Società

Limiti dei patti parasociali che escludono l'esercizio dell'azione di responsabilità

In particolare, con riferimento al profilo della responsabilità dell'amministratore nei confronti della società previsto dall'art. 2392 c.c., si rileva come la ricerca di soluzioni che possano limitare o esonerare lo stesso amministratore dai rischi connessi con la sua funzione, trovi dei limiti stringenti in una normativa in larga misura inderogabile dall'autonomia privata.

di Franceaco Baglieri*

A fronte dell'accresciuta complessità dell'attività gestionale nelle imprese e, in particolare, nelle società, risulta di pressante attualità per l'operatore del diritto l'individuazione di risposte idonee ed efficaci a garantire (o a limitare) i rischi e le responsabilità degli amministratori connesse con la loro attività di gestione delle società di capitali.

In particolare, con riferimento al profilo della responsabilità dell'amministratore nei confronti della società previsto dall'art. 2392 c.c., si rileva come la ricerca di soluzioni che possano limitare o esonerare lo stesso amministratore dai rischi connessi con la sua funzione, trovi dei limiti stringenti in una normativa in larga misura inderogabile dall'autonomia privata.

Gli art. 2392 e ss. del c.c., infatti, hanno un composito obiettivo di tutela che si articola al suo interno nelle specifiche disposizioni a tutela dei creditori e dei soci e che, nel suo complesso, ha come fine ultimo la tutela del mercato in generale.

Così, anche nell'ipotesi dell'azione di responsabilità spiegata dal socio ai sensi dell'art. 2476, c. 3, ci si trova al cospetto di un'azione in cui il singolo socio è legittimato non in via autonoma, bensì quale sostituto della società ai sensi dell'art. 81 c.p.c., tanto che, nell'ambito del giudizio instaurato dal socio, la società è litisconsorte necessario ai sensi dell'art. 102 c.p.c. (si vedano, da ultimo, Cass. Civ. 25317 del 20.09.2021 e Trib. Napoli, n. 6363 dell'08.07.2021). Ciò perché, come più volte ribadito dalla Suprema Corte, l'azione esercitata dal socio ai sensi del terzo comma dell'art. 2476 c.c. costituisce sostanzialmente la medesima azione di cui è già titolare la società, azione volta a far valere la responsabilità degli amministratori nei confronti dell'ente.

La legge si limita, in questa prospettiva, a delineare una legittimazione concorrente e disgiuntiva spettante, per un verso, alla società e, per altro, al singolo socio il quale esercita l'azione sociale sulla base di una sostituzione processuale eccezionalmente ammessa dalla legge.

Il socio che agisce per ottenere il ristoro dei danni subiti a causa della mala gestio dell'amministratore si fa così latore di un più generale interesse, ovvero quello della società stessa a vedersi ristorata dai danni arrecati al proprio patrimonio sociale per la cattiva gestione dell'amministratore (salva la possibilità per i singoli soci di agire – sempre in danno degli amministratori – per il risarcimento dei danni patrimoniali diretti ai sensi dell'art. 2476, c. 7).

Quanto sinteticamente rilevato consente di comprendere le ragioni ed il fondamento dei limiti alla derogabilità del regime di responsabilità degli amministratori (o meglio degli ex amministratori) ad opera dei soci, nell'ambito di patti parasociali tra gli stessi stipulati.Tale problematica si pone sovente nell'ipotesi in cui il socio uscente – magari al fine di dirimere un conflitto sorto con le altre parti del sodalizio – di una società (una srl, per esempio), rivesta anche la carica di amministratore (o co-amministratore).

Si pone così il problema della validità della clausola – che costituisce un patto parasociale – con la quale viene rinunziata l'azione sociale di responsabilità nei confronti del socio uscente (e cedente la propria partecipazione sociale) già amministratore della società.

A tale proposito si rileva come i patti parasociali destinati a disciplinare in via convenzionale il modo di esercizio di diritti e facoltà dei soci in relazione ad una determinata società non siano, in via di principio, vietati dall'ordinamento (cfr. Cass. Civ., n. 14865/01; Cass. Civ., n. 9191/96). Ma la circostanza che i patti parasociali - ed in particolare i sindacati di voto mediante i quali uno o più soci si impegnino ad esercitare in un determinato modo il voto in assemblea - non siano di per sé vietati, non esclude però che quei medesimi patti possano risultare illegittimi qualora, in una specifica fattispecie, il vincolo assunto dai contraenti si ponga in contrasto con norme imperative o appaia comunque tale da configurare uno strumento di elusione di quelle norme o dei principi generali dell'ordinamento che ad esse sono sottesi (Cass. Civ. n. 15963/07; Cass. Civ. n. 5963/08).

Così secondo un indirizzo della Suprema Corte (Cass. Civ., n. 10215/2010), il patto con il quale i soci si obblighino nei confronti di un terzo, socio uscente ed ex amministratore della società, a non deliberare l'azione sociale di responsabilità nei confronti dello stesso, risulta affetto da nullità, in quanto il contenuto della pattuizione realizzerebbe un conflitto d'interessi tra la società ed i soci, fattisi portatori dell'interesse del terzo ed integrerebbe una condotta contraria alle finalità imposte dal modello legale di società (non potendo i soci, non solo esercitare, ma neanche vincolarsi negozialmente ad esercitare il diritto di voto in contrasto con l'interesse della società; si veda anche Cassazione civile sez. I 27 luglio 1994 n. 7030).

La Suprema Corte ha avuto anche modo di evidenziare che, sebbene il potere di votare sia attribuito al socio per tutelare e gestire la sua partecipazione nella società ed esercitarlo nel suo personale interesse e che il potere in questione sia di conseguenza disponibile e vincolabile negozialmente, il detto potere dispositivo trova tuttavia un limite nel conflitto di interesse con la società (Cass. Civ. n. 7030/94).

Se, quindi, il socio non può esercitare il diritto di voto in conflitto con l'interesse sociale, a maggior ragione esso non potrebbe disporne, vincolandosi ad esercitarlo, non solo per il perseguimento dell'interesse di un terzo estraneo alla società, ma soprattutto in contrasto con l'interesse della società.

Secondo questo indirizzo, i patti parasociali aventi ad oggetto il voto relativo ad un'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori violerebbero gli artt. 2392 e 2393 c.c. (che rivestono, come visto, il carattere di norme imperative), che prevedono la responsabilità per danni dell'amministratore a causa della violazione degli obblighi di diligenza incombenti al mandatario e la possibilità di proposizione dell'azione di responsabilità nei suoi confronti da parte della società.

Il patto, quindi, darebbe luogo ad una ipotesi di nullità in quanto l'oggetto (la non votazione dell'azione di responsabilità) ovvero i motivi comuni alle parti del patto stesso sono illeciti poiché la clausola è stipulata al fine di far prevalere l'interesse di singoli soci a detrimento dell'interesse generale della società al promovimento della detta azione dal cui esito positivo, la società stessa, potrebbe ricavare un ristoro economico.Sul punto si segnala come la Giurisprudenza di merito (si veda sempre Trib. Roma, 19193/15) abbia di recente ritenuto di specificare come tale orientamento appaia condivisibile solo qualora il patto (parasociale) riguardi un amministratore in carica e, dunque, abbia ad oggetto la rinunzia preventiva ad esercitare l'azione di responsabilità relativamente a condotte assunte dall'amministratore successivamente all'adozione del patto parasociale stesso, ma non quando il patto abbia, al contrario, ad oggetto l'assunzione di un impegno a non votare l'azione di responsabilità dell'amministratore che, in conseguenza della cessione della propria partecipazione sociale, cessa (anche) di ricoprire tale carica e, dunque, faccia riferimento ad attività pregresse poste in essere dall'amministratore.

Alla luce di quest'ultimo indirizzo sembrerebbe residuare la possibilità (e legittimità) della clausola ove i soci rinunciano all'esperimento dell'azione di responsabilità nei confronti dell'ex amministratore – magari con l'opportuna ulteriore cautela di una contestuale ed esplicita ratifica dell'operato di quest'ultimo da parte del nuovo amministratore della società – con esclusivo riferimento ai fatti ed agli atti di gestione relativi agli esercizi sociali amministrati dall'ex amministratore.

*a cura dell' avv. Francesco Baglieri, Partner24Ore

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