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Influencer e immagini con marchio notorio: quando l'uso sui social network può diventare illecito?

Uso illecito di un marchio notorio da parte di un Influencer per fini commerciali e condivisione illegittima di contenuti raffiguranti segni distintivi altrui sui social media: sono questi i temi principali affrontati dal Tribunale di Genova, nell'ordinanza cautelare del 4 febbraio 2020, ove sono stati delineati i confini della violazione dei diritti esclusivi del titolare del marchio.

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di Antonino La Lumia ed Elena Tieghi*


Tribunale di Genova, sez. imprese, ordinanza del 4 febbraio 2020

Il caso ha coinvolto - da un lato - il noto marchio Ferrari e - dall'altro - una società produttrice di un particolare modello di calzature e un influencer, designer di calzature e prodotti di abbigliamento, nonché amministratore delle società, che commercializzano le sue creazioni. La Ferrari S.p.a. ha promosso ricorso cautelare, ai sensi degli artt. 700 c.p.c., 131 RMUE, 21 e 131 c.p.i., lamentando non solo un utilizzo commerciale illegittimo del marchio, ma anche denigrazione e discredito derivanti dalle immagini e video apparsi sul profilo Instagram dell'influencer, con un conseguente significativo danno.

Con procedura d'urgenza, è stata, pertanto, chiesta l'inibitoria delle pubblicazioni: domanda respinta, in prima fase, per ritenuto difetto del periculum in mora; tuttavia, in sede di successivo reclamo, le richieste cautelari sono state accolte, proprio perché - al contrario - si è ritenuto sussistente il pericolo della reiterazione della condotta dell'influencer: è stata, così, ordinata la rimozione dei contenuti illeciti e disposta una penale a carico dell'autore per ogni eventuale violazione. La fattispecie è di indubbio interesse, perché consente al Tribunale di dettare, in maniera chiara ed esaustiva, vere e proprie linee guida sull'uso dei marchi ad uso commerciale sui social network.

In particolare, le immagini oggetto di contenzioso sono state tre:

1. un video raffigurante un paio di calzature appoggiate sul cofano di una Ferrari dell'influencer, con logo in evidenza;

2. un video integrato da didascalie commerciali, ambientato in un car wash, nel quale "giovani donne in abiti succinti erano vagamente impegnate" nel lavaggio di un'autovettura, in presenza delle calzature appoggiate sempre sul cofano di una Ferrari;

3. un'immagine - pubblicata a seguito delle diffide di Ferrari S.p.a. - sotto forma di story sul profilo Instagram dell'influencer, nella quale il marchio Ferrari era stato associato a un altro raffigurante l'influencer stesso appoggiato a una Ferrari, vestito con una tuta di colore rosa di propria creazione.

Quanto al primo video, il Collegio ha ricondotto la fattispecie alla disciplina prevista dagli artt. 20, comma 1 del Codice della Proprietà Industriale (c.p.i.), e 9, par. 2, lett. c) e par. 3, lett. e) del Regolamento sui marchi dell'Unione Europea (RMUE). In questo contesto, ha ritenuto illegittima l'associazione tra i due marchi / prodotti e illecito l'uso commerciale del marchio Ferrari, qualificandolo come "notorio", in quanto associato in tutto il mondo alla storia dell'automobilismo e posto all'apice delle virtù industriali dell'intero continente europeo.

Sul punto, infatti, l'art. 20, primo comma, c.p.i. (diritti conferiti dalla registrazione del marchio) dispone che "I diritti del titolo del marchio d'impresa registrato consistono nella facoltà di fare uso escluso del marchio. il titolare ha diritto di vietare a terzi, salvo proprio consenso, di usare nell'attività economica: (…) c) un segno identico o simile al marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, se il marchio registrato goda nello stato di rinomanza e se l'uso del segno, anche a fini diversi da quello di contraddistinguere i prodotti e i servizi, senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi".

Il Tribunale ha ritenuto che l'accostamento del marchio notorio alle calzature dovesse rientrare nell'indebito uso del segno descritto dalla suddetta norma, in quanto realizzato per "fini diversi da quello di contraddistinguere i prodotti ed i sevizi": è stato punito, in questo senso, il tentativo di giovarsi indebitamente dell'immagine e dell'autorevolezza commerciale dello stesso.

A tal riguardo, opera anche il richiamato art. 9 RMUE (diritti conferiti dal marchio UE), il cui par. 2, lett. c), ricalca - in ambito comunitario - quanto dispone il nostro codice, mentre al par. 3, lett. e) individua il diritto del titolare del marchio di vietarne a terzi l'uso nel commercio, nei seguenti casi:

a) apposizione del segno su prodotti o sul loro imballaggio;

e) uso del segno nella corrispondenza commerciale o nella pubblicità.

Dinanzi a tali contestazioni, l'influencer si è difeso, sostenendo che le immagini riprodotte sul proprio profilo Instagram non avessero finalità "commerciale", ma solo funzione "descrittiva" delle proprie abitudini di vita. La chiave interpretativa della pronuncia si fonda essenzialmente su questo punto.

Il Collegio, infatti, dopo aver ragionevolmente premesso che, nell'ambito dell'attività di influencer, è "normale" l'ostentazione della propria vita privata, compresi i beni di consumo con relativi segni distintivi, prende posizione in maniera inequivoca sul limite della liceità dell'uso di questi ultimi nella rappresentazione sui social di un contesto più ampio.

L'uso dei marchi da parte dell'influencer dovrebbe ritenersi lecito: "- quando è stato autorizzato dal titolare del segno distintivo;- nelle ipotesi, in cui le immagini esposte possano comunicare - in campo al pubblico - un significato diverso da quello pubblicitario e commerciale, e cioè siano descrittive di scene di vita dell'influencer o di terze persone".

Esattamente al contrario, continua il Collegio, non potrebbe che qualificarsi come abusivo l'uso del marchio, quando le immagini riprodotte senza il consenso del marchio abbiano significato commerciale o pubblicitario agli occhi degli utenti social, nelle seguenti fattispecie, in cui l'esposizione del marchio:

"a) venga accompagnata da inserzioni o didascalie espressamente pubblicitarie;
b) venga pubblicato in un contesto (si pensi ad un sito o ad un profilo Instagram o altri social media), che risulti prevalentemente indirizzato alla comunicazione pubblicitaria, e cioè contenga primariamente messaggi commerciali (come nel caso in esame);
c) compaia in immagini che - di per sé - non possano avere altro significato che l'esposizione di un prodotto a scopi commerciali, e non già scene di vita dell'influencer o di terzi"
.

È stato così ritenuto che l'immagine oggetto di causa non potesse avere finalità diverse da quelle commerciali, in quanto l'immagine delle calzature esposte sul cofano di una autovettura non poteva ritenersi idonea a descrivere un momento di vita, non rappresentando un soggetto nel compimento di un atto e considerando anche che appoggiare le scarpe su un'autovettura fosse comunque una condotta priva di giustificazione pratica.

2) Rispetto alla seconda immagine oggetto del procedimento, il Collegio ha ritenuto, come per la prima, che avesse finalità commerciale, poiché in una didascalia al margine del video era stato inserito il costo delle calzature e poiché inserita in un profilo Instagram, con natura e funzione meramente pubblicitaria. In relazione a questo video, i Giudici hanno valorizzato anche il profilo del danno all'immagine lamentato dal marchio Ferrari, atteso che - nel "montaggio" della scena - erano palesemente messi in evidenza gli ancheggiamenti di due giovani donne reclinate sul cofano della vettura: un'immagine non proprio sobria.

Sotto questo aspetto, richiamando una precedente sentenza del Tribunale di Bologna del 6 febbraio 2009, l'uso illecito del marchio in esame è stato ricondotto al cosiddetto "offuscamento" (dilution by tarnishment), configurabile nel caso in cui "l'uso del segno possa svalutare l'immagine o il prestigio acquisito presso il pubblico del marchio notorio" quando "il contesto nel quale viene inserito sia incompatibile con una particolare immagine che il marchio anteriore ha acquistato agli occhi del pubblico in conseguenza degli sforzi impiegati dal suo titolare per promuoverla".

Ricollegandosi anche a una recente pronuncia della Cassazione Civile (17 ottobre 2018, n. 26000), il Collegio ha sottolineato che, in materia di marchio, il danno arrecato alla notorietà viene qualificato in termini di "corrosione", specificamente "quando i prodotti o i servizi per i quali il segno identico o simile è usato dal terzo possono essere percepiti al pubblico in modo tale che i potere di attrazione del marchio risulti compromesso". Su queste basi è stata calibrata la decisione: le caratteristiche principali del marchio Ferrari, infatti, essendo legate a profili di esclusività e assenza di volgarità, sono state ritenute incompatibili con quelle del video, ritenuto lesivo.

3) La terza immagine analizzata consente ulteriori considerazioni giuridiche sul tema: è quella dell'influencer appoggiato al cofano di una Ferrari, con abiti rosa di propria creazione, e contiene un link diretto al sito per l'acquisto di prodotti (c.d. swipe up) e un invito ad acquistare tramite apposita scritta (shop now). Anche l'uso del marchio in quest'ultima immagine è stato ritenuto illecito: la finalità promozionale del post è stata ritenuta inequivocabile, vista la modalità con cui è stato proposto l'accostamento dei due marchi in abbinamento alle suddette scritte e al link di acquisto.Fin qui, il merito.

Sotto il profilo del periculum in mora, poi, è interessante notare che la sussistenza del requisito ai fini della concessione della misura cautelare è stata affermata dal Tribunale, facendo leva sulla consapevole e reiterata condotta dell'influencer, gravemente lesiva dei diritti della ricorrente. Quest'ultimo, infatti, non soltanto aveva volutamente mantenuto i propri post anche a seguito delle lettere di diffida inviategli dalla Ferrari, ma aveva addirittura pubblicato altri messaggi e stories su Instagram, deridendo, con frasi e immagini palesemente denigratorie, le richieste della controparte. Da qui, l'urgenza della tutela inibitoria.

Da rimarcare anche un ultimo passaggio di natura strettamente processuale: il Tribunale ha escluso, infatti, che la ricorrente fosse onerata di esperire preliminarmente la procedura prevista da Instagram per la segnalazione e la rimozione dei contenuti illeciti. A detta del Collegio, tale soluzione non avrebbe garantito una tutela effettiva della posizione giuridica, dal momento che essa "non presenta alcuna efficacia preventiva, potendo essere richiesta la cancellazione soltanto successivamente alla pubblicazione di contenuti abusivi": d'altro canto, "diversamente opinando, si introdurrebbe una condizione di procedibilità non prevista dalla legge, in aperto conflitto con principio della piena e libera giustiziabilità dei diritti soggettivi di cui all'art. 24 Cost.".

* Avv. Antonino La Lumia, founding partner Lexalent ed avv. Elena Tieghi , Lexalent

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