Civile

Le clausole compromissorie nei contratti di locazione: validità e limiti di efficacia

Le controversie nascenti da un contratto di locazione hanno ad oggetto diritti disponibili, per tali intendendosi i diritti di cui il titolare può disporre attraverso un atto negoziale e possono pertanto essere deferite agli arbitri.

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di Carmelita Bordoni*

Molto spesso nei contratti di locazione di immobili urbani, sia ad uso abitativo che ad uso diverso dall'abitazione, sono inserite clausole compromissorie, vale a dire quelle clausole contrattuali previste e disciplinate all'art. 808 c.p.c. il quale, al primo comma, dispone che "Le parti nel contratto che stipulano o in atto separato, possono stabilire che le controversie nascenti dal contratto medesimo siano decise da arbitri, purchè si tratti di controversie che possono formare oggetto di convenzione di arbitrato. La clausola compromissoria deve risultare da atto avente la forma richiesta per il compromesso dall'art. 807 c.p.c.".

In forza del richiamo all'art. 807 c.p.c. le clausole compromissorie devono avere forma scritta e devono determinare l'oggetto della controversia.

Ogniqualvolta sorge una controversia relativa ad un rapporto di locazione di immobile urbano regolato da un contratto in cui è inserita una clausola compromissoria, l'interprete è chiamato a porsi alcune domande in merito alla operatività della clausola compromissoria e alla deferibilità agli arbitri della controversia in concreto insorta.

L'art. 808 c.p.c., nel disporre che sono deferibili agli arbitri le cause nascenti dal contratto (nel quale è inserita la clausola compromissoria) purchè si tratti di controversie compromettibili in arbitri, richiama l'art. 806 c.p.c. rubricato "Controversie arbitrabili" secondo il quale "Le parti possono far decidere da arbitri le controversie tra loro insorte che non abbiano per oggetto diritti indisponibili, salvo espresso divieto di legge".

Le controversie nascenti da un contratto di locazione hanno ad oggetto diritti disponibili, per tali intendendosi i diritti di cui il titolare può disporre attraverso un atto negoziale e possono pertanto essere deferite agli arbitri.

Però, non tutte le controversie nascenti da un contratto di locazione di immobile urbano possono tout courtritenersi deferibili al giudizio arbitrale.

Un primo limite – o meglio un espresso divieto di legge – era rappresentato dall'art. 54 della L. 392/1978 che sanciva la nullità delle clausole con le quali le parti "stabiliscono che le controversie relative alla determinazione dei canone siano decise da arbitri".

Il divieto di compromettibilità in arbitri di cui all'art. 54 L.392/1978 riguardava qualsiasi controversia che riguardasse la determinazione del canone di locazione, includendo nel divieto anche le cause aventi ad oggetto la revisione del canone, il suo aggiornamento o il suo adeguamento (Cassazione n. 9211 del 01.09.1999).

Tale divieto veniva abrogato dall'art. 14 della L. 431 del 09.12.1998, ma limitatamente alle locazioni ad uso abitativo.

L'abrogazione dell'art. 54 L. 392/1978 ad opera dell'art.14 L. 431/1998 lasciava, pertanto, aperta la questione relativa al permanere del divieto di deferimento ad arbitri delle controversie aventi ad oggetto ladeterminazione, aggiornamento, revisione, adeguamento del canone nelle locazioni di immobili urbani ad uso diverso dall'abitazione. Sulla estensibilità della portata abrogativa anche alle locazioni ad uso diverso, si è espressa la Cassazione a Sezioni Unite con ordinanza n.14861 del 15/06/2017 che ha statuito che l'art. 14 della l. 431/1998 si applica anche alle locazioni ad uso diverso.

Pertanto, con l'entrata in vigore del citato articolo 14 L. 431/1998 e a seguito della pronuncia della Suprema Corte di Cassazione citata, è venuto meno il divieto della clausola di deferimento ad arbitri delle controversie aventi ad oggetto la determinazione, la revisione, l'aggiornamento e l'adeguamento del canone relative a contratti di locazione di immobili urbani ad uso abitativo o ad uso diverso dall'abitazione.

In altre parole, sono compromettibili in arbitri anche le controversie aventi ad oggetto la determinazione, la revisione, l'aggiornamento e l'adeguamento del canone, al pari delle altre controversie che possono insorgere tra le parti in merito alla interpretazione ed esecuzione del contratto di locazione di immobile urbano, sia ad uso abitativo che ad uso diverso dall'abitazione.

Vi sono, però, altri limiti ex lege, che operano sul "fronte processuale", alla "arbitrabilità" delle controversie nascenti da un contratto di locazione.

Trattasi dei procedimenti previsti agli artt. 657 e 658 c.p.c., ossia i procedimenti per intimazione di licenza o di sfratto per finita locazione (art. 657 c.p.c.) e di intimazione di sfratto per morosità (art. 658 c.p.c.) che ricadono sotto la competenza funzionale ed inderogabile del giudice ordinario.

Ciò in forza di quanto previsto dall'art. 661 c.p.c. che, rubricato "Giudice competente", così dispone "Quando si intima la licenza o lo sfratto, la citazione a comparire deve farsi inderogabilmente davanti al tribunale del luogo in cui si trova la cosa locata".

Pertanto, il locatore che intende intimare una licenza o uno sfratto per finita locazione o uno sfratto per morosità non potrà che adire l'autorità giudiziaria ordinaria.

Peraltro, la clausola compromissoria – che trova un ostacolo alla sua applicabilità nel procedimento nella fase di cognizione sommaria - potrà spiegare i propri effetti nella fase, eventuale, di opposizione alla licenza o allo sfratto a cognizione piena.

A seguito dell'opposizione dell'intimato, il quale avrà svolto l'exceptio compromissi (si ricorda che l'eccezione di arbitrato è eccezione in senso stretto e non è rilevabile d'ufficio) si instaura un ordinario procedimento di cognizione che si svolgerà davanti agli arbitri.

Vista in altri termini, la clausola compromissoria inserita in un contratto di locazione di immobile urbano (sia ad uso abitativo che ad uso diverso dall'abitazione) non esclude la competenza del giudice ordinario nelle materie in cui è inderogabilmente competente e che, pertanto, non sono compromettibili in arbitri.

Non solo i procedimenti per intimazione di licenza o di sfratto per finita locazione o di sfratto per morosità sono sottratti alla cognizione arbitrale.

L'art. 818 c.p.c. dispone che "gli arbitri non possono concedere sequestri, né altri provvedimenti cautelari, salva diversa disposizione di legge".

Inoltre, non competerebbe agli arbitri l'emanazione di ingiunzioni, ivi incluse quelle in materia locatizia, che sarebbero di esclusiva competenza del giudice ordinario.

È, infatti, opinione generalmente condivisa in giurisprudenza che "l'esistenza di una clausola compromissoria non esclude la competenza del giudice ordinario ad emettere un decreto ingiuntivo (atteso che la disciplina del procedimento arbitrale non contempla l'emissione di provvedimenti "inaudita altera parte"), ma impone a quest'ultimo, in caso di successiva opposizione fondata sull'esistenza della detta clausola, la declaratoria di nullità del decreto opposto e la contestuale remissione della controversia al giudizio degli arbitri" (cfr. Cass. 21.12.2018 n. 22433 in motivazione).

L'esistenza di una clausola compromissoria non preclude, quindi, al creditore l'accesso alla tutela monitoria e l'emanazione di un decreto ingiuntivo da parte del giudice ordinario; a seguito della eventuale opposizione (e dello svolgimento di specifica eccezione di arbitrato da parte dell'opponente) la clausola compromissoria dispiegherà i propri effetti e gli arbitri saranno investiti del potere di decidere sulla controversia.

Data la compromettibilità in arbitri delle controversie locatizie e appurata l'efficacia delle clausole compromissorie inserite nei contratti di locazione, seppure con i limiti sopra ricordati, resta da chiedersi - (tra le altre questioni, quali ad esempio la sua rinunciabilità o la legittimazione fare valere la vessatorietà) se la clausola compromissoria inserita in un contratto di locazione di immobile urbano estenda i propri effetti anche in ipotesi di sublocazione e di cessione del contratto.

La giurisprudenza prevalente propende per la soluzione negativa per le ipotesi di sublocazione (Cfr. ex multis Cass. 941 del 17.01.2017, secondo la quale "la clausola compromissoria contenuta in un determinato contratto – nella specie di locazione – non estende i propri effetti alle controversie relative ad altro contratto– nella specie di sublocazione – ancorchè collegato a quello principale").

Così, in mancanza di un accordo specifico, la clausola compromissoria contenuta in un contratto di locazione non estende i propri effetti alle controversie relative ad altro contratto di sublocazione, seppur collegato a quello principale.

In ipotesi di cessione del contratto di locazione è necessario distinguere.

La clausola compromissoria non si trasmette, infatti, al cessionario se non con il consenso espresso di tutti i soggetti coinvolti nella cessione, posto che il negozio compromissorio è autonomo rispetto al rapporto sostanziale. Così, in mancanza di un accordo specifico inter partes, né il contraente ceduto né il cessionario possono invocare la clausola compromissoria in ipotesi di controversia insorta in ordine al rapporto locatizio regolato dal contratto oggetto di cessione.

Diversamente, nelle ipotesi di cessione del contratto di locazione ex lege, nelle quali il ceduto è rimasto estraneo al trasferimento della posizione contrattuale (si pensi alla cessione del contratto di locazione di cui all'art. 36 L. 392/1978), quest'ultimo può opporre la clausola compromissoria al cessionario qualora insorga tra loro una controversia che abbia la propria fonte nel contratto di locazione ceduto.

* a cura dell'Avv. Carmelita bordoni, Of Counsel di Lexpertise – Legal Network

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