Società

La gestione del rischio da cambiamento climatico: una priorità per le imprese

La Corporate Sustainability Reporting Directive, con l’inizio del nuovo anno, introdurrà nuove regole in materia di rendicontazione di sostenibilità

di Rita Santaniello*

Una nuova sfida attende le imprese a partire dal primo gennaio 2024: la Direttiva (UE) 2022/2464 obbliga gli Stati membri a recepire una nuova fondamentale innovazione. Si parla della Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) che, con l’inizio del nuovo anno, introdurrà nuove regole in materia di rendicontazione di sostenibilità. Un punto di svolta dal punto di vista dell’approccio metodologico ma anche e soprattutto gestionale , con effetti ad ampio spettro e non limitati alla mera sfera del reporting.

Al centro, o meglio, a monte, dei processi di reporting c’è infatti la gestione del rischio: i nuovi modelli di climate change risk management permettono di misurare e migliorare l’identificazione, l’analisi, la valutazione, la ponderazione, la propensione ed il trattamento dei rischi legati - in generale – ai fattori ESG e - nello specifico – al fattore climatico.

Ma andiamo per ordine.

CSRD e doppia materialità

La Direttiva europea 2022/2464 renderà obbligatoria la rendicontazione di sostenibilità per le grandi imprese, anche non quotate, che rientrano in determinati parametri e che si prevede ammontino a circa 50.000. Il campo di applicazione, e quindi il numero delle imprese impattate, però, è destinato a crescere progressivamente, fino ad includere anche la PMI. La scelta di un’applicazione progressiva è determinata dalla consapevolezza dell’importanza dello sforzo richiesto alla PMI per strutturare, non tanto il reporting, quanto la gestione dei processi a monte. Uno sforzo organizzativo notevole per la PMI, notoriamente destrutturata e priva di una solida governance . E’ infatti la governance la vera sfida e l’elemento determinante per realizzare effettivamente quella transizione verso lo sviluppo sostenibile cui l’Europa ambisce.

Altrettanto comprensibile, e in qualche modo obbligata, è stata la scelta di adottare standard unici per la rendicontazione di sostenibilità, ovvero gli European Sustainability Reporting Standard (ESRS) introdotti dall’EFRAG. La ratio che giustifica l’utilizzo obbligatorio degli ESRS consiste nell’obiettivo di riduzione dei costi di rendicontazione nel medio e lungo termine e dell’agevole comparabilità delle informazioni.

Porsi tecnicamente il problema della sostenibilità assume un ruolo sempre più rilevante nelle scelte imprenditoriali e quindi una posizione di sempre maggiore preminenza nell’agenda del Board, perché è l’organo amministrativo in ultima analisi ad assumersi la responsabilità di quanto dichiarato nel Report di Sostenibilità e ad essere soggetto agli obblighi di due diligence e di accountability, ovvero l’obbligo fondamentale dell’agire informato.

Tuttavia, un approccio consapevole, informato e strategico al tema, consente anche di coglierne i risvolti più opportunistici e di maggior vantaggio, perché è ormai largamente dimostrato che le organizzazioni sostenibili hanno migliori performance in termini di redditività, migliore resilienza in tempo di crisi, una crescita costante e duratura, maggior attrattività per i talenti e per gli investitori, nonché – ma non da ultimo - una maggiore capacità innovativa che consente loro di essere competitive e di distinguersi sul mercato.

Tutto ciò non è frutto di una buona rendicontazione, ma di un’attenta gestione a monte, dei rischi e dei processi.

La gestione del rischio è, infatti, centrale in ogni sistema di gestione e la gestione della sostenibilità, in modo particolare la gestione dei rischi derivanti dal cambiamento climatico, non fa eccezione, tutt’altro.

I rischi da climate change si prestano, meglio di altri a chiarire in modo molto efficace i concetti della ‘ doppia materialità ’ del ‘ forward looking ’, due capisaldi della CSRD.

Centralità della gestione dei rischi nelle politiche di sostenibilità e nella accountability

La concezione di rischio ha subito un cambiamento, frutto dell’evoluzione dei tempi, e oggi è indiscussa la centralità del risk management nelle politiche di sostenibilità e nella stessa accountability. La sua portata, in passato spesso circoscritta alla mera adozione di provvedimenti emergenziali, volti a contenere gli impatti e l’aleatorietà derivanti da specifiche attività e alle sole declinazioni economico-finanziarie del fenomeno, è ora - grazie anche ai chiari precetti della nuova normativa europea - ben più ampia.

Il Legislatore europeo per primo ha capito che era necessaria una modifica della tradizionale concezione di gestione del rischio e ne ha chiarito la natura strategica: il rischio non deve essere considerato solo in ottica negativa, ma occorre provare a estrarne il valore intrinseco, secondo la concezione del rischio-opportunità .

Calando il principio nell’esempio del rischio da cambiamento climatico, ciò comporta la necessità di ricorrere a innovativi modelli di climate change risk management che consiste in un vero e proprio piano strategico relativo a misure ed interventi volti alla prevenzione e mitigazione dei rischi derivanti dal cambiamento climatico, che occorre preventivamente identificare, esaminare, valutare, ponderare e valorizzare. Rischi quali l’innalzamento delle temperature, la siccità, le alluvioni, i tornado, e altri eventi meteo estremi, che impattano sull’attività d’impresa – da una parte - e quelli che l’attività d’impresa può causare sul clima (ad esempio le emissioni di gas climalteranti, il consumo di suolo, acqua e verde, etc.) – dall’altra parte. In questo consiste la doppia materialità , ovvero la valutazione degli impatti inside-out e outside-in .

Tali valutazioni vanno condotte in ottica sia di breve che di lungo periodo: in questo consiste l’approccio forward looking che è fondamentale perché taluni rischi (ad esempio quelli derivanti dall’erosione delle coste) si manifestano solo nel lungo periodo, ma occorre considerarli sin da subito per non subirne l’impatto.

Gli impatti di tali rischi da climate change consistono, per fare alcuni esempi semplici perché purtroppo sperimentati sempre più spesso, in interruzioni dell’approvvigionamento energetico e strozzature di produzione, impatti capaci di mettere a rischio la stessa business continuity .

Ed infine, ma non di minore importanza, le predette valutazioni non possono essere confinate all’interno del perimetro aziendale, ma devono spingersi anche al di fuori di esso, considerando altresì le filiere a monte e a valle della produzione e, più in generale, tutti i componenti della catena del valore.

Gioca un ruolo cruciale, ai fini della governance dei rischi , dotarsi di un’idonea climate change risk management policy. A seguito di un assessment , ovvero un’analisi del contesto organizzativo, si procede ad una prima analisi di ‘ materialità dei rischi (valutandone la loro gravità in termini di probabilità ed entità, sempre secondo il principio di doppia materialità), si identificano quindi specifici KPI idonei a misurarne gli impatti, per poi delineare i passi, le misure e gli interventi che l’organizzazione deve intraprendere per prevenire e mitigare i rischi-impatti identificati come materiali, al fine di sviluppare una solida capacità di gestione dei rischi legati al cambiamento climatico.

Un tale policy, fondamentale strumento di governance, si incentra, tra l’altro, su aspetti inerenti all’ambiente, alle risorse umane, alla sicurezza sul lavoro, all’energia e a tutti i fattori della produzione. In questo processo è possibile altresì cogliere opportunità economiche innovative, tutelare il capitale umano e relazionale, risparmiare denaro riducendo i costi dell’approvvigionamento energetico, ridurre le emissioni di CO2, coinvolgere gli stakeholder interni ed esterni e contribuire così allo sviluppo di una società e di un pianeta più sostenibili.

E’ così che diviene evidente la duplice natura del rischio-opportunità.

Nuove responsabilità dell’organo amministrativo

L’organo di amministrazione riveste un ruolo fondamentale nella determinazione di politiche di gestione del rischio, sia nell’ambito della sua funzione di indirizzo strategico, sia in quella di supervisione e vigilanza, sia, infine, nella sottoscrizione del bilancio integrato ed è pertanto il destinatario principale dei correlati obblighi di diligenza e il soggetto cui in ultima analisi incombono le conseguenti responsabilità.

La Proposta di CSDDD ( Corporate Sustainability Due Diligence Directive o Supply Chain Act ) amplierà ulteriormente le suddette responsabilità: basti pensare all’obbligo di predisposizione di una due diligence policy da aggiornare annualmente, oppure all’obbligo di adottare tutte le misure possibili per individuare, prevenire, eliminare o, in ogni caso, minimizzare gli impatti negativi dell’attività sull’ambiente e sulle persone.

Non a caso la CSDDD prevede l’implementazione degli elementi tipici e fondamentali di un vero e proprio sistema di gestione, similmente a quanto previsto volontariamente nell’ambito dei già noti sistemi di gestione della qualità, ambiente e sicurezza. In particolare è prevista, oltre all’adozione di politiche e alla loro revisione periodica, anche l’implementazione di un sistema di gestione dei rischi e di un canale di segnalazione e tutto ciò identificando espressamente l’organo amministrativo come il soggetto deputato e responsabile per l’effettiva attuazione e prevedendo anche un severo sistema sanzionatorio, che si aggiunge alle azioni risarcitorie da parte dei soggetti eventualmente danneggiati.

In questo quadro, che unisce presente e futuro, appare chiara l’essenzialità del fattore G, cioè della Governance , e la centralità al suo interno di un’adeguata gestione dei rischi, primo fra tutti – in considerazione della preminenza del rischio climatico – di un idoneo climate change risk management : gestire il rischio per avere aziende più efficienti, resilienti, innovative, in una parola: più sostenibili.

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* A cura di Rita Santaniello, Partner, Rödl & Partner Italy

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