Civile

Revocata la donazione se l'adulterio è consumato in un contesto familiare e lavorativo

La decisione in commento si inserisce nel solco di una serie più ampia di pronunce sulla revoca della donazione, facendo propria la definizione di ingiuria grave elaborata dalla dottrina e costantemente riproposta dalla Suprema corte

di Valeria Cianciolo


Non basta a integrare l'ingiuria grave la mera relazione extraconiugale, ma occorre la circostanza che l'adulterio maturi all'interno del nucleo familiare ristretto dei due coniugi e il fatto che si sia sviluppato nella cornice di un comune ambiente lavorativo per connotare in termini di gravità l'offesa all'onore patita dalla donante e a evidenziare, nel donatario, un atteggiamento di noncuranza e di assenza di rispetto nei confronti della dignità della moglie.
(articolo 801 del codice civile). La decisione in commento (Cass. Civ., Sez. III, ord., 20 giugno 2022, n. 19816) si inserisce nel solco di una serie più ampia di pronunce che, negli anni, le Corti di merito e quella di legittimità hanno offerto in materia di revoca della donazione, facendo propria la definizione di ingiuria grave elaborata dalla dottrina e costantemente riproposta dalla Suprema Corte: «L'ingiuria grave, che l'art. 801 cod. civ. prevede quale motivo di revocazione della donazione, consiste in un comportamento con il quale si rechi all'onore ed al decoro del donante un'offesa suscettibile di ledere gravemente il patrimonio morale della persona, si da rilevare un sentimento di avversione che manifesti tale ingratitudine verso colui che ha beneficato l'agente, che ripugna alla coscienza comune».

Donazioni per ingratitudine
Quello delle donazioni per ingratitudine – rectius, per ingiuria grave – del donatario contro il donante è, in verità, un concetto giuridico «aperto» che l'applicazione giurisprudenziale, non sempre secondo linee di pensiero parallele, ha contribuito a definire concretamente in aderenza all'evoluzione sociale. E la sentenza in esame ne è una prova avendo dato risalto al tradimento per le sue modalità esplicative.

I precedenti
In giurisprudenza, per un caso analogo a quello in esame, bisogna andare indietro nel tempo: in una sentenza della S.C. (Cass. Civ., 28 maggio 2008, n. 14093, in Giust. civ., 2008, 2116) si è affermato che le donazioni indirette immobiliari, disposte a favore della moglie, sono state revocate non già a causa della relazione intessuta dalla donataria con un ventitreenne, protrattasi clandestinamente per vari anni e sfociata nell'abbandono della famiglia per convivere con il nuovo compagno, ma per l'atteggiamento complessivamente adottato, menzognero e irriguardoso verso il marito, all'insaputa del quale la ricorrente si univa con l'amante nell'abitazione coniugale.
In una sentenza di merito (Tribunale Lodi 24 giugno 2008, in Banche dati giuridiche Pluris), l'ingiuria grave e continuata verso il donante è stata ravvisata nella divulgazione, nell'ambiente lavorativo, della relazione adulterina, intrattenuta dalla moglie donataria e fatta oggetto di pettegolezzo divertito, e di scherno per il marito, deriso e compatito per il tradimento subito. (V., inoltre, Tribunale Torino 20 marzo 2015, in Imm. e propr., 2015, 535, con annotazioni di A. Re - L. Tagliolini, ove è stato ritenuto che la moglie convenuta in revocazione avesse condotto una relazione extraconiugale con un soggetto, il quale, sentito come teste, tra l'altro, non aveva smentito tale legame, con modalità che avevano consentito la diffusione della notizia presso conoscenti, vicini di casa e colleghi di lavoro; la convenuta aveva manifestato, peraltro, nel corso delle operazioni peritali del giudizio di separazione, un esplicito disprezzo e disistima per il marito).
Pare risentire di una considerazione sociale dell'infedeltà coniugale in linea con un'epoca ormai passata, la sentenza pronunciata dalla Cass. Civ., 25 febbraio 1987, n. 2003, la quale conclude nel senso che la moglie donataria "non poteva ignorare il fatto che, in un ambiente chiuso e pettegolo quale quello in cui essa viveva, l'abbandono clamoroso del marito e dei figli e la fuga con un amante avrebbe avuto una grande risonanza, giungendo anche a compromettere la reputazione del marito.

La revoca della donazione
Il presupposto necessario per la revocabilità di una donazione per ingratitudine, pur mutuando dal diritto penale la sua natura di offesa all'onore e al decoro della persona, deve essere caratterizzato dalla manifestazione, nel comportamento del donatario, di un durevole sentimento di disistima delle qualità morali e di irrispettosità della dignità del donante contrastanti con il senso di riconoscenza che, secondo la coscienza comune, dovrebbe, invece, improntarne l'atteggiamento. Tale elemento obiettivo in sostanza, non può essere desunto da singoli accadimenti che, anche quando sicuramente censurabili per il contesto nel quale si sono verificati e, più in generale, in quanto manifestazione di una situazione oggettiva di aspri contrasti esistenti tra le parti, non possono essere ricondotti a espressione di quella profonda e radicata avversione verso il donante che costituisce il fondamento di tale revocazione.

La revocazione della donazione per ingratitudine, disciplinata dall'art. 801 cod. civ., è la risposta a un comportamento del donatario verso il donante, riprovevole dal punto di vista etico. Per il suo tramite, il legislatore consente di tradurre sul piano giuridico quel pentimento che l'ingratitudine provoca nell'animo del donante. (Torrente, La donazione, in Tratt. Cicu e Messineo, continuato da Mengoni, Milano, 2006, 677, 2a ed. aggiornata da Carnevali ed Mora). Si tratta in sostanza, di un rimedio negoziale potestativo, per il caso di sopravvenienza di un'incrinatura nella causa liberale (Rimedio applicabile anche con riguardo alle donazioni indirette immobiliari, disposte a favore del coniuge: cfr. Cass. 25 febbraio 1987, n. 2003, in Giur. it., 1989, I, 1771; Cass. 7 dicembre 1989, n. 5410, in Dir. fam., 1990, 428; Cass. 3 giugno 1993, n. 6208, in Banche dati giuridiche Pluris; Tribunale Lodi 24 giugno 2008, cit.).
Questa, almeno, è l'opinione preferibile, la quale mostra così di accostare la relativa azione, per certi versi, alla risoluzione per inadempimento. (Cfr. F. Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, IX ed., rist., Napoli, 1997, 263).

Non qualsiasi atto di irriconoscenza del donatario può determinare la domanda di revocazione per ingratitudine in base all'art. 801 cod. civ., ma soltanto quelli, tassativamente individuati dalla norma, soluzione questa coerente con la necessità di realizzare la fondamentale esigenza di certezza delle relazioni giuridiche (Palazzo, Le donazioni, in Comm. Schlesinger, Milano, 1991, 501) sono soltanto sei, infatti, le fattispecie che acquistano rilevanza giuridica e giustificano l'azione del donante finalizzata a porre nel nulla la precedente liberalità.

L'ingratitudine si identifica, innanzitutto, nelle ipotesi elencate dal legislatore ai nn. 1, 2, 3 dell'art. 463 cod. civ., con riferimento ai casi di indegnità a succedere, che riguardano l'omicidio, tentato o consumato, volontariamente commesso da parte del donatario in danno del donante o del suo coniuge, ascendente o discendente; ancora, la calunnia da parte del donatario, purché la denunzia concerna un reato punibile con l'ergastolo o con la reclusione per un tempo non inferiore nel minimo ai tre anni, verso i soggetti sopraindicati; la falsa testimonianza resa dal donatario in un giudizio penale, nel quale fosse imputata, per il reato di cui ai nn. 1 e 2 dell'art. 463 cod. civ., una delle persone suindicate.


L'ingiuria grave
Ulteriore caso di revocazione è l'ingiuria grave del donatario verso il donante. Particolare rilievo riveste l'ipotesi dell'ingiuria grave, perpetrata dal donatario nei confronti del donante nella quale, differentemente dalle ipotesi di cui all'art. 463, nn. 1, 2 e 3 cod. civ., ha rilevanza il comportamento in danno soltanto del donante e non anche nei confronti dei suoi congiunti più stretti, ciò in considerazione della minore gravità del fatto. (cfr. Palazzo, op. cit., 502; Torrente, op. cit., 472).
La nozione di ingiuria grave è concetto giuridico aperto, una di quelle definizioni prive di confini predeterminati che l'ordinamento utilizza per assimilare la valutazione giuridica a quella sociale, lasciando un ampio margine di discrezionalità alle Corti nella loro determinazione.

Quando sussiste l'ingiuria grave? L'ampiezza dello spatium deliberandi affidato alla applicazione giurisprudenziale ha determinato negli anni non poche oscillazioni interpretative e forzature esegetiche.
Per dottrina e giurisprudenza consolidate, a tal fine, non sono di aiuto le norme penalistiche dettate in tema di ingiuria (art. 594 c.p.) e di diffamazione (art. 595 c.p.), fattispecie di reato che, comunque, possono senz'altro servire all'interprete come orientamento: il concetto di ingiuria grave è svincolato, ai fini civilistici, da quello penalistico, sia sotto il profilo sostanziale, sia sotto quello processuale, non occorrendo un preventivo accertamento dei fatti in giudizio penale (Cass. 28 agosto 1997, n. 8165, in Giur. it., 1998, 2059. In dottrina, v., specialmente, A. Torrente, La donazione, cit., 683 s., il quale sottolinea, soprattutto, la non necessità della presentazione della querela per il delitto di ingiuria, ai fini dell'esercizio della revocazione della donazione) e dunque, se l'eventuale proscioglimento del donatario in sede penale preclude, verosimilmente, l'azione di revocazione, l'eventuale condanna non comporta, necessariamente, la sussistenza dei presupposti per la revocazione.

Centrale, al fine di giustificare la revocabilità della donazione per ingiuria, risulta essere l'indagine, affidata insindacabilmente al giudice di merito, circa l'entità dell'offesa arrecata all'onore ed al decoro del donante: soltanto quando si manifesta con particolare gravità, infatti, giustifica la potenziale inefficacia dell'atto liberale.
In tal senso, la Cassazione ha più volte sottolineato come la gravità dell'ingiuria non vada stimata soltanto dal punto di vista dell'entità del fatto, ma principalmente come manifestazione di un particolare sentimento di avversione del donatario nei confronti di chi lo ha beneficiato che esprima quella ingratitudine che ripugna alla coscienza comune.

In una sentenza di qualche anno fa (Tribunale di Torino, 20 marzo 2015, n. 2178) il giudice di merito ha individuato gli elementi sintomatici dell'ingratitudine della moglie nella relazione adulterina, tradottasi in abbandono del marito nonostante lo stato di bisogno in cui versava quest'ultimo. La Corte territoriale ha ravvisato nel complessivo comportamento della donataria «quella mancanza di solidarietà e riconoscenza, quel malanimo che ha ritenuto, dunque, motivatamente, assurgere ad ingiuria grave».

Conclusioni
È evidente che, il concetto di ingiuria grave, presupposto della revoca della donazione, si colori di connotazioni difficilmente predefinibili, di carattere sociale, quali lo sdegno per chi si dimostra dimentico del bene ricevuto.
Prevale dunque, in dottrina e in giurisprudenza la tendenza ad attenuare, se non addirittura a escludere, il significato giuridico dei sentimenti come situazione soggettiva. Si ritiene che i sentimenti, con un espresso richiamo all'ingratitudine, non abbiano alcuna rilevanza sul piano giuridico.
Ma gli Ermellini non la pensano sempre così. Se lui sposa una donna molto più giovane e le dona tutto, poi lei lo tradisce e scappa, le donazioni sono revocabili.
In questo caso, gli elementi sintomatici dell'ingratitudine, quale causa giustificatrice della revocazione della donazione, possono essere individuati nella relazione adulterina della beneficiaria, così come nella mancanza di qualsiasi solidarietà e riconoscenza, da parte sua, nei confronti del donante, tale da manifestare un malanimo che si traduce in ingiuria grave.

Come deve muoversi dunque, l'interprete?
La Suprema Corte ha ravvisato nell'ingiuria grave una "formula aperta ai mutamenti dei costumi sociali, che trovino riconoscimento nel succedersi della legislazione", giocoforza l'interprete deve prendere in considerazione, il complesso dei valori giuridici attuali dell'ordinamento, impedendogli di potersi semplicemente adeguare a un clima culturale diffuso, per decidere della revocazione o meno della donazione. Se la S.C. invoca la lesione dell'"immagine sociale" del donante, è evidente, il richiamo al diritto inviolabile all'identità personale, che, insieme al diritto all'onore e alla reputazione, e al diritto alla riservatezza, tratteggiano il poliedrico diritto alla dignità umana, nel sistema delineato dall'art. 2 Cost. e dall'art. 8 CEDU, a salvaguardia della vita privata.
Solo in questa prospettiva, la revocazione della donazione diviene un mezzo di tutela di un'obbligazione di riconoscenza gravante sul donatario, a presidio di un diritto assoluto della personalità del donante.

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a cura della redazione PlusPlus24 Diritto

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Mario Finocchiaro

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