Professione e Mercato

Più spazio al ruolo di conciliazione

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di Paolo Frediani

Uno dei principali compiti che la prassi ha riconosciuto al Ctu, superando le limitazioni normative, è quello di conciliatore; da tempo, prima che nell’ordinamento trovassero riconoscimento sistemi alternativi della giustizia, il consulente tecnico d’ufficio rappresenta un possibile fattore compositivo della lite in ragione dei principi di terzietà e competenza che ne caratterizzano il compito.

La stessa norma, in verità tardivamente, ha riconosciuto questo potere: con la consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite (articolo 696–bis del Codice di procedura civile) entrata in vigore nel 2006, si è attribuito, per la prima volta in modo così definito, il ruolo di conciliatore al Ctu.

Di questo riconoscimento è invece rimasto sprovvisto l’ambito del processo di cognizione dove la conciliazione opera limitatamente alle previsioni dell’articolo 198 del Codice di procedura civile (esame contabile). Tuttavia, da tempo i magistrati affidano regolarmente al consulente il compito di conciliare la lite inserendolo nel quesito; il riconoscimento, pur non superando le limitazioni normative, è una sollecitazione al consulente affinché le parti in giudizio possano considerare una strada diversa in termini di convenienza e interessi che conduca alla cessazione della causa.

Il Ctu deve perciò considerare il compito come parte sostanziale dell’incarico, dedicandovi tempo e attenzioni, giacché operare il tentativo di conciliazione tra soggetti impegnati in una causa giudiziaria è ben diverso dal farlo tra coloro che sono ancora liberi da tale vincolo.

Le fasi d’intervento del Ctu presentano particolari complessità, principalmente quelle connesse alla comunicazione tra le parti che risente fortemente delle dinamiche conflittuali.

Il consulente deve comprendere che l’obiettivo primario (tutt’altro che scontato) sarà quello di far passare le parti dall’ordine imposto a quello negoziato. Lo scopo sarà raggiunto se i confliggenti avranno abbandonato le posture delle procedure da avversari a vantaggio di atteggiamenti collaborativi. Infatti le parti, contrapponendosi nella sede giurisdizionale, demandano la propria volontà a un terzo che deciderà sulla base delle norme; nell’ordine negoziato invece le parti debbono confrontarsi in termini cooperativi cercando in piena autonomia, grazie al potere dispositivo che solo loro possono avere, una soluzione basata sugli interessi piuttosto che sui diritti; gli approcci sono totalmente diversi e contrapposti: si tratta di delineare per le parti regole comportamentali per il futuro piuttosto che stabilire e decidere su condotte del passato. E determinante sarà l’indirizzo che il Ctu saprà dare all’esperimento nella ricerca non di un vincitore e di un vinto ma di un accordo reciprocamente soddisfacente per le parti, unica condizione che ne determinerà la validità e la durata.

Perciò è necessario che il consulente sia competente e formato con cognizioni di comunicazione, negoziazione, gestione del conflitto; d’altra parte i tempi sono maturi affinché nell’albo dei consulenti gli uffici giudiziari inseriscano la specializzazione “conciliatore-mediatore” per consentire al giudice la scelta del soggetto più idoneo a svolgere questa delicata funzione.

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