Privacy: impianti di videosorveglianza privati per la sicurezza pubblica
Il Viminale indica la rotta per una più stretta collaborazione tra le forze dell’ordine e i gestori degli esercizi commerciali, a garanzia dell’ordine e la sicurezza pubblica
Il Ministero dell’interno, con il recente decreto 21 gennaio 2025 (GU n. 20/2025), ha adottato le linee guida per la sottoscrizione di accordi tra le forze dell’ordine e i gestori degli esercizi commerciali, al fine di prevenire atti illegali e situazioni di pericolo, all’interno e nelle immediate vicinanze degli esercizi pubblici. Questa tipologia di accordi trova regolazione primaria nel cd. decreto sicurezza (art. 21 bis d.l. n. 113/2018), il quale rimette a protocolli locali la individuazione di “specifiche misure di prevenzione, basate sulla cooperazione tra i gestori degli esercizi e le Forze di polizia”.
L’iniziativa si colloca nella cornice dei princìpi di “sicurezza integrata” e di “sicurezza urbana”, di cui il c.d. decreto Minniti (d.l. n. 14/2017) aveva tracciato i primi contorni: la sicurezza è un obiettivo a cui devono poter concorrere, in modo integrato, Stato, Regioni, Enti locali e soggetti privati, assumendo che la sicurezza sia un bene di tutti e che afferisce, in senso lato, anche alla vivibilità e al decoro delle città.
Le linee guida, dunque, rappresentano lo strumentario di misure di prevenzione messe a disposizione di prefetture e organizzazioni degli esercenti per realizzare una più stretta collaborazione tra le forze dell’ordine e i gestori degli esercizi commerciali nell’ambito della sicurezza pubblica.
Da questo punto di vista l’iniziativa deve esser salutata con favore, poiché promuove un modello di sicurezza partecipata, valorizzando il contributo diretto degli operatori economici nella prevenzione dei fenomeni criminosi e nel rafforzamento della sicurezza urbana, favorendo la coesione sociale e la collaborazione attiva tra cittadini e istituzioni. Eppure, se da una parte si promuove la collaborazione tra pubblico e privato come sistema per migliorare la sicurezza, dall’altra occorre verificare se tale scelta possa limitare alcune libertà individuali. In particolare, il coinvolgimento di soggetti privati nella gestione della sicurezza pubblica potrebbe comportare un uso più esteso di strumenti di controllo e sorveglianza, amplificando i rischi sulla tutela, ad esempio, della vita privata e delle informazioni personali. Non possiamo dimenticare, infatti, che seppure le interazioni umane si svolgano in un luogo aperto al pubblico, ciò non esclude che esse rientrino nell’ambito del concetto di “vita privata”, da tutelarsi egualmente come ha ribadito anche di recente la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
In effetti, tra le misure raccomandante dalle linee guida del Viminale vi è quella sui sistemi di videosorveglianza che gli accordi stipulati a livello provinciale potranno prevedere «.. a carico degli operatori economici… Detti impianti saranno gestiti dai titolari degli esercizi stessi tramite gli addetti ai servizi di controllo, ovvero affidati a istituti di vigilanza privata, nel rispetto delle norme stabilite a tutela della riservatezza». I sistemi di videosorveglianza, prosegue il decreto, «dovranno essere installati all’esterno dell’esercizio pubblico, assicurando la possibilità di riprendere le vie di accesso e le uscite di sicurezza del locale».
Fermandoci ad analizzare il quadro regolatorio appena riassunto, possiamo annotare almeno due aspetti. In primo luogo, non v’è dubbio che questa strategia possa essere efficace, posto che la sorveglianza video può costituire: un deterrente, la presenza di telecamere può scoraggiare comportamenti pericolosi o criminosi; un supporto alle indagini, le immagini registrate possono fornire prove utili per le forze dell’ordine in caso di eventi criminali; uno strumento di risposta rapida delle forze di sicurezza, collegate in tempo reale tramite le «piattaforme della videosorveglianza comunale». In secondo luogo, dobbiamo registrare però un digradare nella gerarchia delle fonti del diritto, poiché per realizzare la cooperazione tra i gestori degli esercizi e le Forze di polizia il decreto sicurezza riferiva di «specifiche misure di prevenzione» (art. 21 bis d.l. n. 113/2018) rinviando la loro concreta individuazione alle linee guide di fonte ministeriale. E sono queste ultime a prevedere una serie di prescrizioni, tra cui spicca, comprensibilmente, l’istallazione di sistemi di videosorveglianza. Questo balzo tra differenti fonti del diritto introduce il tema della governance delle informazioni personali, che richiede particolare attenzione in relazione al rispetto tanto della normativa europea (Regolamento (UE) 2016/679) che di quella interna (d.lgs. n.196/2003, Codice in materia di protezione dei dati personali).
Guardando al quadro normativo europeo, possiamo osservare che questa stretta cooperazione tra gli esercenti e le forze di polizia introduce una finalità precipua per il trattamento dei dati personali raccolti mediante i sistemi di videosorveglianza; in pratica si affida una finalità di sicurezza pubblica a un sistema di videosorveglianza privato. E se la possibilità di trattare dati per finalità così delicate esula dal mero interesse privato, essa pone in capo agli esercenti compiti e responsabilità che, slegati dall’attività imprenditoriale, dovranno trovare fondamento nell’esecuzione «di un compito di interesse pubblico» (art. 6, lett. e, Gdpr).
Sul piano operativo ciò si tradurrà in nuove responsabilità per gli esercenti, i quali dovranno garantire una maggiore conformità normativa. E a fronte delle maggiori responsabilità perderanno pure di autonomia gestoria, stante la necessità di doversi coordinare con le autorità competenti per svolgere questa nuova funzione. Nella definizione di tali aspetti un ruolo cruciale sarà svolto dagli accordi locali tra le prefetture e le organizzazioni degli esercenti, occasione in cui non si potrà prescindere da un’accurata valutazione che tenga conto del contesto, delle finalità del trattamento e dell’impatto sui diritti e le libertà delle persone riprese.
Volgendo l’analisi sul piano della liceità del trattamento, occorre un’accurata riflessione sulla possibilità che linee guida di origine ministeriale, per quanto utili come strumenti di indirizzo e chiarimento operativo, possano integrare quel «diritto dello Stato membro» che, a mente del Gdpr (art. 6, par 3), qualifica quella condizione di liceità del trattamento di dati svolto nel pubblico interesse. Secondo tale prescrizione, la base giuridica per il trattamento dei dati personali nel pubblico interesse deve essere prevista da una norma di diritto interno o del diritto dell’Unione. Non si dimentica che il considerando 41 del Gdpr considera che tale base giuridica «non richiede necessariamente l’adozione di un atto legislativo da parte di un parlamento, fatte salve le prescrizioni dell’ordinamento costituzionale dello Stato membro interessato..» purché sia «..chiara e precisa, e la sua applicazione prevedibile, per le persone che vi sono sottoposte..».
Tuttavia, guardando poi al diritto interno, vale a dire al Codice in materia di protezione dei dati personali, troviamo un altro riferimento che ci indica la rotta per garantire la cd. “qualità” della base giuridica, laddove è prescritto che la base giuridica per il trattamento di dati personali effettuato per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico sia «costituita da una norma di legge o di regolamento o da atti amministrativi generali» (art 2-ter d.lgs. n.196/2003).
Infine, si consideri pure l’orientamento della Corte di giustizia dell’Unione europea sulla cd. “qualità” della base giuridica. Secondo tale insegnamento (sent. C-175/20) eventuali limitazioni all’esercizio del diritto al rispetto della vita privata (art. 7 Carta dei diritti fondamentali) e del diritto alla protezione dei dati di carattere personale (art. 8 Carta dei diritti fondamentali) devono essere previste per legge e «Tale normativa dev’essere giuridicamente vincolante nell’ambito dell’ordinamento nazionale...».
In conclusione, la strategia di introdurre un sistema di cooperazione operosa nell’ambito della tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, i cui valori sono affidati in via esclusiva alla competenza legislativa dello Stato, può concretizzarsi certamente con strumenti di sussidiarietà orizzontale e di valorizzazione della cittadinanza attiva. Ciò nonostante, l’ingerenza che le misure di prevenzione possono esercitare nei diritti e nelle libertà riconosciute dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea impone un’attenta riflessione sotto il profilo della cd. “qualità” della base giuridica, che esprime, in estrema sintesi, quel fondamentale principio di proporzionalità e di bilanciamento tra gli interessi in gioco.
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*Gianluca Fasano, Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-ISTC)