Sì all’ipoteca sul fondo patrimoniale
La Ctr Lombardia (sezione Brescia) è intervenuta sulla delicata questione dell’aggredibilità del fondo patrimoniale, istituto disciplinato dal codice civile (articoli 167–176) al fine di destinare «beni, immobili o mobili iscritti in pubblici registri, o titoli di credito, a fra fronte ai bisogni della famiglia».
Il tema più delicato è dato dall’interpretazione dell’articolo 170 secondo cui «l’esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può avere luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia». In questo caso l’iscrizione di ipoteca su immobili inseriti in un fondo patrimoniale può essere effettuata? I debiti (nel caso di specie fiscali), contratti nell’attività lavorativa, sono da considerarsi legati ai bisogni familiari? (permettendo l’aggredibilità al fondo?).
Tali quesiti hanno trovato risposta da parte dei giudici nella sentenza 902/25/2018.
Il caso trattato è riferito a una ipoteca iscritta su un immobile conferito in un fondo patrimoniale. I debiti fiscali, alla base dell’iscrizione medesima, risultano essere stati contratti nell’esercizio dell’attività imprenditoriale di una Sas (dalla sentenza si evince che il fondo è in capo all’accomandatario di tale società).
I giudici, in prima battuta, affrontano il tema della legittimità dell’iscrizione ipotecaria. A tale riguardo, la posizione è chiara: l'iscrizione di ipoteca, non essendo atto della fase di esecuzione, avendo finalità conservative ed essendo pertanto priva di effetto spoliativo, rappresenta un mero strumento cautelare posto a garanzia del credito. «Nulla osta pertanto a che un bene facente parte del fondo patrimoniale sia sottoposto a ipoteca, fermo restando che nella permanenza del fondo patrimoniale non sono possibili il pignoramento o altre azioni esecutive pregiudizievoli. La posizione pare in linea con la Cassazione 8881/2018.
Circa la difendibilità del fondo dall’aggressione di creditori (nel caso di specie, l’agenzia della Riscossione) per debiti tributari sorti nell’attività d'impresa, la Ctr ritiene insufficiente il richiamo all’origine del debito tributario, riferito alla società in accomandita semplice, in quanto – in linea con la Cassazione (23876/15) - «il solo fatto che il debito sia sorto nell’esercizio dell'impresa non è idoneo a escludere, in via di principio, che il debito si possa dire contratto per soddisfare tali bisogni».
Infine, a parere dello scrivente, al fine di non tradire la ratio normativa e la funzione che il legislatore ha voluto attribuire al fondo l’assunto andrebbe limitato ai soli casi in cui sussista una inerenza immediata e diretta tra crediti e bisogni della famiglia, evitando di prendere in considerazione qualsiasi legame indiretto e potenziale. In tal senso si è peraltro già espressa la Ctp Milano (sentenza 437/2010).