Famiglia

Sì alla reversibilità al figlio inabile se ha redditi che non superano la soglia per la pensione di invalidità

Cassata la sentenza d’appello che negava la reversibilità solo sulla base della presenza di entrate, senza valutare la loro consistenza

di Selene Pascasi

Per negare la reversibilità della pensione del genitore defunto al figlio maggiorenne inabile al lavoro non basta che questi abbia un reddito, ma occorre anche verificare – per il requisito della “vivenza a carico” – se le sue entrate superino o no la soglia richiesta per ottenere la pensione di invalidità civile totale. Lo precisa la Corte di cassazione con l’ordinanza 23058 del 22 ottobre 2020.

È una figlia, adulta ma inabile, a chiedere la reversibilità della pensione del padre. Domanda bocciata sia dal tribunale che in appello. Per i giudici mancava il presupposto della vivenza a carico del padre al momento del decesso: negli anni oggetto della controversia, il 2009 e il 2010, certificava l’agenzia delle Entrate, aveva percepito un reddito di circa 9 mila euro.

La donna formula ricorso. Era stato violato, contesta, il criterio di valutazione della vivenza a carico del genitore indicato dall’Inps con la circolare 185/2015 e recepito dalla sentenza di Cassazione 14996/2007, secondo cui, ai fini dell’accertamento del requisito di non autosufficienza economica per il riconoscimento del diritto a pensione di reversibilità nei confronti degli invalidi civili totali, il limite di reddito è quello della pensione di invalidità fissata dalla legge 33/1980.

La Cassazione concorda e rimanda la questione in appello. La legge 218/1952, spiega la Corte, sancisce che – per il diritto alla reversibilità – i figli maggiorenni e inabili al lavoro si considerano a carico dell’assicurato o del pensionato se questi, fino alla morte, li aveva sostenuti stabilmente. Si parla in tal caso di “vivenza a carico” che consente ai figli che si presumono a carico (Cassazione 1861/2019) perché minorenni, maggiorenni non autonomi (studenti o universitari fino a 26 anni) o inabili (Cassazione 28608/2018) di fruire del trattamento previdenziale. A goderne, in subordine, genitori ultra 65enni del defunto, fratelli, sorelle e nipoti (Consulta 180/1999) mantenuti fino al decesso.

Ciò che conta – ricorda la Corte – è che il defunto abbia contribuito a mantenere l’inabile in maniera continuativa, rilevante e prevalente anche se non esclusiva e totale (Cassazione 14346/2016). La prova? Per il Dpr 1124/1965 sta nel fatto che, senza quel concorrente mantenimento, il figlio non abbia più sufficienti risorse per cavarsela da sé.

Due, quindi, i requisiti: carenza di mezzi propri e pregresso sostegno del genitore. Quanto al primo requisito, ai maggiorenni inabili – sottolinea Cassazione 32286/2019 – la reversibilità spetta anche qualora godano di redditi purché siano inferiori a quelli richiesti per ottenere la pensione di invalidità civile totale. Nella vicenda, allora, per il riscontro della vivenza a carico (con conseguente riconoscimento della reversibilità) non si doveva guardare solo al reddito della donna ma anche all’eventuale superamento della soglia fissata per fruire della pensione di inabilità.

I giudici di merito, invece, avevano escluso il diritto alla reversibilità basandosi unicamente sui redditi emersi. In altre parole, hanno ritenuto l’insussistenza del requisito di carenza di mezzi propri automaticamente dalla presenza di redditi propri nel 2009 e nel 2010, di circa 9mila euro l’anno. I giudici non hanno considerato che il limite di reddito per beneficiare della pensione di inabilità era di circa 15mila euro.

È per questo che la Corte di legittimità, cassata la sentenza impugnata, rinvia in appello per i dovuti accertamenti e per la corretta applicazione delle norme di riferimento.

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