Lecito l’acquisto di partecipazioni sociali a un prezzo vicino allo zero
Nota a Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 21 dicembre 2023, n. 35685
Con sentenza n. 35685, del 21 dicembre 2023, la Corte di Cassazione ha stabilito che, in tema di vendita di partecipazioni sociali ad un prezzo vicino allo zero, non può ritenersi meramente apparente o simbolico - e non determina, quindi, la nullità del contratto per difetto di uno dei suoi requisiti aziendali - il prezzo che, seppur pari a zero o a cifra che si approssima allo zero, si riferisca a un negozio che presenti carattere oneroso, in relazione all’assunzione da parte dell’acquirente, contestuale o con atti collegati, di obblighi connessi con il diritto acquistato come nel caso dell’acquisizione di partecipazioni sociali, che impongono al titolare ulteriori apporti finanziari, pena l’azzeramento del valore di tali partecipazioni.
Il giudizio trae origine da una complessa operazione finanziaria nell’ambito della quale la Holding attrice aveva ceduto azioni della propria partecipata per un corrispettivo di Euro 1,00 per ciascuna vendita. La venditrice agiva quindi nei confronti degli acquirenti per l’accertamento, tra le altre, della nullità del contratto di compravendita delle azioni per violazione dell’art. 644 c.p. ovvero della nullità del contratto per mancanza di causa con conseguente condanna dei convenuti alla restituzione del valore equivalente alle partecipazioni azionarie cedute e al risarcimento dei danni derivanti dal deprezzamento della residua partecipazione detenuta, nonché, in via subordinata, alla restituzione delle azioni cedute. Il tribunale adito rigettava integralmente le domande attoree.
Avverso la sentenza di primo grado, parte attrice proponeva appello. La Corte d’Appello rigettava l’impugnazione rilevando come la cessione delle partecipazioni azionarie in oggetto si inserisse nell’ambito di una più complessa operazione finanziaria preordinata a realizzare il superamento della situazione di grave difficoltà economica e finanziaria in cui versava la società di cui l’appellante aveva alienato le partecipazioni. Osservava inoltre che gli acquirenti erano già soci (finanziari) della società, avendo in passato acquistato azioni in misura pari al 29,95% del capitale sociale versando un prezzo superiore al relativo valore nominale e evidenziava che questi si erano determinati all’acquisto in oggetto al fine di attuare un programma di ristrutturazione aziendale idoneo a far fronte alla grave crisi di liquidità che aveva colpito la società.
La Suprema Corte - chiamata a pronunciarsi sulla questione a seguito di ricorso proposto dall’appellante soccombente - ha ritenuto che il giudice di secondo grado avesse correttamente escluso che la cessione delle partecipazioni fosse avvenuta a un prezzo meramente apparente o simbolico. L’assunzione da parte degli acquirenti di ulteriori impegni di natura finanziaria, strettamente connessi alle cessioni, infatti, giustifica, sotto il profilo causale, l’alienazione.
Osserva la Corte che, in tema di contratti di scambio, lo squilibrio economico originario delle prestazioni delle parti non può comportare la nullità del contratto per mancanza di causa, perché nel nostro ordinamento prevale il principio dell’autonomia negoziale, che opera anche con riferimento alla determinazione delle prestazioni corrispettive. Solo l’indicazione di un prezzo assolutamente privo di valore, meramente apparente e simbolico, potrebbe determinare la nullità della vendita per difetto di uno dei requisiti essenziali. Nel caso di specie, non può ritenersi meramente apparente o simbolico il prezzo che, seppur pari a zero o a cifra che si approssima allo zero, si riferisca a un negozio che presenti carattere oneroso in relazione all’assunzione da parte dell’acquirente, contestuale o con atti collegati, di obblighi connessi con il diritto acquistato.
Con riguardo alla dedotta usura, la Suprema Corte ha rigettato la relativa doglianza rilevando come la cessione si collocasse nell’ambito di un’iniziativa di risanamento aziendale con conseguente esclusione di ogni profilo usurario dell’operazione.
In definitiva, la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso e confermato la sentenza impugnata.
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*A cura dell’avv. Antonio Martini, partner, avv. Alessandro Botti e Ilaria Canepa, dott.ssa Arianna Trentino – Studio legale e tributario CBA