Peculato al segretario comunale se non versa i tributi ricevuti direttamente dai privati
Scatta il reato di peculato continuato per il segretario comunale che - in diversi episodi - per conto dell'amministrazione riceve dai privati brevi manu somme di denaro senza riversarle tempestivamente all'ente locale. La Corte di cassazione con la sentenza n. 40754/16, depositata ieri, ha così respinto per inammissibilità il ricorso dell'imputato che difendeva come lecita la prassi da lui stesso inaugurata e che, invece, i giudici hanno stigmatizzato come un ingiustificato innovativo modus operandi foriero quantomeno di «confusione gestionale».
Il caso - L'imputato, allora segretario generale del servizio finanziario di un piccolo Comune isolano siciliano, per un totale di circa 39mila euro aveva riscosso direttamente da privati diritti di segreteria, spese di registrazione o tasse di bollo a titolo di concessione di aree cimiteriali o di stipula di contratti di appalto. Ma oltre all'informale riscossione il segretario non procedeva al tempestivo versamento nelle cassa comunali di quelle che sono entrate tributarie per l'ente locale. E, anzi tratteneva la maggior parte delle somme in situazioni di propria piena disponibilità, addirittura presso la cassaforte di un'abitazione fuori dal territorio comunale nonostante fosse proprietario di un'altra casa nel Comune dove lavorava. In conclusione, al momento della denuncia dei fatti egli aveva riversato al Comune solo un'esigua parte delle somme a lui direttamente versate dai privati e non risultava accertata la circostanza difensiva secondo cui il denaro era materialmente allegato nel fascicolo di ogni singola pratica. Senza sottolineare la circostanza del pieno possesso da parte dell'imputato di larga parte delle somme in quanto custodite nella cassaforte all'interno di una sua abitazione privata. In tali circostanze a nulla è valso all'imputato restituire interamente le somme di competenza del Comune successivamente alla denuncia. Stessa bocciatura per l'argomento difensivo secondo cui nessun reato vi sarebbe stato in quanto al momento dell'arresto non era ancora scaduto il termine per adempiere all'obbligo di rendicontazione. Tra l'altro i fatti contestati risalivano fino all'anno precedente a quello ancora da rendicontare.
La sussistenza del dolo - L'imputato sosteneva di non aver commesso peculato anche per l'assenza di dolo in quanto aveva agito in modo difforme alla precedente gestione solo per favorire i privati contraenti attraverso la percezione diretta del denaro nel proprio ufficio. E sosteneva di aver ritardato per sovraccarico di lavoro al versamento del denaro nelle casse dell'ente locale. Al contrario i giudici e la Cassazione hanno risposto che il dolo generico richiesto dalla fattispecie incriminatrice era insito nella condotta stessa. Stesse conclusioni sulla ritardata o mancata registrazione dei contratti per aver mantenuto senza alcuna giustificazione il possesso delle somme relative ai connessi adempimenti tributari. Inutilmente su questo punto, il segretario infedele aveva sostenuto che ciò non aveva alcuna rilevanza penale poiché l'assenza di registrazione non poneva nel nulla i contratti conclusi tra il Comune e i privati. L'introversione del possesso del denaro che l'imputato sosteneva non essere dimostrata dai giudici di merito visto anche il gesto della restituzione è, secondo la Cassazione, ampiamente dimostrato dalla piena disponibilità di esso da parte del segretario comunale e dalle circostanze da cui emerge che egli fosse l'unico a conoscenza dei tempi e dei luoghi dove fosse custodito.
Corte di Cassazione – Sezione VI penale – Sentenza 29 settembre 2016 n. 40754