No ai piani di risanamento oltre i cinque anni: sono poco verosimili
Le durate troppo lunghe non consentono proiezioni affidabili e verosimili
Un piano di risanamento che supera un orizzonte quinquennale non è verosimile, a meno che non sia basato su previsioni analitiche od accordi contrattuali definiti.
Questo è quanto stabilito in una recente sentenza del 24 aprile scorso dal Tribunale di Roma, che ha ritenuto non omologabile un accordo di ristrutturazione del debito (articolo 57 del Codice della crisi) che prevedeva il soddisfacimento dei creditori tramite una riorganizzazione aziendale, i cui flussi di continuità sarebbero serviti per pagare i creditori aderenti all’accordo, quelli estranei e l’Erario a mezzo di una transazione fiscale.
Rispetto al pagamento del debito erariale, la proposta transattiva prevedeva il pagamento di una percentuale di poco superiore al 20% in dieci anni.
In merito a tale punto, non essendo intervenuta l’adesione dell’agenzia delle Entrate entro i 90 giorni prescritti dall’articolo 63 del Codice, la società ricorrente aveva richiesto che i magistrati romani si pronunciassero comunque per l’omologa, anche in assenza del favore dell’amministrazione finanziaria (comma 2-bis dell’articolo 63).
L’impresa ha dunque cercato di “forzare”, tramite l’intervento dei giudici, l’omologa dell’accordo anche in assenza del consenso del creditore pubblico, la cui inerzia, in passato, ha spesso ostacolato le ristrutturazioni.
Presupposto della transazione fiscale deve essere, però, la maggiore convenienza dell’accordo per l’Erario rispetto alla liquidazione giudiziale, nella cui alternativa – secondo la società e l’attestatore – non avrebbe ottenuto nulla.
Il Tribunale ha respinto tale prospettazione, considerando non verosimile una proposta basata su un piano decennale e supportando tale considerazione con il richiamo ai “Princìpi per la redazione dei piani di risanamento” messi a punto dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti.
Tale documento specifica come l’attendibilità di piani superiori ai cinque anni si scontri «…con problemi di prevedibilità analitica» che potrebbero venire superati solo per contratti di durata ultraquinquennale, connaturati a specifici settori (come ad esempio la gestione immobiliare od alberghiera) e debitamente attestati.
Il caso sotto esame riguarda invece un gruppo di società attive nella vendita dell’energia elettrica, un comparto fortemente esposto a fattori di imprevedibilità politica ed economica, che accrescono ulteriormente l’alea di mercato e rendono le previsioni superiori ai cinque anni poco affidabili e verificabili.
La stessa società, fra le motivazioni della crisi, indica la mutevolezza delle contingenze macroeconomiche che si sono riflesse sulla marginalità aziendale, confermando l’insostenibilità di una proiezione che vada oltre i tre-cinque anni: un limite nello sviluppo dei piani di risanamento considerato invalicabile sia dalla dottrina che dalla prassi dei tribunali.