Penale

La querela non è tacitamente rimessa dall'assente se non è stato avvisato dal giudice delle conseguenze

Non si estingue il reato attraverso l'offerta di risarcimento che non soddisfi i precetti dell'articolo 1208 del Codice civile

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di Paola Rossi

L'assenza in udienza della parte offesa non può essere invocata come sintomo inequivocabile della volontà di rimettere la querela. A meno che il giudice abbia avvisato la vittima e anche l'imputato delle conseguenze di valutazione derivanti dalla mancata presenza al processo. Così la Corte di cassazione - con la sentenza n. 47039/2022 - ha respinto il ricorso di chi era stato condannato per il furto tentato in un supermercato e praticato attraverso l'utilizzo fraudolento dello strumento cosiddetto "salva tempo": un lettore portatile di codici a barre che poi viene presentato alla cassa per il pagamento.

La vicenda all'esame della Suprema corte
L'imputata aveva passato sotto il lettore ottico molto meno di metà della merce accaparrata, col risultato di dover pagare 50 euro a fronte di una spesa di 350 effettivi. L'obiettivo illecito non era stato poi raggiunto per la segnalazione del personale antitaccheggio che aveva impedito l'acquisto"parziale" della merce e il compimento del furto.

Il ricorso respinto
L'imputata affermava che ricorressero i presupposti della rimessione tacita della querela in quanto la parte offesa dal tentativo di furto non solo non si era presentata in udienza, dimostrando così il venir meno della sua volontà di punizione del colpevole, ma aveva anche mantenuto un comportamento inerme a fronte delle due missive "riparatorie" inviate allo stabilimento del supermercato dove era stato perpetrato il tentato furto. In una l'imputata chiedeva la remissione della querela unitamente alla manifestazione della generica volontà di risarcire la parte offesa. Vista la mancata risposta, in altra missiva seguente l'imputata offriva esplicitamente mille euro a fronte del furto tentato di trecento. Anche in tale seconda ipotesi alla ricorrente non era pervenuta alcuna risposta dalla parte offesa: da cui la pretesa di affermare che non vi era più la volontà di punizione espressa inizialmente dalla vittima con la querela.

L'avviso del giudice
La Cassazione respinge il sillogismo della difesa fondato sul comportamento processuale ed extra-processuale " amorfo" del supermercato. Chairisce infatti la Cassazione, che sintomo della volontà tacita di rimettere la querela non può essere da sola l'assenza della parte offesa in udienza, se questa non è stata preceduta dall'avviso del giudice che indichi che un eventuale tale comportamento sarebbe stato valutato come indice del venir meno della volontà di vedere il reato punito dal giudice penale, ossia un'implicita rimessione della querela.

La forma della proposta di risarcimento
Neanche l'atteggiamento totalmente passivo del supermercato a fronte dei segnali ricevuti dall'imputato di voler risarcire il danno e di richiesta di rimessione della querela hanno il significato di implicita volontà di non perseguire la condanna del colpevole. Infatti, il silenzio serbato dalla parte offesa non costituisce alcun elemento valutabile in tal senso se comunque la proposta del ladro-debitore non è formulata secondo le regole formali degli articoli 1208 e sguenti del Codice civile. Ciò che era avvenuto nel caso concreto, dove una delle missive non risultava neanche ricevuta e l'indirizzo del destinatario non coincideva con la sede di rappresentanza legale della società cooperativa proprietaria del supermercato. Quindi a una proposta invalida non possono conseguire effetti sostanziali che incidono la posizione del creditore o ne fanno determinare la sua implicita volontà.

Tenuità del fatto
La ricorrente, infine, chiedeva tra i motivi di ricorso, che le fosse riconosciuta la causa di non punibilità per la tenuità del fatto. Sosteneva che la tenuità di un furto tentato per un ammontare di 300 euro derivasse dall'assenza di un danno di qualsiasi rilevanza per un ente che annualmente fattura 5 miliardi circa di euro.
La Cassazione converge col ragionamento del giudice che ha ravvisato invece la gravità del reato non solo nella somma di non poco conto di 300 euro, ma anche nel dolo che ha mosso a tentare il reato: un inescusabile capriccio di lusso, visto che la merce nascosta era la più costosa non minimamente destinata a bisogni primari urgenti dell'imputato o della sua famiglia. Non si può certo ravvisare uno stato di bisogno nel furto di bottiglie di vino di pregio.

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