Impresa fallita, per il requisito dimensionale sono dipendenti coloro che hanno da almeno un anno rapporto subordinato
Non possono computarsi, tra i dipendenti occupati nell'ultimo anno, quelli che lavorano nelle aziende cedute in affitto a terzi
L'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo n. 270 del 1999 prescrive che il tribunale accerti lo stato di insolvenza rispetto a un'impresa avente i requisiti previsti dall'articolo 2, imponendo così che l'accertamento si riferisca alle condizioni dell'impresa sussistenti al momento dell'avvio della procedura. Ne discende, chiarisce la Cassazione con l'ordinanza 10 febbraio 2022 n. 4343, che ai fini del calcolo del requisito dimensionale di cui all'articolo 2, comma 1, lett. a), del decreto legislativo n. 270 del 1999 debbono considerarsi dipendenti solo coloro che risultino titolari, da almeno un anno, di un rapporto di lavoro subordinato con l'impresa alla data della dichiarazione dello stato di insolvenza, mentre non possono computarsi tra i dipendenti occupati nell'ultimo anno, in applicazione del disposto dell'articolo 2112, comma 1, del Cc, quelli che lavorano in aziende trasferite in affitto a terzi (Principio enunciato in motivazione, ai sensi dell'art. 384 Cpc).
I precedenti
Nella stessa ottica della pronunzia in rassegna, si veda la Cassazione, sentenza 15 marzo 2013, n. 6648, ove, la duplice precisazione, da un lato, che tema di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, il requisito dimensionale indicato nell'art. 2, lett. a), del d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270, deve essere accertato con riferimento alla singola impresa richiedente e non con riguardo al gruppo del quale la medesima faccia parte, dall'altro, che non possono computarsi, tra i dipendenti occupati nell'ultimo anno, quelli che lavorano nelle aziende cedute in affitto a terzi, restando irrilevante che essi conservino ragioni di credito nei confronti dell'impresa di provenienza per il lavoro prestato in precedenza, che influiscono ai fini della formazione dello stato passivo e non dell'organizzazione e dimensione dell'impresa.
Nel senso, ancora, che la cessione d'azienda determina, con riferimento al lavoratore, la successione legale nel contratto di lavoro, con conseguente esclusione, ai fini del perfezionamento del contratto di cessione, del consenso del lavoratore ceduto, che potrà successivamente esercitare il proprio diritto di recesso nei termini sanciti dal comma 4 dell'art. 2112 Cc, (Cassazione, sentenza 23 maggio 2017, n. 12919, in Giurisprudenza italiana, 2017, p. 2699, con nota di De Marco E., Rilevanza del consenso del lavoratore nel trasferimento d'azienda; ivi, 2018, p. 151, con nota di Grasso F.R., Sul comportamento (concludente) del lavoratore ceduto nel trasferimento d'azienda; in Lavoro nella giurisprudenza, 2017, p. 860, con nota di Angiello L., Successione legale del contratto nella cessione di azienda (Nello stesso senso, altresì, Cassazione, sentenza 22 luglio 2002, n. 10701, in Diritto del lavoro, 2003, II, p. 207, con nota di Fedele F., Consenso del lavoratore e trasferimento d'impresa; in Riv. dir. lavoro, 2003, II, p. 148, con nota di Scarpelli F., Nozione di trasferimento di ramo di azienda e rilevanza del consenso del lavoratore).
Nozione di trasferimento di azienda
Sulla nozione di trasferimento di azienda ai sensi dell'art. 2112 Cc si è precisato, tra l'altro:
- in materia di trasferimento d'azienda, la disciplina dell'art. 2112 Cc si applica ogni qualvolta, rimanendo immutata l'organizzazione aziendale, vi sia la sostituzione della persona del titolare del rapporto di lavoro e il suo subentro nella gestione del complesso dei beni ai fini dell'esercizio dell'impresa, indipendentemente dallo strumento tecnico giuridico adottato e dalla sussistenza di un vincolo contrattuale diretto tra cedente e cessionario, Cassazione, sentenza 23 ottobre 2018, n. 26808 (Nella specie, la stessa concedente aveva concluso due successivi contratti d'affitto della medesima azienda con due diversi affittuari e la S.C. ha ritenuto applicabile l'art. 2112 al rapporto di lavoro di una lavoratrice, impiegata presso il primo affittuario e poi, dopo la cessazione anticipata dell'attività di questi, passata alle dipendenze del secondo);
- la disciplina dell'art. 2112 Cc si applica anche nell'ipotesi di cessazione del contratto di affitto d'azienda e conseguente retrocessione della stessa all'originario cedente, purché quest'ultimo prosegua l'attività già esercitata in precedenza, mediante l'immutata organizzazione aziendale, con onere della prova a carico di chi invoca gli effetti dell'avvenuto trasferimento, Cassazione, sentenza 1° ottobre 2018, n. 23765;
- la fattispecie del trasferimento di azienda regolata dall'art. 2112 Cc ricorre tutte le volte che, rimanendo immutata l'organizzazione aziendale, vi sia soltanto la sostituzione della persona del titolare, indipendentemente dallo strumento tecnico-giuridico adottato (nella specie, locazione e non affitto d'azienda) essendo sufficiente, ai fini dell'integrazione delle condizioni per l'operatività della tutela del lavoratore, il subentro nella gestione del complesso dei beni organizzati ai fini dell'esercizio dell'impresa, ossia la continuità nell'esercizio dell'attività imprenditoriale, restando immutati il complesso di beni organizzati dell'impresa e l'oggetto di quest'ultima, costituendo un indice probatorio di tale continuità l'impiego del medesimo personale e l'utilizzo dei medesimi beni aziendali, Cassazione, sentenza 23 luglio 2012, n. 12771;
- l'art. 2112 Cc, nel regolare i rapporti di lavoro in caso di trasferimento d'azienda, trova applicazione in tutte le ipotesi in cui il cedente sostituisca a sé il cessionario senza soluzione di continuità, anche nel caso di affitto d'azienda; ne deriva che l'obbligazione dell'azienda affittuaria, come avviene per gli altri casi di cessione, si risolve in un impegno sine die di mantenimento dell'occupazione dei dipendenti trasferiti, che, una volta assunto, non può essere eluso semplicemente con la formale restituzione dell'azienda, per cessazione del rapporto di affitto, quando risulti che invece l'attività della impresa cedente era definitivamente cessata, mentre quella dell'azienda affittuaria era continuata, Cassazione, sentenza 26 luglio 2011, n. 16255, in Dir. prat. lavoro, 2011, p, 2185 (con nota di Servidio S., Trasferimento d'azienda e livelli occupazionali) ove il rilievo, altresì che gli effetti dell'art. 2112 Cc., che regola i rapporti di lavoro in caso di trasferimento d'azienda, si applicano anche nell'ipotesi di retrocessione dell'azienda affittata, nel senso che il cedente assume, a sua volta, gli obblighi di mantenimento dell'occupazione derivanti dalla predetta norma, ma ciò presuppone che l'impresa retrocessionaria (cioè originariamente cedente) prosegua, mediante la immutata organizzazione dei beni aziendali, l'attività già esercitata in precedenza, vanificandosi, altrimenti, l'intento perseguito dal legislatore.
Sulla amministrazione straordinaria delle imprese in stato di insolvenza
Per utili riferimenti, nel senso che tema di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, ai sensi del decreto legislativo n. 270 del 1999, il requisito dimensionale, in riferimento al numero dei lavoratori subordinati, va determinato, ex art. 6, decreto legislativo n. 61 del 2000, nel testo anteriore alla modifica introdotta dall'art. 1, decreto legislativo n. 100 del 2001, computando i lavoratori a tempo parziale nel numero complessivo dei dipendenti in proporzione all'orario svolto riferito alle ore lavorative ordinarie effettuate in azienda con arrotondamento all'unità della frazione di orario superiore alla metà di quello normale e, quindi, calcolando il lavoratore a tempo parziale come una unità, qualora l'orario di lavoro sia superiore alla metà di quello osservato dal lavoratore a tempo pieno, risultando questa interpretazione conforme alla direttiva 97/81/CE e dovendo altresì ritenersi che l'art. 1,decreto legislativo n. 100 del 2001 - in virtù del quale i lavoratori a tempo parziale sono computati nel complesso del numero dei lavoratori dipendenti in proporzione all'orario svolto e l'arrotondamento del tempo parziale opera per le frazioni di orario eccedenti la somma degli orari individuati a tempo parziale corrispondente a unità intere di orario a tempo pieno - non ha natura interpretativa e, conseguentemente, non è applicabile alle fattispecie perfezionatesi anteriormente alla sua entrata in vigore, Cassazione, sentenza 5 dicembre 2003, n. 18620.
Mediazione civile, si va verso l'approvazione dei "correttivi"
di Marco Marinaro - Docente di Giustizia sostenibile e ADR - Dipartimento di Giurisprudenza Università LuissGuido Carli - Roma