Società

Processo interrotto per fallimento e decorrenza del termine per la riassunzione

Le Sezioni Unite civili della Corte di cassazione si sono pronunciate sulla dibattuta questione dell'individuazione del momento dal quale decorre il termine per riassumere il processo interrotto a seguito della declaratoria del fallimento di una delle parti

di Rossana Mininno

La sentenza che dichiara il fallimento «priva dalla sua data il fallito dell'amministrazione e della disponibilità dei suoi beni» (art. 42, co. 1, L.F.), amministrazione demandata, unitamente alla gestione dei rapporti dedotti in giudizio, al curatore, il quale esercita dette attività «sotto la sorveglianza del giudice delegato e del tribunale fallimentare» (Cass. civ., Sez. II, 17 giugno 2010, n. 14624).

Un effetto direttamente connesso alla riferita privazione consiste nella perdita, da parte del soggetto dichiarato fallito, della capacità processuale relativamente ai rapporti di pertinenza fallimentare (cfr. Cass. civ., Sez. lav., 6 giugno 2017, n. 13991), effetto volto alla tutela della massa dei creditori (cfr. Cass. civ., Sez. V, 9 marzo 2011, n. 5571) e perdurante fino alla chiusura della procedura, la quale determina la cessazione degli organi fallimentari e il rientro del fallito nella disponibilità del suo patrimonio (cfr. Cass. civ., Sez. II, 26 giugno 2019, n. 17149).

L'apertura del fallimento comporta l'interruzione del processo (cfr. art. 43, co. 3, L.F.) con effetto automatico (cfr. Cass. civ., Sez. Un., 20 marzo 2008, n. 7443). Il processo interrotto è soggetto a estinzione se non proseguito o riassunto entro il termine perentorio di tre mesi (cfr. art. 305 c.p.c.).

Con la recente sentenza n. 12154 del 7 maggio 2021 le Sezioni Unite civili della Corte di cassazione si sono pronunciate - su sollecitazione della Prima Sezione civile (cfr. ordinanza interlocutoria n. 21961 del 12 ottobre 2020) - sulla «dibattuta questione circa l'individuazione del momento da cui debba aver corso, per la parte che non sia fallita, il termine per la riassunzione del giudizio nel caso di interruzione ex art. 43, comma 3, l.fall.».

Come rilevato dalla Sezione rimettente, la questione assume particolare rilievo in ragione della «stringente» esigenza di tutelare il diritto di difesa della parte processuale diversa da quella alla quale si riferisce l'evento interruttivo: la parte non dichiarata fallita deve essere «in grado di conoscere se si sia verificato l'evento interruttivo e, in caso positivo, deve essere nelle condizioni di sapere da quale momento decorre il termine, semestrale o trimestrale, per la riassunzione (Corte cost. 21 gennaio 2010, n. 17 cit.)», tenuto conto che nei casi di interruzione intervenuta di diritto «la conoscenza che si richiede, ai fini della decorrenza del termine per la riassunzione è comunemente individuata in quella legale, ottenuta tramite atti muniti di fede privilegiata quali dichiarazioni, notificazioni o certificazioni rappresentative dell'evento medesimo […] alle quali non è equiparabile la conoscenza di fatto altrimenti acquisita».

Ciò rende dirimente la necessità di ancorare la verifica della possibilità di conoscenza dell'evento a «criteri quanto più possibile sicuri ed oggettivi, così da neutralizzare, per quanto possibile, l'elemento di criticità operativa derivante dall'avere il giudice delle leggi disancorato il termine per la riassunzione dal verificarsi dell'interruzione, così rendendolo mobile e variabile» (cfr. in tal senso Cass. civ., Sez. I, 30 gennaio 2019, n. 2658).

Con riferimento alla decorrenza del termine entro cui la parte non fallita deve procedere alla riassunzione del processo interrotto i Giudici rimettenti hanno rilevato l'esistenza di vari indirizzi interpretativi.Secondo l'orientamento - reiteratamente - affermato il termine per la riassunzione decorre dall'acquisizione della conoscenza legale non solo dell'evento interruttivo, ma anche del procedimento in cui tale evento ha prodotto i propri effetti (cfr. ex multis Cass. civ., Sez. III, 15 marzo 2018, n. 6398; Cass. civ., Sez. III, 30 novembre 2018, n. 31010).

Secondo altre pronunce, di segno diverso, la parte estranea all'evento interruttivo non ha la necessità di conoscere il processo del quale è parte, a differenza del curatore fallimentare, il quale può non essere a conoscenza dell'esistenza del singolo processo relativo al rapporto di diritto patrimoniale del fallito compreso nel fallimento (cfr. ex multis Cass. civ., Sez. II, 29 agosto 2018, n. 21325).

Esiste, altresì, un indirizzo interpretativo, il quale esclude l'esistenza di un onere di riassunzione in assenza della dichiarazione, da parte del Giudice, dell'interruzione del giudizio per l'intervenuto fallimento della parte (cfr. ex multis Cass. civ., Sez. VI, 1 marzo 2017, n. 5288; Cass. civ., Sez. VI, 27 febbraio 2018, n. 4519).

Le Sezioni Unite, dopo aver rilevato che l'articolo 43 della Legge fallimentare non individua il dies a quo di decorrenza del termine per la riassunzione, nonché richiamato ed esaminato gli orientamenti giurisprudenziali esistenti, hanno valorizzato - al precipuo fine della risoluzione del contrasto giurisprudenziale prospettato dalla Sezione rimettente - il «canone positivo» dell'articolo 143 del Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza (cfr. decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14), ai sensi del quale il termine per la riassunzione del processo interrotto a causa dell'apertura della liquidazione giudiziale «decorre da quando l'interruzione viene dichiarata dal giudice» (comma 3).

Come precisato nella Relazione illustrativa al Codice, l'individuazione del momento dal quale decorre il termine per la riassunzione è volta ad «assicurare il diritto di difesa delle parti», valore - quello del diritto di difesa - declinabile, secondo il Supremo Collegio, «nella necessaria conoscenza che le parti del processo debbono avere della causa d'interruzione, anche quando essa operi quale effetto automatico».

Conclusivamente, le Sezioni Unite - dopo aver individuato nell'indirizzo ermeneutico che «collega l'onere di riassunzione o prosecuzione del processo interrotto alla dichiarazione giudiziale d'interruzione per intervenuto fallimento della parte, le più congrue forme di produzione della conoscenza, in correlazione con gli istituti partecipativi di tale atto, esprimendo piena sintonia con la precisa scelta di certezza e garanzia per la difesa di tutte le parti del processo, attuali o potenziali» - hanno enunciato il seguente principio di diritto: «in caso di apertura del fallimento, ferma l'automatica interruzione del processo (con oggetto i rapporti di diritto patrimoniale) che ne deriva ai sensi dell'art. 43 co. 3 l.f., il termine per la relativa riassunzione o prosecuzione, per evitare gli effetti di estinzione di cui all'art. 305 c.p.c. e al di fuori delle ipotesi di improcedibilità ai sensi degli artt. 52 e 93 l.f. per le domande di credito, decorre da quando la dichiarazione giudiziale dell'interruzione stessa sia portata a conoscenza di ciascuna parte; tale dichiarazione, ove già conosciuta nei casi di pronuncia in udienza ai sensi dell'art. 176 co. 2 c.p.c., va direttamente notificata alle parti o al curatore da ogni altro interessato ovvero comunicata – ai predetti fini – anche dall'ufficio giudiziario, potendo inoltre il giudice pronunciarla altresì d'ufficio, allorché gli risulti, in qualunque modo, l'avvenuta dichiarazione di fallimento medesima».

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