Scuola: insegnante "inetto", sì alla dispensa dal servizio
Per la Cassazione, sentenza n. 17897 depositata oggi, la "libertà di insegnamento" non può tradursi nel suo contrario, e cioè la "libertà di non insegnare"
Legittima la dispensa dal servizio (ex art. 512 d.lgs. n. 297/1994) per la docente di ruolo di storia e geografia, presso una scuola secondaria di secondo grado per "incapacità didattica", da intendersi come "assoluta e permanente inettitudine alla docenza". Alla base del severo giudizio l'adozione di modalità incompatibili con l'insegnamento: il mancato possesso dei libri di testo, disattenzione durante le interrogazioni; assegnazione dei voti in modo casuale; lezioni sostanzialmente improvvisate e con una sequenza priva di un filo logico; gravi imprecisioni nei programmi. La Corte di cassazione, sentenza n. 17897 depositata oggi, ha così respinto il ricorso della docente che si era difesa, tra l'altro, richiamando la "libertà di insegnamento" e l'"autonomia didattica".
In primo grado, il tribunale le aveva dato ragione, e l'aveva reintegrata, sostenendo che il periodo di osservazione, poco superiore ai quattro mesi, era troppo breve per una valutazione compiuta. Nel ribaltare il giudizio, la Corte di appello ha però affermato che era documentato il fatto che la docente, su 24 anni di insegnamento, risultava essere stata assente per complessivi 20 anni (di cui i primi 10 totalmente assente e per i residui 14 era in gran parte in malattia, da 40 a 180 giorni per anno), totalizzando, in definitiva, un totale cumulativo di 4 anni di insegnamento che rendeva impossibile esaminare periodi più lunghi di quelli oggetto di ispezione (5 mesi nel 2015).
La Sezione lavoro ricorda che a seguito della contrattualizzazione del rapporto di impiego pubblico del personale scolastico, al dirigente spetta il potere di dispensarlo dal servizio per incapacità didattica. E tale provvedimento non discende da comportamenti colpevoli dell'insegnante e, pertanto, non implica una responsabilità né postula un giudizio di proporzionalità, poiché non ha carattere sanzionatorio, trattandosi di atto che si limita a constatare l'oggettiva inidoneità a svolgere la funzione di insegnante. È stata, quindi, esclusa la natura disciplinare dell'atto di dispensa per incapacità didattica.
Né rileva che l'insegnante abbia superato il periodo di prova, ben potendo l'incapacità didattica sopravvenire a esso nel corso degli anni successivi.
Riguardo poi la rivendicata libertà individuale d'insegnamento, se è vero che costituisce un valore costituzionale (art. 33, comma 1, Cost.), non è però illimitata, trovando il proprio più importante limite nella tutela del destinatario dell'insegnamento, cioè dell'alunno (art. 31, art. 32, comma 2, e art. 34 Cost.).
E allora, prosegue la Suprema corte, il concetto di "libertà didattica" comprende, certo, un'autonomia nella scelta di metodi appropriati d'insegnamento, ma questo non significa che l'insegnante possa non attuare alcun metodo o che possa non organizzare e non strutturare le lezioni. Una libertà così intesa equivarrebbe a una "libertà di non insegnare" incompatibile con la professione di docente. Né dietro lo schermo della libertà didattica possono nascondersi sciatterie anziché idee degli insegnanti o una certa anarchia piuttosto che progettualità condivisa e partecipata.
Infine, la Cassazione precisa che le prolungate assenze "non hanno costituito elemento di valutazione dell'incapacità didattica, ma solo fatto storico di contorno rispetto al periodo di osservazione e mera circostanza per giustificare la limitazione temporale di tale periodo".