Casi pratici

Patto di famiglia e liquidazione dei legittimari: questioni controverse

Il patto di famiglia: un istituto problematico

di Nicola Ciconte

LA QUESTIONE
Nel patto di famiglia, qual è il regime fiscale cui sono assoggettate le disposizioni con le quali il beneficiario tacita le ragioni dei legittimari non assegnatari? Con tale istituto è possibile disporre della sola azienda o anche di tutto il patrimonio dell'imprenditore? E la liquidazione degli altri legittimari può essere effettuata solo dal beneficiario o anche direttamente da disponente con propri beni?


Il patto di famiglia, come noto, è stato introdotto nel nostro ordinamento dalla legge 55/2006 che ha inserito nel codice gli artt.768-bis – 768-octies un apposito, nuovo Capo, il quinto-bis, collocandolo, non accidentalmente, nel Titolo IV, ovvero il titolo dedicato alla disciplina della divisione.
Questo nuovo e autonomo istituto giuridico, complice una tecnica legislativa non eccelsa, ha sollecitato, sin da subito, un vivace dibattito dottrinario che, dall'inquadramento giuridico sino alle questioni pratiche più di dettaglio, ha toccato praticamente ogni aspetto della disciplina.
A partire dalla stessa natura dell'istituto o dalla struttura (bilaterale, trilaterale, a struttura variabile), è discusso, ad esempio, se il patto di famiglia possa riguardare tutte le partecipazioni sociali o solo quelle che conferiscano un potere di controllo; se sia necessaria o meno la partecipazione di tutti i legittimari; e il dibattito include le questioni trattate nel presente scritto.
In questo quadro, oltre che dalla dottrina, un ruolo fondamentale è assunto dalla giurisprudenza.
Due recenti pronunce, la sentenza 24 dicembre 2020, n.29506 e l'ordinanza 19 dicembre 2018, n.32823, affrontando alcuni degli aspetti problematici della disciplina consentono qualche riflessione.

Il regime fiscale
La questione del regime fiscale del patto di famiglia è stata affrontata, in particolare, da due recenti pronunce della Suprema Corte – l'ordinanza della sezione tributaria n.32823/2018 e la sentenza della sezione V n.29506/2020 – che, affrontando il cuore della questione, ovvero quella del regime fiscale cui sottoporre i trasferimenti del beneficiario in favore degli altri legittimari partecipanti al patto, hanno reso due soluzioni contrastanti.
Può dirsi sin d'ora che la soluzione offerta nella più recente sentenza appare preferibile perché più rispondente alla ratio sottesa al patto di famiglia ed in linea con la ricostruzione dello stesso come operazione unitaria che vede la liquidazione degli altri legittimari da parte del beneficiario partecipare della stessa causa propria del trasferimento dell'azienda operato dall'imprenditore-disponente.
Come noto, il comma 2 dell'art.768-quater c.c. prevede l'obbligo, per l'assegnatario dell'azienda o delle partecipazioni societarie, di "liquidare gli altri partecipanti al contratto, ove questi non vi rinunzino in tutto o in parte, con il pagamento di una somma corrispondente al valore delle quote previste dagli articoli 536 e seguenti". Quanto corrisposto agli altri partecipanti non assegnatari, secondo la previsione di cui al successovi comma 3, è imputato alle quote di legittima loro spettanti, secondo il valore attribuito in contratto all'azienda o alle partecipazioni societarie trasferite. Infine, secondo il comma 4, "quanto ricevuto dai contraenti non è soggetto a collazione o a riduzione".
La Corte osserva sul punto che "il legislatore considera i beni trasferiti con il patto di famiglia separatamente rispetto ai restanti beni dell'imprenditore e, come se si aprisse anticipatamente la successione solo su tali beni, prevede la necessità di determinare la quota di legittima, spettante ai legittimari non assegnatari, ponendo a carico del beneficiario del trasferimento l'obbligo della relativa liquidazione, come se fosse esperita l'azione di riduzione e operata la divisione".
Come evidente, la complessiva operazione è unitaria ed ha una causa comune: da un lato, l'imprenditore sceglie, fra i propri discendenti, il successore nell'azienda; dall'altro, quest'ultimo deve liquidare agli altri legittimari la quota cui avrebbero diritto se, in quel momento, si aprisse la successione, sulla base del valore attribuito all'azienda nel contratto.
Potrebbe quindi sostenersi, così come fatto dai ricorrenti nel giudizio poi deciso dalla Corte, che le due diverse disposizioni, quella dell'imprenditore disponente e quella dell'assegnatario-erede prescelto, debbano essere sottoposti alla medesima disciplina fiscale.
In particolare, il richiamo è all'art.3, comma 4-ter, d.lgs. 346/1990, che prevede una esenzione dalla reintrodotta imposta sulle successioni e donazioni per "i trasferimenti, effettuati anche tramite i patti di famiglia di cui agli articoli 768 bis e seguenti del codice civile a favore dei discendenti e del coniuge, di aziende o rami di esse, di quote sociali e di azioni".
La tesi sostenuta dai predetti ricorrenti è che il patto di famiglia abbia una causa unitaria e ponga una connessione funzionale tra il trasferimento dell'azienda e la liquidazione operata dal beneficiario in favore degli altri legittimari tale per cui le due attribuzioni debbano essere sottoposte al medesimo trattamento tributario, id est, la esenzione appena esaminata.
Senonché, la Suprema Corte, pur condividendo, come detto, "la lettura unitaria dell'intera operazione negoziale", giunge a conclusioni opposte quanto al regime fiscale, escludendo la possibilità di estendere alle dette attribuzioni poste a carico del beneficiario la esenzione dall'imposta prevista per il trasferimento dell'azienda.
Ciò in quanto, si spiega nella sentenza, l'art.3, comma 4-ter, citato non pone la disciplina generale in materia fiscale del patto di famiglia (trovando applicazione, tra l'altro, anche al di fuori di tale istituto) e, in quanto previsione agevolativa, "non può che essere di stretta interpretazione" ed applicarsi quindi al solo trasferimento "di aziende o rami di esse, di quote sociali e di azioni" (art.3 cit.) e non alle altre disposizioni delle quali è gravato il beneficiario ed estranee all'impresa.
Ciò precisato, per decidere la questione, la Cassazione muove da un'indagine sulla natura dell'obbligo posto a carico del beneficiario e giunge alla conclusione che lo stesso si sostanzi, quanto agli effetti, in "un peso gravante sull'attribuzione operata con il patto di famiglia, in tutto simile a quanto accade con il compimento di una liberalità gravata da un onere (v. per la donazione modale, l'art.793 c.c.)". Assimilazione che, come pure si affretta a chiarire, è solo negli effetti giacché quello posto a carico del beneficiario nel patto di famiglia, a differenza di quanto accade nella donazione modale, è un obbligo che ha fonte legale, e non negoziale, e costituisce un elemento necessario dell'accordo, non accidentale.
Ed allora la questione deve essere affrontata sulla base della normativa di cui al Testo unico dell'imposta sulle successioni e donazioni di cui al d.lgs. 346/1990. Osserva la Corte che, nel reintrodurre l'imposta, l'art.2 d.l. 262/2006, conv. con mod. in l. 286/2006, "ha rimodulato la configurazione del tributo, ampliandone la base impositiva", estendendo l'imposizione "al più ampio genus degli atti a titolo gratuito" sì da "correlare il presupposto del tributo all'accrescimento patrimoniale (senza contropartita) del beneficiario, anziché all'animus donandi, che infatti difetta negli atti a titolo gratuito diversi dalle liberalità".
Se così è, il trasferimento dell'azienda o delle partecipazioni societarie disposto dall'imprenditore in favore del beneficiario si inquadra nell'ambito degli atti a titolo gratuito diversi dalle liberalità che, quindi, sarebbero soggetti all'imposta se non fosse prevista l'esenzione già esaminata.
Passando a considerare il beneficiario dell'azienda, questi, come visto, è obbligato a liquidare i legittimari sicché non beneficia interamente della diposizione a titolo gratuito in suo favore. Proprio su questo punto, la Corte osserva che quell'attribuzione patrimoniale debba essere considerata "in termini di incremento, quindi al netto di ogni componente patrimoniale negativo correlativamente imputato al patrimonio del beneficiario".
In tal senso depone anche la norma di cui all'art.8, comma 1, del testo unico, ed ancor più il comma 3, laddove è disposto che "Il valore dell'eredità o delle quote ereditarie è determinato al netto dei legati e degli altri oneri che le gravano, quello dei legati al netto degli oneri da cui sono gravati".
Ma ancor più determinante nella soluzione della questione è la disposizione di cui all'art.46, co. 3, d.lgs. citato, ove è stabilito che "L'onere a carico dell'erede o del legatario, che ha per oggetto prestazioni a soggetti terzi determinati individualmente, è considerato legato a favore del beneficiario" (analogamente, per le donazioni, l'art.58, co.1).
Tali disposizioni, unitamente all'inquadramento dell'obbligo posto a carico del beneficiario nei confronti degli altri legittimari come onere, consentono di giungere alla conclusione della applicazione al patto di famiglia della disciplina fiscale prevista per la donazione modale sia quanto al trasferimento dell'azienda che alla liquidazione dei legittimari di cui all'art.768-quater c.c.
Sul punto, come noto, l'art.2, co. d.l. 262/2006, conv. con mod. in l. 286/2006, al comma 49, prevede aliquote e franchigie diverse a seconda del rapporto esistente fra donante e donatario.
Nella individuazione fra quelle da applicare al caso specifico si consuma il contrasto fra le due richiamate pronunce.
Con la ordinanza n.32823/2018, si era infatti espresso il principio secondo cui, per l'applicazione dell'imposta alle somme od ai beni coi quali il beneficiario dell'azienda ha tacitato le ragioni degli altri legittimati, debba utilizzarsi "l'aliquota e la franchigia relativa al rapporto tra assegnatario e legittimario".
Con la sentenza n.29506/2020, invece, la Suprema Corte, sulla base delle considerazioni già esaminate, prima fra tutte la condivisibile lettura unitaria dell'intera operazione, è giunta a ritenere, più coerentemente, che "la liquidazione del conguaglio [ovvero la tacitazione dei legittimari da parte del beneficiario dell'azienda], anche se operata dall'assegnatario dell'azienda o delle partecipazioni sociali, deve essere considerata, ai fini fiscali, come liberalità dell'imprenditore nei confronti dei legittimari assegnatari". Se così è, ne discende, quale naturale conseguenza, che "occorre applicare aliquota e franchigia relativi al legame di parentela (o di coniugio) con l'imprenditore".

L'oggetto del patto di famiglia
L'esame delle due pronunce sin qui esaminate, la sentenza 24 dicembre 2020, n.29506 e l'ordinanza 19 dicembre 2018, n.32823, consente di affrontare un'altra delle innumerevoli questioni interpretative sorte all'indomani dell'introduzione del patto di famiglia nel corpo del codice civile, agli artt.768-bis e ss.
Il riferimento è all'oggetto del patto di famiglia ed alla fondamentale domanda, cui è stato chiamato a rispondere l'interprete nella nebulosità degli articoli introdotti, se, con il patto di famiglia, l'imprenditore possa solo disporre della propria azienda o anche di altra parte e finanche tutto il proprio patrimonio.
Volendo precisare i termini dell'indagine, è evidente che chiunque possa disporre, già in vita, di tutte le proprie sostanze, dividendo le stesse fra i propri eredi per mezzo di atti di donazione.
Il patto di famiglia, però, produce un effetto particolare e ulteriore, che ne caratterizza la figura e che da molti commentatori è stato definito il tratto distintivo e fondamentale del nuovo istituto. Ci si riferisce al disposto di cui al comma 4 dell'art.768-quater, laddove è stabilito che "Quanto ricevuto dai contraenti non è soggetto a collazione o a riduzione". Nemmeno eventuali legittimari sopravvenuti possono mettere in discussione le disposizioni contenute nell'accordo giacché gli stessi, secondo quanto disposto dall'art.768-sexies c.c., possono al più chiedere ai beneficiari del contratto – quindi sia all'erede che ha ottenuto l'azienda che agli altri legittimari tacitati – il pagamento della propria quota (per giunta calcolata secondo il valore dell'azienda attribuita dai partecipanti al contratto), "aumentata degli interessi legali".
Tale protezione non è ovviamente prevista in caso di ordinario atto di donazione.
Da qui la evidente importanza del quesito posto giacché ammettere la possibilità di un patto di famiglia che comprenda altri beni dell'imprenditore o anche l'intero suo patrimonio comporta la estensione, per essi, degli effetti stabilizzanti del patto di cui al richiamato comma 4 dell'art.768-quater c.c.
La questione involge, in realtà, anche un altro aspetto e si rivela quindi duplice giacché ritenere possibile che il patto di famiglia comprenda anche beni ulteriori rispetto all'impresa porta con sé anche la possibilità che la liquidazione dei legittimari non beneficiari possa essere effettuata, non già dal beneficiario con propri beni, ma dallo stesso disponente con beni appartenenti al proprio patrimonio che, quindi, dovrebbero essere sottoposti allo stesso regime protettivo previsto dal comma 4 cit.
Sul punto, la Suprema Corte, con la richiamata ordinanza n.32823/2018 ha escluso tale possibilità chiarendo che "lo stesso denaro (o bene in natura) necessario alle quote di liquidazione non può che provenire dall'assegnatario, non già dal disponente".
La successiva sentenza n.29506/2020 ha poi precisato che "il patto può riguardare esclusivamente l'azienda o le partecipazioni sociali dell'imprenditore. Non vi è spazio per ammettere un patto di famiglia che abbia ad oggetto le possibili altre voci che concorrono a formare il futuro relictum del disponente […] il quale, ove stipulato, ricadrebbe nel divieto sancito dall'art.458 c.c."
In dottrina, di contro, prevale la tesi opposta e, secondo chi scrive, più convincente nonché aderente alla complessiva natura del nuovo istituto.
Nell'acceso dibattito che è sorto sul punto, è stato evidenziato che l'adesione ad una delle due prospettazioni può determinare le sorti di una applicazione effettivamente diffusa dell'istituto in esame. In particolare, si è osservato come possa più frequentemente accadere che l'erede beneficiario dell'azienda non abbia la capacità economica di liquidare le quote degli altri legittimari. Se non si consentisse all'imprenditore di poter provvedere direttamente con altri suoi beni a tacitare le ragioni dei non beneficiari, il patto di famiglia, in molti casi, non potrebbe utilizzarsi e ciò potrebbe compromettere l'auspicata applicazione diffusa dell'istituto.
Da un punto di vista più propriamente giuridico, a sostegno della possibilità di una liquidazione disposta dallo stesso imprenditore, la migliore dottrina richiama un argomento testuale contenuto al comma 3 dell'art.768-quater c.c. il quale fa riferimento ai "beni assegnati con lo stesso contratto agli altri partecipanti non assegnatari dell'azienda", evidenziando come l'uso del termine "assegnazione" in luogo di quello "liquidazione", già utilizzato al comma 2, o altro equivalente, faccia riferimento ad una disposizione effettuata dallo stesso imprenditore.
Un secondo argomento, ancor più convincente, si rinviene nell'articolo 768-quater, comma 4, già richiamato, il quale, come visto, dispone che "quanto ricevuto dai contraenti non è soggetto a collazione o a riduzione". Gli effetti stabilizzanti sono, quindi, previsti per tutto quanto ricevuto dai contraenti. Non solo per l'azienda ricevuta dal beneficiario ma anche per le somme o i beni in natura ricevuti dagli altri legittimari. Senonché, se quanto ricevuto dai partecipanti non beneficiari, secondo la tesi opposta, può provenire solo dal beneficiario dell'azienda che tacita le corrispondenti ragioni con propri beni, rispetto a questi beni, in quanto non provenienti dall'imprenditore ma dal beneficiario, non si può porre questione alcuna di riduzione e collazione successivamente all'apertura della successione del primo. Ed allora è ragionevole ritenere che la stessa disposizione ammetta la possibilità che il conguaglio in favore degli altri legittimari possa essere effettuato dallo stesso disponente.
Come si è detto, quella appena esaminata rappresenta solo una delle moltissime questioni ad oggi irrisolte che hanno accompagnato l'introduzione dell'istituto che ci occupa. Complici le evidenti lacune del testo, il dibattito è ancora accesissimo e, si ritiene, ancora lontano da un completo assestamento, sia dottrinario che giurisprudenziale.

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