Società

La sospensione endofallimentare degli interessi

Le previsioni dell'articolo 55 della Legge Fallimentare realizzano il principio della par condicio creditorum, con la cristallizzazione dei crediti e con l'eliminazione della fruttuosità degli stessi, in modo da impedire una generale lievitazione degli importi dei singoli crediti

di Rossana Mininno

La disciplina nazionale dei crediti commerciali è stata incisa dagli interventi del legislatore eurounitario, tesi al mantenimento di un sistema di libera concorrenza senza distorsioni, costituente uno dei fondamenti dell'Unione europea.

Ed è proprio in un'ottica di proconcorrenzialità che si inserisce la direttiva 2000/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 giugno 2000 relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, i quali «costituiscono una violazione contrattuale resa finanziariamente attraente per i debitori nella maggior parte degli Stati membri per i bassi livelli dei tassi degli interessi di mora e/o dalla lentezza delle procedure di recupero» (considerando 16).

Partendo dall'assunto di base che l'obiettivo della lotta contro i ritardi di pagamento nel mercato interno «non può essere sufficientemente realizzato dagli Stati membri separatamente e può pertanto essere meglio realizzato a livello comunitario» (considerando 12), il legislatore eurounitario ha approntato una disciplina applicabile alle transazioni commerciali poste in essere - indifferentemente - tra imprese private ovvero tra queste ultime e le Pubbliche Amministrazioni, disciplina la quale prevede (non termini di pagamento armonizzati o perentori all'interno dell'Unione europea, ma) il diritto del creditore a interessi maggiorati in caso di ritardato pagamento, senza dover, al detto fine, inviare alcun sollecito di pagamento.

La direttiva de qua è stata attuata, nell'ordinamento nazionale, con il decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231 , recante "Attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali".

Nell'anno 2011 il legislatore eurounitario è - nuovamente - intervenuto con la direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 febbraio 2011 relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, mediante la quale, avendo preso atto della circostanza che i ritardi nei pagamenti «influiscono negativamente sulla liquidità e complicano la gestione finanziaria delle imprese» (considerando 3), compromettendone anche la competitività e la redditività, ha rafforzato - sempre nell'ottica della proconcorrenzialità - la tutela delle imprese contro i ritardi di pagamento.

Con specifico riferimento alle transazioni commerciali tra imprese private la direttiva de qua ha riprodotto le disposizioni della (precedente) direttiva 2000/35/CE, senza, tuttavia, prevedere termini di pagamento armonizzati in ambito eurounitario.

La direttiva de qua è stata attuata nell'ordinamento nazionale con il decreto legislativo 9 novembre 2012, n. 192 , recante "Modifiche al decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, per l'integrale recepimento della direttiva 2011/7/UE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, a norma dell'articolo 10, comma 1, della legge 22 novembre 2011, n. 180", mediante la quale il legislatore ha modificato e integrato il decreto legislativo n. 231 del 2002.

L'articolo 1 di quest'ultimo provvedimento legislativo esclude dal relativo ambito di applicazione i «debiti oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore, comprese le procedure finalizzate alla ristrutturazione del debito» (co. 2, lett. b).
In particolare, in sede fallimentare opera la regola secondo cui i debiti pecuniari del fallito «si considerano scaduti, agli effetti del concorso, alla data di dichiarazione del fallimento» (art. 55, co. 2, L.F.), mentre per quanto attiene agli interessi vige un meccanismo sospensivo in virtù del quale la declaratoria del fallimento «sospende il corso degli interessi convenzionali o legali, agli effetti del concorso, fino alla chiusura del fallimento» (art. 55, co. 1, L.F.).

Con la previsione della scadenza dei debiti pecuniari, la quale comporta la cristallizzazione della massa passiva al tempo della declaratoria del fallimento, «si realizza una regola di semplificazione della procedura fallimentare, in modo da rendere omogeneo il trattamento di tutti i creditori, soprattutto al momento delle ripartizioni» ( Cass. civ., Sez. V, 6 ottobre 2021, n. 27209 ).

Per riguardo, invece, al meccanismo sospensivo, come chiarito dai Supremi Giudici di legittimità, dal tenore letterale dell'articolo 55 della Legge Fallimentare e, segnatamente, dalla testuale limitazione della sospensione «agli effetti del concorso» discende che gli interessi «continuano a maturare al di fuori del concorso e dunque nei rapporti tra il singolo creditore e debitore sottoposto a procedura concorsuale» ( Cass. civ., Sez. I, 19 giugno 2020, n. 11983 ). In altri termini, «il "blocco" degli interessi, nella sede concorsuale, non riguarda la loro maturazione, ma esclusivamente la loro esigibilità nei confronti del fallito» (Cass. n. 11983/2020 cit.), nel senso che il meccanismo di sospensione del decorso degli interessi non produce alcun effetto estintivo, «ma solo un effetto di temporanea inesigibilità degli stessi sino alla chiusura della procedura» (Cass. n. 11983/2020).

I Giudici di legittimità hanno, altresì, chiarito che «[s]i realizza, in base a tale binomio normativo, il principio della par condicio creditorum, con la "cristallizzazione" dei crediti e con l'eliminazione della fruttuosità degli stessi, in modo da impedire una generale lievitazione degli importi dei singoli crediti» (Cass. n. 27209/2021 cit.) ed evitare «ogni disparità di trattamento tra creditori forti, che hanno pattuito interessi convenzionali a tassi molto elevati, e creditori deboli» (Cass. n. 27209/2021 cit.).

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