Professione e Mercato

L'incertezza della giurisprudenza può escludere la responsabilità dell'avvocato

Lo ha chiarito la Corte di cassazione con l'ordinanza n. 4655

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di Pietro Alessio Palumbo

La valutazione della diligenza professionale dell'avvocato non implica alcun giudizio sulla effettiva difficoltà o controvertibilità della questione giuridica sottesa alla controversia, ma si arresta ad uno stadio anteriore, quello della verifica che la scelta difensiva abbia effettivamente tenuto conto delle questioni prospettabili e sia stata adottata all'esito di una compiuta informazione del cliente sulla base di una diligente e razionale ponderazione dei vantaggi e dei rischi ad essa connessi. Dal che – ha chiarito la Corte di Cassazione con la recente ordinanza n.4655/2021 - la stessa "incertezza" della giurisprudenza può costituire ragione di esclusione della responsabilità (solo) ove la scelta di non sollevare una determinata eccezione in giudizio sia frutto di una opzione avveduta e scrupolosa.

La "misura" della diligenza del professionista
La responsabilità professionale dell'avvocato, la cui obbligazione – si badi - è di mezzi e non di risultato, presuppone la violazione del dovere di diligenza, per il quale trova applicazione in luogo del criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia, quello della diligenza professionale da commisurare alla natura dell'attività esercitata, non potendo il professionista garantire l'esito "comunque" favorevole auspicato dal cliente. A ben vedere l'avvocato va considerato responsabile nei confronti del proprio cliente in caso di incuria o di "ignoranza" di disposizioni di legge e, in genere, nei casi in cui, per negligenza o imperizia, compromette il buon esito del giudizio. Diversamente nelle ipotesi di interpretazione di leggi o di risoluzione di questioni opinabili, deve ritenersi esclusa la sua responsabilità; a meno che, naturalmente, non risulti che abbia agito con dolo o colpa grave. Invero l'opinabilità della soluzione giuridica impone al professionista una diligenza e una perizia "adeguate alla contingenza", nel senso che la scelta professionale deve cadere sulla soluzione che consenta di tutelare "il più possibile" il cliente e non già di danneggiarlo. In ogni caso l'inadempimento del professionista non può essere desunto dal mero mancato raggiungimento del risultato utile, cui certamente mira il cliente, ma soltanto dalla violazione del dovere di diligenza adeguato all'attività esercitata. Da ciò deriva che l'affermazione della responsabilità del professionista implica una indagine da svolgersi sulla scorta degli elementi di prova che il cliente ha l'onere di fornire circa il "sicuro e chiaro" fondamento dell'azione che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente coltivata; e in definitiva la certezza che gli effetti di una diversa attività del professionista sarebbero stati più vantaggiosi.

Gli obblighi informativi e di interrelazione col cliente
Orbene l'obbligo di diligenza impone all'avvocato di assolvere sia all'atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, essendo tenuto a rappresentare a quest'ultimo tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi. Il professionista ha l'onere di chiedere al cliente tutti gli elementi necessari o utili di cui sia in possesso, ma anche eventualmente di "sconsigliarlo" dall'intraprendere o proseguire un giudizio dall'esito assai probabilmente sfavorevole. Per tutti questi motivi incombe sul professionista l'onere di fornire la prova della (buona) condotta mantenuta, dovendo ritenersi insufficiente al riguardo il semplice rilascio da parte del cliente della procura necessaria all'esercizio della facoltà di proporre domanda in giudizio. Ciò attesa la relativa inidoneità a deporre "obiettivamente" ed "univocamente" per la completa informazione circa tutte le circostanze indispensabili per l'assunzione di una decisione pienamente consapevole sull'opportunità o meno d'iniziare un processo ovvero di proseguirlo.

Il nesso eziologico tra la condotta del professionista e il risultato ottenuto
Per altro verso la responsabilità dell'avvocato non può affermarsi per il solo (asserito) scorretto adempimento dell'attività professionale, occorrendo invece verificare se l'evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia "concretamente" riconducibile alla condotta del primo. Occorre poi verificare se un danno vi sia effettivamente stato, ed infine se ove l'avvocato avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe realmente conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni. In mancanza di questi elementi difetta l'imprescindibile prova del nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, e il risultato derivatone.

L'irrilevanza della complessità della controversia
Può affermarsi quindi che l'apprezzamento sulla correttezza professionale dell'avvocato non implica alcuna valutazione sulla concreta difficoltà o discutibilità della faccenda dibattuta, bensì si ferma ad uno punto precedente, quello del riscontro che l'opzione professionale abbia tangibilmente tenuto conto di tutte le problematiche (ragionevolmente) ipotizzabili, e sia stata presa al termine di una accurata delucidazione del cliente. Il tutto sulla base di una meticolosa, oculata, prudente e sensata meditazione dei benefici e dei possibili "azzardi" ad essa correlati.

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