Società

Le nuove sfide per le imprese di famiglia con l'introduzione del nuovo codice della crisi di impresa

Il CCII, entrato in vigore per alcuni aspetti il 16 marzo 2019 e per altri definitivamente il 15 luglio scorso, è intervenuto a modificare alcune norme del codice civile, evidenziando ancor più la rilevanza e l'unicità del ruolo degli amministratori nella gestione sociale (liberi da ingerenze dei soci) nonché il confine labile tra impresa in bonis e in crisi, quest'ultima intesa ora come momento fisiologico della vita dell'impresa

di Nicola Canessa, Matteo Maci e Marta Fusco*

Il passaggio generazionale in vita nelle imprese di famiglia è certamente un momento molto delicato della vita aziendale e familiare in quanto, se non adeguatamente gestito, vi è il rischio che possa creare un momento di discontinuità aziendale e di disunione familiare.

In Italia una rilevantissima maggioranza di imprese è a base familiare e pertanto il problema non è di poco conto, non soltanto per le evidenti problematiche successorie che ne possono derivare, ma anche con riferimento alle previsioni del Dlgs.14/2019, come modificate dal Dlgs.83/2022, conosciute nel loro complesso come nuovo Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza (CCII), a cui tutti gli enti collettivi ed individuali devono adeguarsi.

Il CCII, entrato in vigore per alcuni aspetti il 16 marzo 2019 e per altri definitivamente il 15 luglio scorso, è intervenuto a modificare alcune norme del codice civile, evidenziando ancor più la rilevanza e l'unicità del ruolo degli amministratori nella gestione sociale (liberi da ingerenze dei soci) nonché il confine labile tra impresa in bonis e in crisi, quest'ultima intesa ora come momento fisiologico della vita dell'impresa.

Per quanto qui interessa, la modifica rilevante è quella di cui all'art. 2086, 2° c. c.c., introdotta dall'art. 375 del D.lgs 14/2019, secondo cui "L'imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell'impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale".

Gli assetti risultano essere "adeguati" se consentono agli amministratori (art. 3, CCII) di (a) rilevare eventuali squilibri di carattere patrimoniale o economico finanziario rapportati alle specifiche caratteristiche dell'impresa e dell'attività imprenditoriale, (b) verificare la sostenibilità dei debiti e la presenza di concrete prospettive di continuità aziendale per almeno i successivi 12 mesi e i segnali per la emersione tempestiva della crisi d'impresa, (c) ricavare le informazioni necessarie a utilizzare la lista di controllo particolareggiata e a effettuare il test pratico per la ragionevole perseguibilità del risanamento di cui all'art. 13 CCII.

Aspetto rilevante dell'attività gestoria è pertanto la creazione di "adeguati assetti" (tenuto conto "della natura e delle dimensioni dell'impresa") che favoriscano una valutazione periodica e prospettica dell'andamento della azienda, sulla considerazione che l'eventuale crisi possa essere tanto più agevolmente individuata e superata quanto più si intervenga tempestivamente a rilevare il suo insorgere, attuando le soluzioni del caso nell'ottica di preservare la continuità aziendale.

Da qui una importante conseguenza: gli amministratori non saranno responsabili se, nel ritenere "adeguati" gli assetti che hanno predisposto, abbiano agito, secondo i principi della Business Judgement Rule, (a) in conformità della legge e dello statuto sociale, (b) non in conflitto d'interesse, e (c) in coerenza con le informazioni assunte per giungere alla decisone, e se, evidenziato il momento di crisi, attuino soluzioni volte alla continuità d'impresa, nel rispetto del CCII, predisponendo operazioni di risanamento delle posizioni debitorie, anche attraverso l'ingresso di nuovi soci finanziatori, o la cessione a terzi dell'azienda (o di rami d'azienda) o delle partecipazioni sociali.

Ben si comprende, alla luce di quanto esposto, come in un'impresa di famiglia questa normativa possa creare non pochi problemi, nel momento in cui vi sia un automatico e non "adeguato passaggio del testimone" di padre in figlio, senza una valutazione prospettica sui possibili nuovi assetti di governance.

L'analisi preliminare del possibile passaggio generazionale in vita della propria azienda (e degli altri suoi assets), compiuta con un "adeguato" consulente legale, consente all'imprenditore di valutare con le dovute informazioni l'adeguatezza attuale e futura degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili, utilizzando gli strumenti giuridici più consoni al duplice fine di trasmettere la propria azienda in un'ottica di continuità, in linea con le previsioni del CCII, e di attribuire il proprio patrimonio ai suoi eredi, evitando litigi tra loro.

Mai come ora passaggio generazionale deve essere sinonimo anche di continuità d'impresa.

* a cura degli Avv. ti, Nicola Canessa, Matteo Maci e Marta Fusco, Studio CBA

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