Professionisti, anche gli appunti sul block notes possono provare la contabilità in nero
Per la Ctr Sicilia le annotazioni informali valgono come presunzioni gravi, precise e concordanti
Anche due block notes con annotazioni informali, appunti personali di acconti e saldi ricevuti dal professionista possono rappresentare un valido elemento indiziario a favore di una contabilità in nero e far scattare l’accertamento induttivo basato sulle difformità tra il fatturato attivo acquisito in verifica e la documentazione extracontabile rinvenuta in sede di accertamento. Ad approvare in pieno l’operato dell’agenzia delle Entrate è la Ctr Sicilia, con la sentenza 8867/5 dell’8 ottobre scorso.
Il fatto
Un avvocato aveva contestato la legittimità di un accertamento basato (anche) sull’acquisizione di due block-notes, costituenti documentazione extra contabile, contenenti, secondo i verificatori, l’indicazione dei compensi derivanti dall’attività professionale svolta. In pratica secondo i verificatori gli appunti altro non erano che una sorta di “contabilità in nero” tenuta in modo parallelo dal professionista. Contabilità dalla quale il Fisco aveva tratto l’indicazione di maggiori compensi per oltre 13mila rispetto a quelli dichiarati dal professionista. Quest’ultimo sosteneva che il mero rinvenimento degli appunti non bastasse a far scattare l’accertamento induttivo, trattandosi di «presunzioni prive di gravità, precisione e concordanza» come richiede la legge.
La decisione
Ma i giudici tributari siciliani sono stati di diverso avviso. La sentenza ricorda che per la stessa Cassazione la cosiddetta “contabilità in nero” costituita da «appunti personali rappresenta un valido elemento indiziario dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dall’articolo 39 del Dpr 600/1973». E che questo comporta per il contribuente «l’onere di fornire la prova contraria (Cassazione 12680/18; Cassazione 21138/18) allegando documentazione contabile a sostegno di essa (Cassazione 2947/18)». Dalla documentazione extracontabile, peraltro, sono emersi oltre 13mila euro di incassi non fatturati che, nel caso di specie, hanno consentito al professionista di rimanere «indebitamente» nel regime dei minimi.
I giudici quindi hanno ritenuto legittimo l’accertamento basato sulla “contabilità in nero”, «con inversione dell’onere della prova a carico del contribuente limitatosi, invece, a generiche affermazioni assolutamente inidonee ad escludere la pertinenza delle riscontrate operazioni all’attività professionale».