Responsabilità sanitaria, nessuno diritto al risarcimento per il nato “non sano”
La Cassazione, ordinanza n. 3502 depositata oggi, ribadisce l’orientamento di legittimità per cui l’alternativa di non nascere è inconfigurabile come diritto in sé
La Cassazione, ordinanza n. 3502 depositata oggi, torna sulla questione dell’esistenza di un “diritto a non nascere se non sani”, per escluderlo sulla base di precedenti pronunce, prima fra tutte quella n. 25767 del 2015 a Sezioni unite. Secondo questa decisione va esclusa, in via generale, la possibilità di riconoscere un pregiudizio biologico e relazionale in capo al figlio, essendo per lui l’alternativa quella di non nascere, inconfigurabile come diritto in sé, neppure sotto il profilo dell’interesse ad avere un ambiente familiare preparato ad accoglierlo.
Il giudizio, originariamente portato avanti dai genitori per conto del figlio, all’epoca minorenne, era diretto contro una Azienda Sanitaria Locale, il medico ed i suoi eredi, oltrechè contro una Compagnia di assicurazione, evocata in giudizio con funzioni di manleva. Il ricorrente chiedeva il risarcimento dei danni per l’inadeguata e negligente prestazione professionale del medico, il quale, non avvedendosi delle gravi malformazioni congenite che il nascituro presentava, non consentì alla madre, qualora fosse stata opportunamente informata, di valutare se procedere o meno, alla interruzione della gravidanza, in tal modo cagionando al nato il danno per la sua nascita indesiderata e del diritto a nascere sano.
In primo grado, il Tribunale di Brindisi, pur riconoscendo la censurabilità dell’operato del sanitario e la sua responsabilità nei confronti dei genitori del nato, del resto già affermata in un altro separato giudizio presso lo stesso Tribunale, rigettava la domanda ravvisando un difetto di legittimazione dell’attore ad agire, non potendosi configurare in capo al figlio un danno da nascita indesiderata. Proposto ricorso, la Corte di Appello di Lecce ha confermato integralmente la decisione.
Contro questa sentenza è scattato il ricorso in Cassazione, in cui si lamenta il fatto che il diritto al risarcimento per il danno da mancato rilievo delle gravi malformazioni sia stato riconosciuto soltanto nei confronti dei genitori. Aggiungendo l’ulteriore questione del diritto del nascituro a godere della propria vita senza pregiudizevoli limitazioni. Per poi chiedere un ristoro “in considerazione delle precarie condizioni di vita che è costretto a vivere e tanto, non solo in riferimento alla situazione lavorativa, ma anche in riferimento al normale andamento dei rapporti familiari e sociali”.
Per la Terza sezione civile, tuttavia, il ricorso è inammissibile. La questione, infatti, è stata già affrontata e risolta dalla giurisprudenza di legittimità nel senso che “il nato disabile non può agire per il risarcimento del danno consistente nella sua stessa condizione, giacché l’ordinamento non conosce il “diritto a non nascere se non sano”, né la vita del nato può integrare un danno-conseguenza dell’illecito del medico” (Cass., Sez. 3, n. 26426 del 2020).
Tale orientamento è stato ribadito dalla Suprema corte affermando che “non ne è invero in radice data la stessa configurabilità in quanto «la ragione di danno da valutare sotto il profilo dell’inserimento del nato in un ambiente familiare nella migliore delle ipotesi non preparato ad accoglierlo» rivela sostanzialmente quale mero «mimetismo verbale del c.d. diritto a non nascere se non sani», andando pertanto «incontro alla … obiezione dell’incomparabilità della sofferenza, anche da mancanza di amore familiare, con l’unica alternativa ipotizzabile, rappresentata dall’interruzione della gravidanza» non essendo d’altro canto possibile stabilire un «nesso causale» tra la condotta colposa del medico e le «sofferenze psicofisiche cui il figlio è destinato nel corso della sua vita”. Precisando «che il danno del nato disabile risulta nella specie dai genitori invero prospettato come conseguenza del danno da essi asseritamente subito, laddove, stante la suindicata ravvisata relativa insussistenza, a fortiori difetta lo stesso presupposto per la configurabilità di un pregiudizio che si assume esserne conseguentemente derivato in capo al nato» (così testualmente Cass. n. 9251/2017).
Tornando alla decisione delle S.U. n. 25767/2015, nella motivazione si leggeva che l’affermazione di una responsabilità del medico verso il nato aprirebbe, per coerenza, la strada ad un’analoga responsabilità della stessa madre, che nelle circostanze contemplate dalla legge n. 194 del 1978, articolo 6, benchè correttamente informata, abbia portato a termine la gravidanza. Inoltre, finirebbe con l’assegnare al risarcimento del danno “un’impropria funzione vicariale, suppletiva di misure di previdenza e assistenza sociale: in particolare, equiparando quoad effectum l’errore medico che non abbia evitato la nascita indesiderata, a causa di gravi malformazioni del feto, all’errore medico che tale malformazione abbia direttamente cagionato”. Infine, la Cassazione metteva in guardia contro la “reificazione dell’uomo”, la cui vita verrebbe ad essere apprezzabile “in ragione dell’integrità psico-fisica”, integrando una “deriva eugenica”.