Civile

La banca risarcisce il fallimento per i danni da credito abusivo

La condotta analizzataalla luce del nuovo Codice della crisi di impresa

di Patrizia Maciocchi

La banca risarcisce il fallimento per i danni causati se il credito concesso ha aggravato il dissesto della società.

La Cassazione (ordinanza 24725) accoglie il ricorso del curatore contro l’istituto di credito e traccia il limite tra finanziamento lecito e abusivo, anche alla luce del nuovo Codice della crisi di impresa disegnato dal Dlgs 14/2019.

Alla base della sentenza il ricorso del curatore contro la banca che aveva finanziato la società fallita con tre milioni di euro, aggravando la sua situazione finanziaria. La Corte d’Appello aveva respinto la domanda del curatore considerandolo non legittimato ad agire in giudizio direttamente contro la banca, senza passare prima per un’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore della società, del quale la banca era stata semplicemente “complice”.

Ma la Suprema corte sgombra subito il campo dall’equivoco chiarendo che il curatore può chiamare in causa la banca, sia per un nuovo finanziamento sia per il mantenimento dei contratti in corso, se questi hanno determinato una diminuzione del patrimonio. Con l’azione si far valere sia il danno diretto all’impresa sia quello all’intero ceto dei creditori dovuto alla perdita della garanzia patrimoniale. Mentre non è necessario che l’azione venga proposta anche verso gli organi sociali, che possono essere corresponsabili, trattandosi di un semplice litisconsorzio facoltativo.

Appurata dunque la legittimità del ricorso la Cassazione lo accoglie.

I giudici valorizzano la ratio del Codice della crisi di impresa che anticipa il dovere di rilevare tempestivamente la crisi e la perdita della continuità aziendale.

Una previsione che rafforza il dovere per gli amministratori di astenersi dal chiedere crediti dissimulando il dissesto.

A fronte di questo c’è la scelta complessa che è chiamto a fare un buon banchiere, stretto tra il rischio di non recuperare l’importo già finanziato e quello di compromettere del tutto la situazione economica del debitore, con incaute concessioni.

Complesso anche il compito del giudice che deve decidere se il finanziatore ha agito con imprudenza e violando le leggi o per prevenire l’evento. Il secondo caso di verifica quando la banca, anche al di fuori di una formale procedura di risoluzione della crisi di impresa abbia dato credito ad una società, considerata - con una valutazione ex ante - in grado di superare l’impasse o almeno di restare sul mercato.

Indagine che va fatta sulla base di documenti, dati e notizie acquisite, dai quali desumere che l’imprenditore vuole, in buona fede, utilizzare il denaro per risanare l’azienda secondo un progetto oggettivo, ragionevole e fattibile. Per la banca che viene meno ai suoi obblighi professionali e concede incautamente il credito scatta la condotta abusiva, prevista sia dall’articolo 218 della legge fallimentare sia dal Codice della crisi di impresa (articolo 325).

La Cassazione ricorda al contrario come, anche con il Codice della crisi, il legislatore abbia mostrato un particolare favore per i finanziamenti tesi al risanamento delle aziende. In questa direzione vanno vari strumenti previsti dal Dlgs 14/2019: dai finanziamenti prededucibili nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti, ai piani attestati di risanamento, fino alla convenzione di moratoria temporanea dei crediti, istituto che la legge fallimentare limita alle banche e agli intermediari finanziari e il Codice della crisi estende a tutti i creditori.

Il linea con l’obiettivo di sostenere le imprese sono anche tutti i compiti e i divieti imposti alle banche dalla legislazione dell’emergenza sanitaria del 2020.

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