Civile

Ingiustificato arricchimento tra coniugi, sempre deducibile l’obbligazione naturale

La Cassazione, ordinanza n. 23471 depositata oggi, chiarisce che non si tratta di una eccezione e dunque non è soggetta al regime delle preclusioni

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di Francesco Machina Grifeo

Arrivano le precisazioni della Cassazione in un giudizio per “ingiustificato arricchimento” promosso dal marito nei confronti della ex moglie. La Terza sezione civile, ordinanza n. 23471 depositata oggi, con un principio di diritto, ha chiarito che la deduzione secondo cui “l’attribuzione patrimoniale asseritamente priva di causa sia conseguenza dell’adempimento di un’obbligazione naturale configura una mera difesa, non un’eccezione, sicché non è soggetta al regime delle preclusioni dettate per il dispiegamento di quest’ultima”.

È infondata, dunque, la doglianza del ricorrente che all’opposto aveva sostenuto l’intempestività dell’eccezione della ricorrenza di una obbligazione naturale avanzata dalla ex in primo grado (e per la prima volta in comparsa conclusionale). Per l’ex coniuge, infatti, essa rappresentava una eccezione in senso stretto, proponibile solo dalla parte, e solo in comparsa di costituzione e risposta.

L’azione generale di ingiustificato arricchimento, ricorda la Cassazione, postula che la locupletazione di un soggetto a danno dell’altro sia avvenuta senza «giusta causa»: l’assenza di questa, dunque, costituisce l’elemento che integra la fattispecie contemplata dall’art. 2041 cod. civ.. In altri termini, prosegue, colui che agisce è onerato di allegare che il proprio depauperamento, correlato dal nesso di causalità con l’altrui arricchimento, sia privo di una legittima causa dell’attribuzione o trasferimento patrimoniale: ed è proprio questo a concretare il fatto costitutivo tipico della domanda ex art. 2041 del codice civile.

Del resto, prosegue, secondo un consolidato indirizzo esegetico «non è dato invocare la mancanza o l’ingiustizia della causa qualora l’arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalità o dell’adempimento di un’obbligazione naturale». Ragion per cui a fronte di una domanda di ingiustificato arricchimento, la deduzione dell’esistenza di un’obbligazione naturale quale ragione giustificante lo spostamento patrimoniale “non concreta né comporta l’allegazione di un fatto ulteriore e diverso rispetto a quello posto a fondamento della domanda, munito di efficacia estintiva, impeditiva o modificativa del diritto ex adverso fatto valere: si esula, in tutta evidenza, dal concetto di eccezione”.

Quindi, dedurre che la prestazione asserita come ingiustificata rappresenti in realtà l’adempimento di un dovere morale o sociale significa “prospettare una differente veste giuridica alla vicenda fattuale narrata dalla parte istante: l’ascrizione di una ragione causale alla attribuzione patrimoniale è, quindi, negazione del fatto costitutivo della domanda, ovvero, in altre parole, mera difesa, sottratta, in quanto tale, al regime preclusivo delle attività assertive delle parti stabilito dal codice di rito con riferimento alle eccezioni, di rito o di merito”.

Sulla scorta di ciò, conclude la Cassazione sul punto, si rivela ineccepibile l’esclusione della tardività del rilievo avvenuto per la prima volta con la comparsa conclusionale del giudizio di primo grado.

Con riguardo poi al tema delle attribuzioni patrimoniali da un coniuge all’altro nel corso del matrimonio, la Corte precisa che configurano l’adempimento di una obbligazione naturale ex art. 2034 cod. civ., “dacché espressione della solidarietà che avvince due persone unite da legame stabile e duraturo, a condizione, tuttavia, che siano rispettati i princìpi di proporzionalità ed adeguatezza, il cui contenuto va in concreto parametrato alle condizioni sociali ed economiche dei componenti della famiglia”.

Mentre la proporzionalità ed adeguatezza va vagliata alla luce di tutte le circostanze del caso specifico, dovendo la prestazione risultare adeguata alle circostanze e proporzionata all’entità del patrimonio ed alle condizioni sociali del solvens: pertanto, la verifica sulla sussistenza di detti caratteri è compito tipicamente devoluto al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo nei circoscritti limiti dei vizi motivazionali rilevanti ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ..

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