioni a garanzia di obbligazioni derivanti da prestazioni soggette a Iva: ad esempio, il contratto di compravendita di un macchinario stipulato tra la società costruttrice e un suo cliente garantito da una fideiussione bancaria.

In caso di inadempimento del cliente, il fornitore escute il fideiussore (di solito, una banca) e a essa spetta il diritto di regresso verso il debitore inadempiente: se questi non paga, il fideiussore ne chiede la condanna al fine di ottenere il titolo esecutivo per effettuare il pignoramento e iniziare, così, la procedura che conduce all’espropriazione dell’esecutato. Ebbene, il tema è se la condanna del debitore a rimborsare il fideiussore è afferente a un rapporto compreso nel campo applicativo dell’Iva (ciò che degraderebbe l’imposta di registro alla misura fissa) o al di fuori del perimetro dell’Iva e, quindi, da registrarsi con l’aliquota del 3% prendendo come base imponibile il valore della condanna. Sul punto la Cassazione si era divisa.

Da un lato, è stata sostenuta l’opinione secondo cui il rapporto principale (tra creditore e debitore) e il connesso rapporto di garanzia (tra il debitore che procura la fideiussione, garante che la rilascia e creditore che ne beneficia) sono da considerare un tutt’uno inscindibile: cosicché, la soggezione a Iva del rapporto principale copre, in sostanza, anche il rapporto di garanzia e, quindi, la condanna del debitore principale a pagare il creditore (sicuramente soggetta a imposta di registro fissa) andrebbe osservata in modo pressoché identico alla condanna del debitore a rimborsare il fideiussore di quanto questi abbia pagato al creditore (Cassazione 14000/2014; 16192/2014; 16306/2014, 16975/2014, 24997/2015, 19365/2018).

La tesi opposta, ora accolta dalle Sezioni Unite (Cassazione 20260/2015, 20665/2015, 25702/2015, 12221/2017, 1339/2018, 2551/2018), invece scinde i due piani: un conto è il rapporto principale, soggetto a Iva, altro conto è, invece, il rimborso che il fideiussore pretende a fronte dell’escussione subìta. Qui non siamo più nel campo applicativo dell’Iva e non è consentito invocare il principio di alternatività che degrada il registro alla misura fissa.

Corte di cassazione, Sezioni unite, sentenza 10 luglio 2019, n. 18520

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