Società

L'impatto ESG sugli assetti societari del Codice della crisi di impresa

In un'ottica di prevenzione e di sostenibilità del business, l'adeguatezza degli assetti organizzativi e amministrativi non può prescindere da policy ESG e contestualizzazione degli organismi di vigilanza

di Milena Prisco*

Il Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza ("CCII"), entrato in vigore il 15 luglio 2022, compie per certi versi una rivoluzione, ponendo al centro del sistema aziendale di prevenzione della crisi l'adeguatezza degli assetti societari e delle misure della rilevazione tempestiva della stessa (cfr. articolo 3 CCII). La riforma giunge in un momento storico critico, ma anche sfidante, per i processi di trasformazione in atto nel capitalismo, che volge verso la stakeholder economy, e per la crescente importanza dei fattori di sostenibilità come parte integrante del ciclo vitale e dello sviluppo aziendale. Gli emisferi della crisi e dello sviluppo sostenibile sono solo apparentemente lontani, risultando, invece, molto più interconnessi di quanto si pensi, ragione per cui vale la pena indagarne, senza pretese di esaustività, i punti di contatto e di necessaria integrazione.

Il collegamento tra sostenibilità e rischio di credito emerge in modo evidente da una recente analisi di Cerved Rating Agency secondo cui le società con valutazione ESG "bassa" hanno in media una probabilità di default dalle 2 alle 5 volte superiore a quella delle più virtuose. L'analisi ha osservato che gli aspetti ESG che impattano maggiormente sulla valutazione di merito creditizio sono quelli riguardanti la governance.

I nuovi assetti imposti dal Codice
Il cambiamento portato dalla riforma è sistemico dal momento che modifica, fra l'altro, l'articolo 2086 del codice civile sulla "Gestione dell'Impresa", introducendo un secondo comma che stabilisce in capo all' imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, "il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell'impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale". L'obbligo dell'istituzione degli adeguati assetti spetta all'organo amministrativo, anche per le società a responsabilità limitata, tanto che il CCII ha espressamente esteso a quest'ultime l'articolo 2381 del codice civile, specificando che l'assetto organizzativo, amministrativo e contabile deve essere "adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa" con obbligo per gli amministratori con deleghe di "riferire al consiglio di amministrazione e al collegio sindacale, con la periodicità fissata dallo statuto e in ogni caso almeno ogni sei mesi, sul generale andamento della gestione e sulla sua prevedibile evoluzione nonché sulle operazioni di maggior rilievo, per le loro dimensioni o caratteristiche, effettuate dalla società e dalle sue controllate". In questo senso il CCII costituisce un elemento di continuità fra il diritto societario e il diritto della crisi di impresa, dove il perno è rappresentato dal dovere di tutti gli imprenditori, con le dovute proporzioni rispetto alle dimensioni aziendali, a dotarsi di una organizzazione, amministrazione e contabilità adeguate non solo alla prevenzione e rilevazione tempestiva della crisi ma, in ogni caso, alla più efficiente gestione imprenditoriale.

In particolare, gli assetti organizzativi sono incentrati sulla allocazione del potere decisionale e sulla concreta attuabilità dello stesso nell'esercizio dell'impresa. Gli assetti amministrativi consistono, invece, nelle procedure volte a garantire che le attività aziendali, e le fasi in cui si articolano, vengano svolte in modo corretto ed ordinato. L'assetto contabile, infine, è il sistema di rilevazione dei fatti di gestione dell'azienda.

Non è tuttavia sufficiente che tali assetti vengano implementati ma occorre che essi siano adeguati allagestione aziendale, anche nell'ottica di prevenzione della crisi: in primo luogo, gli assetti devono infatti essere idonei a rilevare tempestivamente gli squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario; in secondo luogo, devono garantire un monitoraggio della sostenibilità dei debiti e della continuità aziendale per almeno dodici mesi successivi alla rilevazione dei segnali; infine, devono assicurare flussi informativi per estrarre dati sufficienti a verificare la possibilità di risanamento della crisi. Un'impresa dotata di assetti che possano essere considerati adeguati dovrebbe, quindi, essere in grado di rilevare i fattori di rischio aziendali e di valutare l'impatto di singoli eventi sull'equilibrio economico finanziario; questo è quantomeno l'obiettivo che si è posto il legislatore in chiave di prevenzione delle crisi di azienda. In aggiunta, tale intervento si innesta in un sistema normativo e regolamentare che, con la promozione dei fattori ESG, (i) sta ridisegnando la governance societaria in considerazione della rilevazione e della gestione dei rischi di sostenibilità accanto ai tradizionali rischi economico-finanziari; (ii) sta promuovendo lo stakeholder capitalism, raccomandando il conseguimento del successo sostenibile delle società quotate su mercati regolamentati e/o degli obiettivi di beneficio comune mediante il modello delle società benefit. Se, quindi, i rischi ESG e uno scopo sociale allargato anche al perseguimento di finalità di sostenibilità stanno diventando elementi rilevanti dal punto di vista operativo e strutturale di un'impresa, ne deriva che l'adeguatezza degli assetti societari va perimetrata e valutata anche in considerazione dei presidi di governance e controllo preposti alla sfera ESG, nonché all'impatto che eventualmente i rischi di sostenibilità possano avere sugli equilibri di carattere patrimoniale o economico/finanziario dell'azienda.

I rischi di sostenibilità e la governance
Partendo dai rischi di sostenibilità, il Regolamento SFDR (UE) n. 2019/2088 - applicabile con i suoi obblighi informativi agli operatori del mercato finanziario, alle banche e alle assicurazioni - li definisce come "un evento o una condizione di tipo ambientale, sociale o di governance che, se si verifica, potrebbe provocare un significativo impatto negativo effettivo o potenziale sul valore dell'investimento" eseguito dai diversi attori finanziari nelle società target. Questi rischi, la loro prevenzione e la loro gestione rilevano non solo nei processi di investimento, ma anche durante il loro ciclo vitale, nella misura in cui ne diminuiscano il valore, impattando negativamente l'azienda investita.

Una volta sdoganata la stretta correlazione fra rischio ESG e rischio finanziario, non meraviglia che le linee guida EBA (European Banking Authority), entrate in vigore nel giugno 2021, abbiano incorporato i fattori ESG e i relativi rischi (principalmente quelli ambientali) nelle loro politiche di gestione del rischio di credito, valutando il loro impatto sulla solidità dei clienti e sull'adeguatezza dei sistemi aziendali volti alla loro prevenzione e alla loro relativa mitigazione. Si comprende quindi come un rischio ESG non gestito possa compromettere il merito creditizio di una azienda, avere una ricaduta sulla gestione della leva finanziaria, influire sui rapporti con le banche e, dunque, anche impattare, proprio in mancanza di presidi di governance adeguati, quell'equilibrio economico/finanziario che costituisce uno dei segnali di rilevazione della crisi di impresa.

A garanzia della prevenzione dei rischi ESG, che rende un investimento sostenibile e con esso lo stesso andamento della società investita, il Regolamento SFDR pone la "buona governance" definita come "strutture di gestione solide, relazioni con il personale, remunerazione del personale e rispetto degli obblighi fiscali".

D'altra parte, il binomio prevenzione del rischio ESG e governance torna nell'ambito degli obblighi di reporting dettati dalla normativa sulla dichiarazione non finanziaria (D.lgs. n. 254/2016), in corso di aggiornamento nei prossimi mesi, che impongono alle società quotate, a quelle che su base volontaria fanno la DNF, nonché alle banche che ne sono soggette, il monitoraggio dei rischi e delle condotte aziendali che possono avere impatti sui fattori ambientali, sociali e di governance, compresi i profili di corruzione attiva e passiva, mediante l'adozione di un modello aziendale di gestione ed organizzazione delle attività dell'impresa, ivi incluso il modello 231, tarato anche sulla gestione dei suddetti temi.

La crescente importanza dei rischi e del reporting non finanziario, sia per le aziende che per investitori e banche, fa sì che la rilevanza e la rilevazione dei rischi ESG sono e saranno sempre di più considerate essenziali nell'architettura e nell'implementazione di assetti organizzativi e dei sistemi di controllo e gestione rischi, che dovranno avere ad hoc processi di flussi informativi capaci di raccogliere informazioni e dati, di natura non solo quantitativa ma anche qualitativa, che saranno specchio della gestione dei temi di sostenibilità da parte delle aziende. Quindi, in un'ottica di prevenzione della crisi e di sostenibilità di ogni business, l'adeguatezza degli assetti non può prescindere dalla definizione ed adozione di policy e procedure adeguate in materia ESG, dalla promozione di attività di formazione specifica per una migliore comprensione e gestione di rischi ed opportunità correlati ai temi ESG e al loro impatto sull'attività d'impresa. Così, come non può prescindere da una corretta e adeguata contestualizzazione negli assetti societari degli organismi di vigilanza, ove l'azienda abbia implementato il Modello 231; ciò anche in considerazione del crescente ruolo che ha assunto la prevenzione della corruzione in chiave ESG, a cui si dovranno conformare le società che saranno soggette alla nuova DNF - in corso di finalizzazione dopo la chiusura della recente consultazione pubblica - con i suoi nuovi standard di rendicontazione EFRAG dedicati anche al tema della corruzione.

Obiettivi di sostenibilità e governance
Passando agli obiettivi di sostenibilità di un'azienda, gli stessi richiedono specifici presidi di governance, ove scelti in modo strutturale ed operativo con l'inserimento nello statuto da parte delle quotate del successo sostenibile - come raccomandato dal Codice di Corporate Governance - o degli obiettivi di beneficio comune "nell'esercizio dell'attività di impresa" da parte delle aziende che hanno assunto la qualifica di società benefit ai sensi della Legge n. 208/2015. Nella transizione verso il nuovo paradigma economico/imprenditoriale dello stakeholder value, secondo il Codice di Corporate Governance, la sostenibilità deve essere recepita come parte integrante del piano industriale e, quindi, del sistema di controllo interno e di gestione rischi, così come delle politiche di remunerazione degli amministratori, dovendo, quindi, essere integrata negli assetti organizzativi e amministrativi. Ed infatti, le diverse forme di implementazione di politiche di sostenibilità comportano, a livello di governance, la nomina di comitati ad hoc (es. il comitato ESG delle quotate MTA ma anche EGM) o del responsabile del beneficio comune (normalmente un componente del Cda) nel caso delle società benefit, nonché la rilevanza del bilanciamento degli interessi dei soci e degli stakeholders per il conseguimento degli stessi, che deve essere tenuto in debito conto nel suo impatto sulla gestione aziendale. Nelle società benefit, il responsabile del beneficio comune deve assicurarsi che la società sia dotata di un assetto organizzativo – di cui lo stesso è parte – in grado di rilevare fatti di gestione anche nell'ottica della sostenibilità. L'organo amministrativo dovrà, quindi, avere come obiettivo anche il rispetto delle finalità del beneficio comune, senza che quest'ultime diventino preponderanti rispetto al conseguimento del profitto. Si comprende come, lì dove l'azienda abbia assunto una qualifica di benefit e/o abbia integrato il successo sostenibile nel proprio oggetto sociale, l'organo amministrativo debba necessariamente integrare nell'assetto organizzativo organi quali i comitati ESG, sia endo che eso consiliari, i sustainability officer, ove nominati, e/o il responsabile del beneficio comune nel caso delle benefit. Il coordinamento di questi organi e/o di queste soggetti, l'assetto delle loro deleghe, i processi informativi con il board e con gli altri attori dell'assetto organizzativo e amministrativo, diventano essenziali proprio per la rilevazione di quei rischi di sostenibilità che potrebbero influire, o addirittura impattare o aggravare, i sintomi di una crisi, nonché per l'attuazione del bilanciamento degli interessi dei soci e degli altri stakeholder.

Il bilanciamento degli interessi in gioco
Il bilanciamento è, infatti, collegato alla gestione operativa e, proprio per questo, presenta molteplici risvolti quali la sindacabilità del processo decisionale che lo attua, nonché l'organizzazione e la messa a disposizione delle risorse e dei mezzi con cui viene di fatto implementato. In questo scenario, l'organo amministrativo deve farsi promotore non soltanto di eventuali evoluzioni del modello di amministrazione e controllo, ma anche dell'adozione di ulteriori regole organizzative di diversa natura e portata, che risultino più idonee alla struttura e alle finalità dell'impresa, la quale deve coniugare non solo i rischi ESG con quelli finanziari nel perseguimento dello scopo sociale, ma anche l'attuazione del bilanciamento dei diversi interessi in gioco. In teoria, una gestione aziendale con predilezione per gli obiettivi di sostenibilità o l'attuazione di progetti ESG friendly, con ingenti investimenti e costi magari non correttamente bilanciati e allineati in un piano industriale, potrebbe impattare negativamente sull'equilibrio economico/finanziario di un'impresa, in mancanza di un adeguato assetto di organizzazione e amministrazione in grado di programmare e monitorare il conseguimento di questi obiettivi e di rilevarne l'eventuale squilibrio. Quindi, anche le modalità di conseguimento del beneficio comune e l'attuazione del successo sostenibile - a seconda dei casi - diventano di sostanziale importanza nella valutazione complessiva di una gestione aziendale e dei presidi di governance. Questi ultimi devono essere strutturati ed operare con la prospettiva non solo dell'efficienza aziendale ma anche della prevenzione delle situazioni di crisi. In questo senso, sta andando anche il CCII che valuta l'operato degli amministratori anche rispetto all'implementazione di un adeguato assetto organizzativo, fermo restando che la responsabilità civile degli amministratori è sempre regolata dal codice civile, secondo il principio del danno patrimoniale.

Governance ESG e PMI
Le considerazioni che precedono evidenziano come gli assetti societari, quando comprensivi di organi a presidio dei fattori e degli obiettivi di sostenibilità, devono avere una adeguatezza strutturale e funzionale in termini di competenze, sistema di deleghe, processi e flussi informativi, tale da rendere possibile la rilevazione e la gestione dei rischi ESG accanto a quelli economico/finanziari rilevatori dei segnali della crisi.

In quest'ottica, i modelli di governance integrati in chiave ESG, anche se calibrati in modo funzionale rispetto a chiari obiettivi e strategie di sostenibilità, risultano più articolati di quelli tradizionali, con l'effetto che, nonostante il principio di proporzionalità che permea l'attuazione degli assetti adeguati, l'implementazione di queste politiche di governance in aziende medio piccole diventa complessa e dispendiosa, con il rischio di una fisiologica inadeguatezza delle stesse non solo rispetto al rischio di crisi, ma, a maggior ragione, rispetto alla rilevazione dei rischi ESG. In questo senso i risultati dell'analisi di Cerved Rating Agency che evidenziano come si passi dal 7,25% di probabilità di default delle aziende non sostenibili all'1,55% di quelle che lo sono, a differenza delle corporate mid e large in cui la forbice di correlazione fra crisi di azienda e sostenibilità va rispettivamente dal 3,07% allo 0,87%.

*Of Counsel Pavia e Ansaldo

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