Rischia il carcere la madre che non dichiara di essere sposata e dà il cognome al figlio
Lo ha stabilito la Corte di cassazione, sentenza n. 15138 depositata oggi, affermando che la recente decisione della Consulta non scrimina la falsa dichiarazione
Rischia una condanna da 1 a 5 anni di reclusione la donna coniugata (nel caso, in via di divorzio) che alla nascita del figlio dichiari falsamente di essere la “madre naturale” del bambino, di non avere notizie del padre, attribuendogli così il proprio cognome. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, sentenza n. 15138 depositata oggi, confermando la sentenza della Corte di appello di Messina che aveva riconosciuto la responsabilità della donna (condannata in primo grado a 18 mesi di reclusione) ai soli effetti civili, perchè il reato era prescritto. Né vale come scriminante, precisa la Suprema corte, la sentenza della Consulta che nel 2012 ha attribuito alle madri la possibilità di dare il proprio cognome ai figli.
Ricapitolando, l’«atto di dichiarazione di nascita», consegnato alla Azienda ospedaliera universitaria per essere poi trasmesso all’Ufficio anagrafe, era stato redatto dalla donna su «mod. B per la nascita di figli naturali riconosciuti dalla sola madre»; la ricorrente aveva poi dichiarato di essere divorziata dal marito, di non avere più contatti con lui né la possibilità di rintracciarlo; attribuendo infine al figlio il proprio cognome e non quello del padre, contrariamente alla sua volontà, conosciuta e taciuta dalla donna. Per ottenere il riconoscimento il padre aveva dovuto attendere la sentenza del Tribunale arrivata dopo tre anni, senza potere nel frattempo instaurare alcun rapporto col figlio.
Nel caso di specie, si legge nella decisione, la dichiarazione era doppiamente falsa. In primis, per non aver dichiarato che il vincolo matrimoniale non era stato ancora sciolto, avendo i due coniugi proceduto unicamente a omologare la pronuncia dichiarativa della separazione consensuale; e poi perché il padre del bambino non soltanto non era irrintracciabile, ma si era presentato al nosocomio per la registrazione, recedendo dal proposito solo dopo avere saputo che la moglie aveva registrato il figlio a suo nome.
La V Sezione penale ha bocciato i diversi motivi presentati. In particolare, con riguardo alla affermazione per cui dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 131 del 2022, “la madre ben avrebbe potuto attribuire il proprio cognome al bambino”, ha affermato: “la circostanza che, per effetto della pronuncia della Corte costituzionale, all’atto della dichiarazione di nascita non possa più procedersi a attribuire al neonato in maniera automatica, il cognome del padre, non significa, all’evidenza che la madre possa tacere che il figlio è nato in costanza di matrimonio e procedere, senza il consenso del padre, alla dichiarazione di nascita e all’attribuzione del cognome, ma soltanto che, come del resto ricordano sia il ricorso che i motivi aggiunti, il neonato acquisti il cognome di entrambi i genitori nell’ordine dagli stessi deciso o, soltanto con il loro consenso, quello di uno di essi”.
“Ne consegue – conclude - che alla nuova disciplina non può annettersi alcuna valenza scriminante e che, alla fine, debbano ritenersi palesemente insussistenti i presupposti di proscioglimento dell’imputata”.