Civile

Pa, il giudice può ordinare l’assunzione “obbligatoria” del disabile avviato al lavoro

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di Paola Rossi

In materia di pubblico impiego privatizzato, dove la legge e la contrattazione collettiva predeterminano tutti gli elementi essenziali del contratto, come la qualifica, le mansioni, il trattamento economico e normativo e il periodo di prova, non sono ravvisabili ostacoli alla tutela costitutiva invocata dal lavoratore - iscritto nelle liste di avviamento obbligatorio e risultato idoneo al collocamento - dovendosi solo valutare, con accertamento di fatto riservato al giudice del merito, se siano o meno praticabili “ragionevoli accomodamenti” per rendere concretamente compatibile l’ambiente lavorativo con le limitazioni funzionali del lavoratore disabile.

Il giudice può, quindi, imporre al datore di lavoro pubblico l’esecuzione del contratto di lavoro con il disabile che rientra tra le assunzioni obbligatorie. E non configura impedimento ad assumere la decisione la circostanza che siano da definire alcune modalità di esecuzione della prestazione che tengano conto delle specifiche condizioni e attitudini del soggetto affetto da handicap. Le limitazioni in sé della prestazione che concretamente ci si può attendere dal disabile non giustificano la mancata esecuzione del contratto in base a decisione del giudice.

La posizione della Suprema corte

La Corte di cassazione ha perciò annullato - con la sentenza n. 5048/2024 - la decisione di appello che aveva ritenuto di non poter imporre a norma dell’articolo 2932 del Codice civile l’assunzione del lavoratore disabile da parte dell’azienda ospedaliera, in quanto la stessa Ctu aveva affermato l’inidoneità del lavoratore ad avere contatto con gli ammalati anche a fini di tutela della sua stessa tutela personale. Ma tali prescrizioni cautelative non rendono indefinita la prestazione lavorativa rendendo inapplicabile la tutela costitutiva ex articolo 63 Dlgs 165/2001 invocata dal lavoratore, iscritto nelle liste di avviamento obbligatorio e risultato idoneo al collocamento, dovendosi solo valutare, con accertamento di fatto riservato al giudice del merito, se siano o meno praticabili “ragionevoli accomodamenti”, nel rispetto dei principi stabiliti dalla direttiva 2000/78/Ce, per rendere concretamente compatibile l’ambiente lavorativo con le limitazioni funzionali del lavoratore disabile. La Cassazione boccia l’affermazione della sentenza annullata secondo cui «compete alla sola parte datoriale ogni valutazione circa l’utilità economica e organizzativa di avvalersi di un operatore socio sanitario che non può fare uso di strumentazione e non può avere contatto con gli ammalati». Il giudice di merito può valutare la misura dell’”accomodamento”, in quanto si tratta dell’interazione fra una persona individuata anche con le sue limitazioni funzionali e lo specifico ambiente di lavoro. Giudizio in concreto che non ammette generalizzazioni, e dove la regola della ragionevolezza ne è il criterio guida in base al principio fondamnetale della solidarietà sociale.

L’annullamento della sentenza di secondo grado

I giudici di merito non si sono attenuti ai principi focalizzati della Cassazione che rinvia la decisione chiarendo che data per assodata l’idoneità del ricorrente al lavoro per cui è stato avviato, in base alla legge 68/1999, andrà ora verificato se, in presenza della predetrminazione di tutti gli elementi essenziali del rapporto (mansioni, retribuzione e qualifica), si possa procedere tenendo conto degli esiti deella Ctu alla costituzione del rapporto di pubblico impiego.

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