Lavoro

Ripetibilità degli indebiti legittima ma con tutele

Esigenza di recuperare le somme e interferenza nei beni dei singoli vanno bilanciate

di Marcello Bonomo e Enrico D’Onofrio

È legittima la ripetibilità degli indebiti, ma la restituzione deve avvenire tenuto conto di alcune tutele. Con la sentenza 8/2023, la Corte costituzionale ha delineato i limiti entro cui è consentita la ripetizione di indebiti retributivi e previdenziali erogati da soggetti pubblici in favore di persone fisiche, nonché i presidi di tutela del legittimo affidamento del percettore alla definitività dell’attribuzione patrimoniale.

L’articolo 2033 del Codice civile disciplina il cosiddetto indebito oggettivo, sancendo il diritto di chi ha eseguito un pagamento non dovuto a ripetere ciò che ha pagato.

In numerosi casi, tale disposizione è stata invocata dagli enti pubblici per ottenere, dal percettore in buona fede, la ripetizione di un’attribuzione indebita. Alcuni giudici, tuttavia, hanno dubitato della legittimità costituzionale della norma, alla luce dei principi – soprattutto di derivazione comunitaria – di tutela del legittimo affidamento.

La Corte, nel ritenere infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate, muove proprio dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu), che tutela il legittimo affidamento delle persone fisiche che hanno percepito la prestazione indebita, non consentendo un’interferenza sproporzionata nei loro beni; ciò nell’ottica di un bilanciamento di interessi fra le esigenze sottese al recupero delle prestazioni indebitamente erogate e la tutela dell’affidamento incolpevole di colui che le ha percepite.

Secondo la Corte costituzionale, l’ordinamento nazionale italiano delinea un quadro di tutele che, se adeguatamente valorizzato, non determina l’illegittimità costituzionale dell’articolo 2033 del Codice civile.

In particolare, la clausola generale di buona fede oggettiva o correttezza (sancita dagli articoli 1175 e 1337 del Codice civile) consente di individuare presupposti di tutela del legittimo affidamento analoghi a quelli di cui si avvale la Cedu. Tra questi assumono rilievo, oltre alla buona fede del percettore: l’apparente effettività del titolo posto a fondamento dell’attribuzione; il tipo di relazione fra il soggetto che eroga l’importo e chi lo percepisce (essendo palese che un soggetto pubblico facilmente ingenera in una persona fisica una fiducia circa la spettanza dell’erogazione effettuata); il tipo di prestazioni erogate (retributive o previdenziali); il carattere ordinario dell’attribuzione; il suo perdurare nel tempo, tale da ingenerare la ragionevole convinzione sul suo essere dovuta.

La Corte chiarisce, altresì, che i rimedi a tutela del legittimo affidamento sono:

il dovere del creditore di rateizzare la somma richiesta in restituzione, tenendo conto delle condizioni economico-patrimoniali in cui versa l’obbligato, che si trova a dover restituire ciò che riteneva di aver legittimamente ricevuto;

l’inesigibilità temporanea o parziale della prestazione in presenza di particolari condizioni personali del debitore correlate a diritti inviolabili (come, ad esempio, nel caso in cui l’iniziativa restitutoria possa pregiudicare i diritti fondamentali della persona).

Inoltre, secondo la Corte, la lesione del legittimo affidamento consente al soggetto percettore di accedere alla tutela risarcitoria nei confronti dell’ente a cui è imputabile l’indebita erogazione della prestazione, in presenza dei presupposti per farne valere una responsabilità precontrattuale.

Solo sulla base di tutti questi presupposti, cui i soggetti pubblici devono dare seguito in sede applicativa, può ritenersi adeguatamente bilanciato l’interesse al recupero di somme indebitamente erogate con la tutela dell’affidamento incolpevole del loro percettore.

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