Casi pratici

Reverse charge e frodi carosello: profili applicativi

Il reverse charge: presupposti applicativi e meccanismi operativi

di Giancarlo Marzo e Irene Barbieri

LA QUESTIONE

In cosa consiste il reverse charge e come incide nel caso di contestazioni per operazioni inesistenti?


Quando parliamo del metodo di inversione contabile Iva, o più comunemente reverse charge (detto anche "tax shift" o "self-asses sment") facciamo riferimento ad un particolare meccanismo di applicazione dell'Iva in base al quale l'imposta sul valore aggiunto viene addossata direttamente in capo al cessionario del bene o committente del servizio, in deroga alle normali regole di contribuzione. In altre parole, in caso di inversione contabile, il soggetto tenuto al pagamento dell'Iva non sarà il fornitore, come ordinariamente previsto dall'art. 17, comma 1, D.P.R. n. 633/1972 (cd. Decreto Iva) e dalla Direttiva 2006/112/CE (cd. Direttiva Iva), bensì il destinatario della fornitura che sia soggetto passivo Iva nel territorio dello Stato.
Due sono le condizioni affinché il meccanismo in parola funzioni:
- entrambe le parti dell'operazione devono essere soggetti passivi Iva;
- il cessionario deve risiedere nel territorio dello Stato.
A seconda della natura dell'operazione posta in essere, è possibile preliminarmente distinguere due diverse tipologie di reverse charge:
- il reverse charge esterno, che trova spazio rispetto alle operazioni di acquisto che travalicano i confini nazionali, involgendo operatori stabiliti in altri Paesi UE (cd. operazioni intracomunitarie),
- il reverse charge cd. interno, in caso di operazioni poste in essere tra soggetti passivi d'imposta residenti o stabiliti in Italia ma in particolari settori di riferimento, ritenuti potenzialmente dotati di più elevati margini di evasione. Pensiamo ad esempio alle cessioni aventi ad oggetto rottami, bancali in legno oppure oro da investimento.
Com'è facilmente intuibile, l'applicazione del reverse charge implica diverse peculiarità rispetto alla rappresentazione documentale e alla registrazione contabile dell'operazione.
Sotto il profilo squisitamente operativo, infatti, il meccanismo dell'inversione contabile potrebbe comportare in capo al cessionario l'onere di autofattura o, alternativamente, quello di integrazione della fattura ricevuta.
Precisamente, nel primo caso, l'acquirente dovrà emettere un documento apposito, la cd. autofattura in luogo del cedente. Nella seconda ipotesi, invece, il cedente del bene o il prestatore del servizio darà evidenza cartolare dell'operazione previa emissione di un documento senza addebito di Iva, in quanto operazione soggetta appunto a reverse charge, che dovrà poi essere integrata dal cessionario/committente previa indicazione dell'aliquota Iva pertinente.
Tanto l'autofattura quanto la fattura passiva debitamente integrata dovranno essere annotate dall'acquirente sia nel registro delle fatture emesse o in quello dei corrispettivi di cui rispettivamente agli artt. 23 e 24 del D.P.R. n. 633/1972, sia nel registro degli acquisti di cui all'art. 25 del citato Decreto Iva, così da riequilibrare il sistema in coerenza con i principi di neutralità. La suddetta doppia registrazione (Iva acquisti e Iva vendite) consentirà di rendere completamente neutra l'operazione sotto il profilo contabile senza che vi sia effettivo esborso di imposta da parte del cessionario o committente. Si realizza per tale via uno snellimento del processo di riscossione, dal momento che il cessionario/committente potrà far valere immediatamente il proprio diritto di credito, attraverso la compensazione fra il debito Iva maturato e il credito sorto. Così operando, l'effetto pratico dell'acquisto, sotto il profilo dell'Iva, diventerà appunto neutro per l'acquirente (Iva a debito e Iva in detrazione si compensano, annullandosi). L'imposta viene applicata solo quando, a sua volta, tale ultimo soggetto provvederà a rivendere il bene in ambito nazionale, emettendo fattura e "aggiungendo" l'Iva. Soltanto in quel momento verrà ad esistenza il reale ed effettivo debito d'imposta, consistente nell'obbligo di versare all'Erario l'importo pari all'Iva pagatagli dal cliente.


La ratio del reverse charge: il contrasto alle frodi Iva
Il meccanismo dell'inversione contabile è stato studiato con il precipuo scopo di neutralizzare potenziali frodi Iva, essendo idoneo ad evitare un incontrollato e abusivo esercizio del diritto di detrazione. Parliamo, in particolare, delle cd. "frodi carosello" nelle quali, grazie all'esenzione vigente per le cessioni intracomunitarie, i beni o i servizi originariamente acquisiti senza Iva, vengono poi rivenduti con applicazione di un'imposta che, pur essendo portata in detrazione o chiesta a rimborso vista la regolarità cartolare delle transazioni, non viene di fatto mai versata all'Erario. Il tutto tramite una serie di operazioni simulate dal punto di vista documentale e, dunque, inesistenti sotto il profilo soggettivo e/o oggettivo, con interposizione di società cd. cartiere, amministrate da soggetti nullatenenti, inadempienti quanto agli obblighi fiscali, prive di struttura, mezzi e personale necessario, e normalmente dedite all'effettuazione, in un arco temporale ristretto, di acquisti intra UE di importo consistente.
A questo proposito, i dati registrati dalla Commissione europea parlano chiaro: soltanto nel 2016, in Italia l'Iva evasa è stata di 35,9 miliardi di euro, mentre tra il 2009 e il 2016 oltre 1.260 miliardi di euro destinati ai 28 paesi dell'Unione europea sotto forma di Imposta sul valore aggiunto sono praticamente scomparsi. Numeri da capogiro, insomma, che tecnicamente costituiscono il cd. "Vat Gap", ossia la differenza tra l'Iva che doveva essere versata e quella che è stata effettivamente percepita dalle autorità fiscali. Già da tempo, dunque, considerando la natura di tributo armonizzato dell'Iva (sottoposto al diritto dell'Unione Europea in quanto parzialmente destinato alle casse sovranazionali) priorità dell'UE sembra essere proprio l'attività di contrasto alle frodi Iva. E ciò non soltanto in un'ottica di tutela dell'equilibrio complessivo del sistema di risorse unionale e, quindi, di salvaguardia dell'interesse erariale, ma anche al fine di assicurare il corretto funzionamento del mercato interno. Non a caso, proprio il mancato pagamento dell'Iva titpico delle transazioni inquadrate nell'ambito delle frodi consente agli operatori coinvolti di praticare prezzi più vantaggiosi rispetto ai competitors, con evidenti distorsioni concorrenziali a vantaggio dei players meno trasparenti, specie in settori merceologici particolarmente a rischio (come i beni informatici).
Alla luce, quindi, della dilagante portata di fenomeni frodatori relativamente all'imposta sul valore aggiunto nonché dell'incapacità dei singoli Stati di accordarsi all'unanimità sul da farsi in ambito fiscale, negli ultimi anni da più parti è stata avanzata l'idea di ampliare le maglie applicative del meccanismo di reverse charge. Con il metodo dell'inversione contabile, infatti, risulta scongiurato ab origine ogni rischio fiscale Iva in quanto sia il debito sia il credito Iva, emergenti dall'operazione, sorgono direttamente in capo al destinatario. Per tale via, l'operazione si rivela una mera partita di giro, senza possibilità di alcuna detrazione o di alcun rimborso, con conseguente effetto preventivo di frodi Iva.


Il quadro normativo
Sul piano comunitario
Com'è ovvio, le norme di riferimento del reverse charge si rinvengono anzitutto sul piano sovranazionale. Visto che il metodo di inversione contabile rappresenta un meccanismo derogatorio rispetto ai generali criteri impositivi dell'Iva, il Legislatore europeo ha avuto cura di individuare in maniera tassativa le operazioni ad esso assoggettabili con l'art. 199 della Direttiva 2006/112/CE (ad esempio le cessioni di materiali di recupero e di scarto o le cessione di beni immobili in una vendita giudiziale al pubblico incanto da parte di un debitore giudiziario), elenco poi ampliato con l'art. 199-bis. Tuttavia, la dead line del 31 dicembre 2018 e il periodo minimo di due anni previsto dallo stesso art. 199-bis per l'applicazione del regime di reverse charge si sono presto rivelati ostacoli insormontabili per alcuni Stati membri che, pur desiderosi di introdurre il meccanismo dell'inversione contabile, non soddisfacevano tale condizione. Pertanto, con la Direttiva 2018/1695/UE è stato soppresso il periodo minimo di due anni sancito dall'art. 199-bis, mentre la scadenza del 31 dicembre 2018 è stata sostituita con quella del 30 giugno 2022, data in cui, entrando in vigore il regime della tassazione nel Paese di destinazione per gli scambi intra UE, il reverse charge in senso anti-frode non avrà più ragion d'essere. Parimenti fino al 30 giugno 2022 rimarrà applicabile il cd. meccanismo di reazione rapida (QRM, ossia "Quick Reaction Mechanism") introdotto con la Direttiva 2013/42/UE all'art. 199-ter della Direttiva Iva allo scopo di combattere la frode improvvisa e massiccia in relazione ad operazioni non comprese nella direttiva 2006/112/Ce. Il tutto tramite un reverse charge adottato su base d'urgenza, vale a dire con procedure semplificate rispetto a quella prevista in via generale dall'art. 395 per l'introduzione di deroghe.
La scelta dell'Europa rimane, dunque, quella di applicare in maniera chirurgica il metodo dell'inversione contabile, così da utilizzarlo rispetto ai settori più esposti al rischio di evasione e scongiurare un'elefantiasi degli oneri amministrativi che deriverebbero alle imprese da una sua applicazione generalizzata. Ciònonostante, in ultimo con la Direttiva 2018/2057/UE è tornata alla ribalta l'idea di un suo impiego a regime grazie al nuovo art. 199-quater, inserito proprio nella Direttiva Iva. La disposizione in parola, infatti, consente agli Stati Membri, fino al 30 giugno 2022 e in presenza di determinate condizioni, di presentare alla Commissione europea un'apposita istanza affinché il Consiglio autorizzi l'applicazione, nel proprio territorio, di un meccanismo generalizzato di inversione contabile per tutte le cessioni di beni o prestazioni di servizi non transfrontaliere con valore superiore a 17.500 euro per operazione. Perché però la domanda abbia esito positivo, gli Stati membri devono soddisfare determinati criteri per quanto riguarda il loro livello di frodi, in particolare in relazione alla frode carosello, e devono dimostrare l'insufficienza di altre misure di controllo nel contrasto a tale tipo di frode. Inoltre, sono tenuti a provare che gli introiti stimati della riscossione e del rispetto dell'obbligo tributario, previsti a seguito dell'introduzione del reverse charge, superano gli oneri aggiuntivi globali stimati per le imprese e le autorità fiscali e che le une e le altre non devono sostenere costi maggiori di quelli dovuti a seguito dell'applicazione di altre misure di controllo.
Allo scopo di verificare il funzionamento del meccanismo e l'impatto su eventuali spostamenti delle frodi in altri Stati membri, lo Stato richiedente dovrà effettuare un costante monitoraggio dei risultati e del livello di frode, oltre che imporre ai propri soggetti Iva obblighi specifici di comunicazione elettronica e attivare lo scambio di informazioni con gli altri Stati membri che applicano il meccanismo generalizzato di inversione contabile.
Laddove, all'esito della suddetta attività di controllo, dovesse rilevarsi un impatto negativo sul mercato interno dovuto allo spostamento della frode in Stati membri che non applicano il reverse charge generalizzato, rimane facoltà del Consiglio di abrogare tutte le decisioni di esecuzione che ne autorizzano l'applicazione.

Sul piano nazionale
Nel nostro ordinamento l'introduzione del reverse charge risale alla Legge n. 7/2000 che, in attuazione della Direttiva 98/80/Ce concernente il particolare regime Iva applicabile all'oro, ha modificato il D.P.R. n. 633/1972. Nello specifico, con i commi 5 e 6 dell'art. 17 del citato Decreto Iva, il metodo dell'inversione contabile è stato introdotto con riferimento alle cessioni imponibili di oro da investimento nonché alle cessioni di materiale d'oro e di quelle di prodotti semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi. Invero, in simili ipotesi, più che per prevenire eventuali frodi Iva, il reverse charge è stato utilizzato per alleggerire gli operatori del settore dall'onere finanziario dovuto al pagamento dell'imposta per rivalsa al fornitore o in dogana su importi abbastanza consistenti. L'intento di contrastare possibili meccanismi frodatori è comunque tornato in auge con l'art. 35 del D.L. n. 269/2003, che ha novellato il regime Iva per le cessioni di rottami ferrosi, e ha modificato l'art. 74, comma 8, D.P.R. n. 633/1972. É quanto si evince dalla pertinente relazione parlamentate illustrativa: «La cennata facoltà di optare per il regime ordinario ha determinato nel tempo situazioni dannose per l'Erario. A seguito del diffondersi del fenomeno evasivo, su suggerimento anche dell'Esecutivo comunitario, in sede di rinnovo di autorizzazione alla deroga, viene adottato un regime di tassazione diverso, modulato sul meccanismo del reverse charge. Tale meccanismo individua il debitore d'imposta nel cessionario e prevede l'obbligo di fatturazione generalizzato da parte del cedente senza addebito d'imposta e conseguente obbligo del cessionario di integrare la fattura stessa con l'ammontare dell'imposta».
Allo stato, quindi, in ambito nazionale il reverse charge risulta a regime per le seguenti operazioni:
-cessioni di oro;
-cessioni di rottami e altri materiali;
-prestazioni di servizi di subappalto di opere edili;
-servizi di pulizia, di demolizione, di installazione di impianti e di completamento relativi ad edifici;
-cessioni di fabbricati;
-cessioni di bancali in legno (pallet) recuperati ai cicli di utilizzo successivi al primo;
-operazioni verso i c.d. agricoltori esonerati;
Rimane invece applicabile fino al 30 giugno 2022 per le cessione di computer e cellulari e per i trasferimenti nel settore energetico.
Completa il quadro normativo delineato la Circolare n. 16/E dell'11 maggio 2017 con cui l'Amministrazione finanziaria ha fornito chiarimenti in ordine alla riforma della disciplina sanzionatoria del sistema dell'inversione contabile di cui all'art. 6, comma 9-bis del D. Lgs. n. 471/1997.
Il reverse charge e le contestazioni per operazioni inesistenti: spunti difensivi.
Ed è proprio la Circolare n. 16/E succitata a confermare gli importanti spunti difensivi introdotti dal Legislatore del 2015 e utilizzabili in caso di contestazioni per operazioni inesistenti assolte con il meccanismo dell'inversione contabile.
Non di rado, infatti, accade che all'acquirente di beni o committente di servizi ottenuti tramite transazioni realizzate in regime di reverse charge venga contestata dall'Agenzia delle Entrate l'inesistenza soggettiva della relativa cessione, inquadrata nell'ambito di una complessiva frode Iva. Ebbene, in tali casi, come specifica il documento di prassi in esame, sotto il profilo sanzionatorio sarà possibile invocare specifiche regole attinenti sia alla sanzione applicabile che ai criteri di recupero dell'imposta in sede di accertamento. Ciò tramite il comma 9-bis.3 dell'art. 6 D. Lgs. n. 471/97 come novellato dal D. Lgs. n. 158 del 2015, in concomitanza con una revisione dell'art. 21, comma 7 D.P.R. n. 633/1972. La suddetta norma, nel testo vigente ante modifica, stabiliva che nelle ipotesi di emissione di fattura "per operazioni inesistenti", ovvero di indicazione in fattura di corrispettivi o di imposta in misura superiore a quella reale, l'imposta fosse dovuta dal "debitore" per "l'intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura". La regola trovava applicazione nei confronti di "chiunque", senza distinzione tra operazioni contabilizzate secondo le regole ordinarie e quelle per cui l'imposta era dovuta mediante il meccanismo dell'inversione contabile.
Proprio con il D. Lgs. n. 158/2015, il Legislatore ha modificato l'intero impianto sanzionatorio amministrativo delle operazioni inesistenti nell'ambito dell'inversione contabile. Da un lato è intervenuto sull'art. 21, comma 7 cit., circoscrivendone la portata al solo regime ordinario (mediante la sostituzione del riferimento soggettivo, che ora non è più a "chiunque" ma al "cedente o prestatore"). Dall'altro, con il comma 9-bis.3 dell'art. 6, D. Lgs. n. 471/1997, ha stabilito che, in sede di accertamento, venga espunto sia il debito che il credito computato nelle liquidazioni dell'imposta (eliminando così gli effetti dell'operazione contabilizzata), come già previsto per le operazioni esenti, non imponibili e non soggette cui è stato erroneamente applicato il sistema dell'inversione contabile. Inoltre, la stessa disposizione ha previsto una specifica sanzione nel caso di operazioni inesistenti, di misura compresa tra il 5 e il 10 per cento dell'imponibile, con un minimo di 1.000 euro.
Peraltro, si tratta di disposizioni applicabili, nel rispetto del principio del favor rei, anche alle violazioni commesse prima del 1° gennaio 2016, i cui atti di recupero non siano ancora definitivi.


Considerazioni conclusive
Soprattutto alla luce delle indicazioni fornite dalla stessa Amministrazione finanziaria, rimangono importanti margini difensivi in caso di contestazioni per operazioni inesistenti. Il nuovo impianto sanzionatorio amministrativo delle operazioni inesistenti nell'ambito dell'inversione contabile, infatti, consente di ottenere quanto meno una revisione della pretesa avanzata dal Fisco in tutte le ipotesi in cui, nonostante la chiarezza del dettato normativo, gli stessi Uffici si discostino dalle disposizioni legislative effettuando, ai fini Iva e sotto il profilo sanzionatorio, recuperi infondati o comunque in misura superiore a quanto dovuto.

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