Civile

Redditi, scelte e tutele: così i giudici ridefiniscono l’assegno di divorzio

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di Selene Pascasi

I giudici si allineano e precisano i criteri per decidere sull’assegno divorzile stabiliti dalla Cassazione a Sezioni unite dello scorso luglio (18287/2018). Questo, a due anni di distanza dalla sentenza Grilli (Cassazione 11504/2017), che ha archiviato il parametro del tenore di vita, negando il mensile agli ex partner autosufficienti o in grado di diventarlo. In Parlamento, intanto, prosegue il suo cammino la proposta di legge tesa a riformare l’assegno divorzile (atto Camera 506): la commissione Giustizia della Camera ha concluso l’esame degli emendamenti e ora il testo attende il parere delle altre commissioni competenti.

Sentenza spartiacque
Una decisione spartiacque, quella della Cassazione a Sezioni unite, che compone il contrasto tra i giudici rimasti fedeli al criterio del tenore di vita (Tribunale di Udine, 1 giugno 2017) e quelli che avevano seguito i principi affermati dalla sentenza Grilli (Cassazione 15481/2017): per le Sezioni unite l’assegno ha funzione assistenziale e insieme compensativo-perequativa. La sua finalità non è di garantire al divorziato (più o meno abbiente) di conservare lo stile di vita matrimoniale ma di valorizzare il contributo della parte fragile alla formazione del patrimonio familiare e personale dei consorti. Un criterio «composito» che le recenti pronunce stanno precisando.

A porre l’accento sulla natura mista dell’assegno è l’ordinanza 5975/2019 con cui la Cassazione sollecita l’opportunità di consentire al richiedente di raggiungere un livello di reddito adeguato alla collaborazione prestata durante la convivenza. Analisi da condurre alla stregua della durata del matrimonio, delle potenzialità reddituali, dell’età dell’avente diritto all’assegno e delle aspettative professionali ed economiche sacrificate (Tribunale di Roma, 21853/2018). Del resto, le decisioni prese dalla coppia nel corso della vita comune incidono sulla quantificazione dell’assegno, perché non si annullano con la fine del matrimonio ma continuano a influenzare la situazione personale, reddituale e patrimoniale di ciascun consorte (Tribunale di Roma, 2906/2019).

La riabilitazione del tenore di vita
La Cassazione, poi, con l’ordinanza 4523/2019 aggiunge un importante tassello. La natura perequativo-compensativa dell’assegno divorzile, si sottolinea, è imposta da un’interpretazione dell’articolo 5, comma 6, della legge 898/1970 più coerente con i precetti della Carta costituzionale (articoli 2, 3 e 29) che inquadrano la solidarietà coniugale come unico metro per riconoscere la spettanza del mensile. Nel sostenerlo e stabilire, nel caso concreto, il diritto della coniuge a incassare il contributo, si “riabilita” in via eccezionale il criterio del tenore di vita: la signora, quasi sessantenne e con remote possibilità di inserirsi nel mondo del lavoro, era priva di reddito e «ancor meno» di entrate adeguate al pregresso tenore di vita. Una lettura che lega il contenuto perequativo-compensativo dell’assegno al principio costituzionale di solidarietà.

Secondo l’impostazione disegnata dalle Sezioni unite, in sostanza, il giudice, partendo dalla comparazione delle condizioni economico-patrimoniali dei coniugi, deve considerare non tanto l’astratta autonomia economica del richiedente ma la disponibilità di un reddito concreto e adeguato alla contribuzione casalinga in nome della quale, spesso, si sacrificano le aspettative professionali. L’assegno, pertanto, spetta se lo squilibrio economico patrimoniale è da ricondurre alle scelte comuni e ai ruoli rivestiti da ognuno nella vita familiare.

Il criterio del tenore di vita va invece usato nel determinare l’assegno per i figli che, nonostante la fine del matrimonio, non perdono il diritto a conservare le loro abitudini; né viene meno l’obbligo dei genitori di mantenerli, istruirli ed educarli e garantire loro una stabile organizzazione domestica (Tribunale di Rieti, 486/2018).

Le indicazioni della giurisprudenza

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