Penale

In caso di esposto offensivo nei confronti dell'avvocato il "fine" salva il cliente dalla diffamazione

Per la Cassazione è esclusa la diffamazione se l'esposto offensivo è funzionale ad una verifica ai fini della sanzione deontologica

di Marina Crisafi

E' escluso il reato di diffamazione per l'esposto offensivo del cliente ai danni dell'avvocato se serve a rimediare a un illecito disciplinare. È quanto si ricava dalla recente sentenza n. 9803/2021 con cui la Cassazione ha scagionato un uomo dal reato di diffamazione ai danni di un legale.

La vicenda
Nella specie, l'uomo aveva inviato un esposto al Consiglio dell'ordine di Padova attribuendo al legale una condotta non corretta tesa non già all'interesse del cliente bensì di un "amico medico con cui condivide laute parcelle" accusandolo di aver svolto il mandato in conflitto di interesse e di avergli fatto firmare "un contratto senza leggerlo e spiegarlo" oltre che di aver "dimenticato di fatturare" un assegno corrisposto come anticipo del compenso professionale.
Condannato per diffamazione dal giudice di pace, l'uomo si rivolge al Palazzaccio invocando l'esimente del legittimo esercizio del diritto di critica, anche nella forma putativa, posto che ad ogni espressione ritenuta diffamatoria corrispondeva un'analitica allegazione dei fatti oggetto di denuncia maturati nell'ambito del rapporto difensivo, di cui il giudicante aveva completamente omesso la disamina senza verificare pertinenza, continenza e veridicità di quanto prospettato.
Per la quinta sezione penale della Suprema Corte il ricorso è fondato.

Diffamazione mediante esposto
Secondo il consolidato orientamento di legittimità, premettono i giudici di piazza Cavour, "in tema di diffamazione realizzata mediante esposti indirizzati ad organi di disciplina o, in genere, mediante osservazioni finalizzate all'esercizio di poteri di controllo e verifica, integra il reato - sotto il profilo materiale - la condotta di colui che invii comunicazioni gratuitamente denigratorie, considerato che la destinazione alla divulgazione può trovare il suo fondamento, oltre che nella esplicita volontà del mittente-autore, anche nella natura stessa della comunicazione, in quanto propulsiva di un determinato procedimento (giudiziario, amministrativo, disciplinare) che deve essere portato a conoscenza di altre persone, diverse dall'immediato destinatario, sempre che l'autore della missiva prevedesse o volesse la circostanza che il contenuto relativo sarebbe stato reso noto a terzi".

La destinazione "funzionale" salva dalla diffamazione
Tuttavia, la destinazione funzionale dell'esposto all'attivazione dei poteri di accertamento e disciplinari dell'organismo destinatario impone la necessaria valutazione della possibile sussistenza della causa di giustificazione di cui all'articolo 51 c.p. o della causa di non punibilità ex articolo 598 c.p., rilevabili "ex officio" anche in sede di legittimità, ricorrendo l'esimente del diritto di critica quando i fatti esposti siano veri o quanto meno l'accusatore sia fermamente e incolpevolmente, ancorché erroneamente, convinto della loro veridicità.
In questa prospettiva, dunque, "non integra il delitto di diffamazione la condotta di chi invii una segnalazione, ancorché contenente espressioni offensive, alle competenti autorità, volta ad ottenere un intervento per rimediare ad un illecito disciplinare considerato che, in tal caso, ricorre la generale causa di giustificazione di cui all'art. 51 c.p., "sub specie" di esercizio del diritto di critica, anche in forma putativa, laddove l'agente abbia esercitato il diritto di critica ed assolto l'onere di deduzione di fatti nella convinzione, anche erronea, del rilievo dei medesimi ai fini richiesti.
In tal senso, dunque, il diritto di critica "esclude la punibilità di coloriture ed iperboli, toni aspri o polemici, linguaggio figurato o gergale, purchè tali modalità espressive siano proporzionate e funzionali all'opinione o alla prospettazione di una violazione, in considerazione degli interessi e dei valori che si ritengono compromessi".

La decisione
Nella fattispecie, il giudice di pace non ha correttamente applicato questi principi, impropriamente reputando infondate le accuse rivolte all'avvocato solo sugli esiti del procedimento disciplinare, laddove invece la difesa aveva argomentato sulla veridicità dei fatti addebitati alla persona offesa, escludendo così il requisito della verità dei fatti.
Anche sotto il profilo della pertinenza espressiva, la sentenza impugnata, concludono gli Ermellini, non ha fatto buon governo del principio secondo cui "il requisito della continenza postula una forma espositiva corretta della critica rivolta - e cioè strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione e che non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell'altrui reputazione - e non può ritenersi superato per il solo fatto dell'utilizzo di termini che, pur avendo accezioni indubitabilmente offensive, hanno però anche significati di mero giudizio critico negativo di cui deve tenersi conto anche alla luce del complessivo contesto in cui il termine viene utilizzato, rispetto al quale assume rilevanza il profilo soggettivo del dichiarante e la sua capacità espressiva in riferimento al livello culturale e sociale".
In sostanza, le espressioni utilizzate vanno valutate nella complessiva portata significativa, cosa che non è avvenuta nel provvedimento impugnato (da cui non risulta quali espressioni siano state ritenute continenti e quali invece formulate solo in via suggestiva e congetturale), che pertanto va annullato.
La parola passa al giudice del rinvio.

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