Famiglia

Separazione consensuale viziata da violenza morale solo se è «credibile»

Respinto il ricorso del marito che diceva di aver accettato le condizioni perché minacciato dalla moglie

di Giorgio Vaccaro

Non si possono annullare le condizioni della separazione consensuale, sostenendo che sarebbero viziate dalla violenza morale con cui sarebbe stato estorto il consenso di un coniuge, se la violenza non è, come richiede l’articolo 1435 del Codice civile, «credibile e cioè di tale natura da fare impressione sopra una persona sensata e da farle temere di esporre sé o i suoi beni a un male ingiusto e notevole, avuto riguardo per l’età, il sesso e le condizioni delle persone». Lo ha chiarito la Cassazione che, con la sentenza 22270 del 4 agosto 2021, ha affrontato il delicatissimo concetto della violenza morale che, più spesso di quanto si possa immaginare, esiste e viene esercitata proprio nei giudizi di separazione consensuale che si definiscono con l’omologa di un accordo. Sotto il velo del consenso, infatti, si nascondono talora accettazioni giustificate dalla volontà di evitare conseguenze che si immaginano, per sé o per i figli, peggiori rispetto all’iniquità dell’accordo separativo subìto.

Ma può anche accadere che la violenza morale venga denunciata senza fondamento, come è accaduto nel caso esaminato dalla Cassazione. Alla Suprema corte si è rivolto il marito, che si era già visto respingere in primo grado e in appello la richiesta di annullamento delle condizioni della separazione consensuale, a suo dire inique, e che lui aveva accettato perché la moglie aveva minacciato che altrimenti si sarebbe trasferita con la figlia minore in un’altra città, a 900 chilometri di distanza.

La Suprema corte ha respinto il ricorso, confermando la pronuncia d’appello, perché non ha riconosciuto la «ricorrenza di una minaccia credibile» per due ordini di motivi: da una parte il marito è stato ritenuto «persona sensata, capace, per formazione personale e per condizione, di valutare l’entità del male minacciato, le sue conseguenze, la probabilità della sua realizzazione in concreto»; dall’altra parte, non è stata fornita la prova «del sopravvenire di una causa capace di alterarne la sensatezza, al momento dell’assunzione delle obbligazioni oggetto dell’accordo di separazione», che era la condizione necessaria per impressionarlo e così rendere credibile la minaccia ricevuta.

In buona sostanza, la minaccia della moglie di trasferirsi in un’altra regione con la figlia, se non fosse stato raggiunto un accordo separativo a quelle condizioni, non è stata ritenuta credibile, anche perché lo spostamento della residenza della figlia avrebbe dovuto essere autorizzato dal giudice della separazione, dato che l’ordinamento prevede adeguati strumenti per garantire il mantenimento di regolari e significativi rapporti tra genitori e figli.

Motivazioni che avrebbero portato la Cassazione a respingere il ricorso se non l’avesse dichiarato improcedibile per il mancato deposito della copia della relata di notifica della sentenza impugnata. Il ricorrente è stato condannato a pagare le spese e a versare il doppio del contributo unificato.

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