Società cancellata, ai soci passano diritti e obblighi
Il trasferimento riguarda tutte le posizioni giuridiche attive e passive
Se una società di capitali o di persone viene cancellata dal Registro delle Imprese, ne consegue la sua estinzione e ai suoi soci si trasmettono (oltre che le attribuzioni indicate nel bilancio finale di liquidazione) le posizioni giuridiche attive e passive facenti capo alla società al momento della sua estinzione e non contemplate nel bilancio finale di liquidazione e nel relativo piano di riparto. Pertanto, ad esempio, il contenzioso pendente (attivo e passivo) non si estingue, ma in esso subentrano (ai sensi dell’articolo 110 del Codice di procedura civile) i soci in luogo della società cancellata.
A questa trasmissione dalla società alla comunione dei soci si sottraggono le «mere pretese», vale a dire quelle situazioni di cui il bilancio finale di liquidazione non potrebbe dare rappresentazione (si pensi alla pretesa dell’ex socio di agire in giudizio, dopo la cancellazione della società, per sentir dichiarare la simulazione di un contratto stipulato dalla società cancellata); di esse si presume che la richiesta di cancellazione sia interpretabile come rinuncia. Non si può invece interpretare come rinuncia il caso in cui l’ex socio pretenda il riconoscimento della titolarità di un bene o di un diritto che «se fossero stati conosciuti o comunque non trascurati al tempo della liquidazione … avrebbero dovuto senz’altro figurare» nel bilancio finale di liquidazione.
I contrasti giurisprudenziali
A questo approdo era giunta la giurisprudenza di legittimità (Cassazione, Sezioni Unite, n. 4060, 4061 e 4062/2010 e n. 6070, 6071 e 6072/2013) in una materia assai innovata dalla riforma del diritto societario del 2003, in quanto, anteriormente, si riteneva (idea, dunque, dura a morire) che la società sopravvivesse alla sua formale cancellazione quando fosse stata cancellata in presenza di rapporti giuridici sussistenti e ancora facenti capo a essa.
Nonostante l’intervento delle Sezioni Unite, la questione però non si è placata (Cassazione 1183/2014, 13017/2014, 25974/2015, 23269/2016, 17492/2018, 19302/2018, 15637/2019, 9464/2020) perché si è continuato a discutere sul punto dell’individuazione delle situazioni giuridiche che si debbano reputare estinte per effetto della cancellazione della società. E anche di recente ha continuato a tenere banco (si vedano le decisioni della Cassazione del 14 dicembre 2020 n. 28439, del 9 febbraio 2021 n. 3136, del 25 marzo 2021 n. 8521 e del Tribunale di Torino del 24 febbraio 2021).
L’orientamento
Ora, parrebbe che, a fronte dell’ultima serie di decisioni della giurisprudenza di vertice, la questione si sia nuovamente stabilizzata, nel senso che:
- chi intenda far valere il “passaggio” ai soci dei rapporti giuridici già di titolarità della società estinta, lo deve dimostrare, non solo provandone la sussistenza, ma anche che la mancata menzione, nel bilancio finale di liquidazione, dei rapporti giuridici già facenti capo alla società non equivale a loro rinuncia;
- dal fatto che la società è stata cancellata non si può derivare la presunzione di una volontà di rinuncia ai rapporti giuridici attivi già di titolarità della società anche se si tratta di diritti ancora incerti o illiquidi al momento dell’estinzione della società stessa.
In particolare, quanto alle circostanze in base alle quali possa reputarsi intervenuta una rinuncia al credito (detta anche remissione del debito), la Cassazione (n. 9464/2020) elenca i seguenti presupposti:
- vi deve essere una manifestazione di volontà remissoria da parte del creditore, espressa anche in forma tacita (Cassazione 12765/1998, 13169/2000, 16125/2006);
- la volontà remissoria deve essere inequivoca e cioè tale da essere incompatibile con la volontà del creditore di pretendere l’adempimento (Cassazione 5148/1987, 6116/1990, 7215/1991, 5646/1994, 12765/1998, 3333/1999, 7717/2000, 15180/2003, 11749/2006, 16125/2006, 15737/2010, 11179/2015, 15313/2017);
- nel dubbio, la remissione non si presume (Cassazione 4/1982, 5646/1994, 12765/1998, 13169/2000);
- la dichiarazione di remissione, in quanto negozio unilaterale recettizio, deve essere diretta al creditore e non basta che sia genericamente espressa (Cassazione 2021/1995).
a cura della Redazione di PlusPlus24 Diritto
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