Società con sede all'estero: patti parasociali e giurisdizione
Per l'azione di inadempimento di un patto parasociale relativo a società avente sede all'estero vale il titolo generale di giurisdizione riferito al domicilio del convenuto
Il fenomeno dei patti parasociali risale a epoca antecedente all'intervento di riforma organica della disciplina delle società di capitali (cfr. decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 6).
Secondo la definizione elaborata dai Supremi Giudici i patti parasociali «sono convenzioni con cui i soci od alcuni di essi attuano un regolamento di rapporti - non opponibile alla società - difforme o complementare rispetto a quello previsto dall'atto costitutivo o dallo statuto della società stessa» (Cass. civ., Sez. I, 23 aprile 1969, n. 1290).
Nel periodo ante riforma tali «convenzioni» sono state ritenute contrarie alla legge (cfr. Cass. civ., Sez. I, 31 luglio 1949, n. 2079) e affette da nullità, in quanto non funzionali al perseguimento di interessi meritevoli di tutela (cfr. Cass. civ., Sez. I, 20 settembre 1995, n. 9975).
Allo stato della normativa vigente il codice civile dedica ai patti parasociali gli articoli 2341 bis (rubricato "Patti parasociali") e 2341 ter (rubricato "Pubblicità dei patti parasociali"), introdotti in occasione del menzionato intervento riformatore, i quali, pur costituendo il parametro normativo di diretto riferimento per le società non annoverabili tra quelle emittenti di azioni quotate in mercati regolamentati, non hanno approntato una regolamentazione organica e completa del fenomeno: il legislatore della riforma, lungi dal fornire una definizione di patto parasociale, ha optato per l'individuazione, in termini generali, degli accordi ritenuti, in ragione della finalità perseguita (id est, «stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società»), rilevanti e per la regolamentazione di specifici aspetti (id est, gli obblighi pubblicitari, i limiti di durata e il diritto di recesso).
In particolare, la previsione di un termine legale di durata è tesa a favorire la contendibilità del controllo, impedendo il cristallizzarsi di posizioni dominanti non correlate direttamente al possesso di una partecipazione al capitale sociale di entità corrispondente; l'introduzione di obblighi di natura pubblicitaria è volta ad assicurare la trasparenza degli assetti societari.
L'elemento qualificante dei patti parasociali è costituito dalla distinzione rispetto al contratto di società: il vincolo che discende da tali accordi opera «su di un terreno esterno a quello dell'organizzazione sociale (dal che, appunto, il loro carattere "parasociale" e, conseguentemente, l'esclusione della relativa invalidità "ipso facto")» (Cass. civ., Sez. I, 23 novembre 2001, n. 14865).
La regolamentazione dell'esercizio dei diritti, dei poteri e delle facoltà correlate alla partecipazione sociale, attuata attraverso la stipulazione dei patti parasociali, può riguardare le modalità di espressione del voto negli organi sociali, i diritti in tema di governance societaria e il trasferimento delle azioni.
Tra quelli più diffusi sono annoverabili il sindacato di voto, il sindacato di blocco e il sindacato di gestione o di controllo.
Il sindacato di voto è l'accordo mediante il quale i soci si impegnano a concordare preventivamente il modo in cui voteranno nelle assemblee della società.
Ontologicamente diversi dai sindacati di voto sono i patti di consultazione, accordi mediante i quali i soci si impegnano a discutere le materie oggetto di voto in sede assembleare e a confrontarsi prima della relativa votazione, senza, tuttavia, assumere impegni circa le modalità di esercizio del diritto di voto.
Per sindacato di blocco si intende l'accordo mediante il quale i soci, intendendo conferire stabilità all'assetto proprietario, si impegnano a non alienare a terzi le loro quote di partecipazione ovvero a non consentire l'ingresso di estranei in qualità di soci.
Il sindacato di gestione (o di controllo) è il patto finalizzato all'esercizio, anche congiunto, di un'influenza dominante, che «rimette le scelte gestorie alla volontà maggioritaria dei relativi contraenti» (Cass. civ., Sez. I, 24 maggio 2012, n. 8221).
Caratteristica precipua dei patti parasociali è il rilievo obbligatorio ed extra sociale: il vincolo sorto dalla stipulazione del patto rimane limitato ai paciscenti e non si estende né agli altri soci, né alla società, la quale, quale soggetto giuridico distinto dai soci, ne rimane totalmente estranea al punto che la violazione del patto non comporta, di per sé, l'invalidità o l'inefficacia delle deliberazioni degli organi sociali.
Le pattuizioni negoziali cristallizzate nel patto parasociale sono fonte di obbligazioni di fare o di non fare, il cui inadempimento si risolve nell'applicazione dei principi e delle norme generali in tema di obbligazioni: il comportamento del paciscente in contrasto con la disciplina emergente dal patto comporta «conseguenze meramente risarcitorie […] sicché non è legittimamente predicabile, al riguardo, né la circostanza che al socio stipulante sia impedito di determinarsi autonomamente all'esercizio del voto in assemblea, né quella che il patto stesso ponga in discussione il corretto funzionamento dell'organo assembleare o la formazione del capitale» (Cass. civ., Sez. I, 5 marzo 2008, n. 5963, massima rv. 602232 - 01).
Con la sentenza n. 26984 del 26 novembre 2020 le Sezioni Unite della Corte di cassazione sono state chiamate a pronunciarsi in ordine alla sussistenza della giurisdizione del giudice italiano con riferimento alla domanda giudiziale vertente sull'inadempimento di un sindacato di gestione relativo a società avente sede all'estero.
Nella fattispecie scrutinata Tizio, dopo aver costituito con altro soggetto la società Alfa S.r.l. con sede in Polonia, ha stipulato con Caio, «interessato a entrare a far parte della compagine di quella società», due patti parasociali, aventi, rispettivamente, a oggetto le «modalità di acquisto delle quote societarie» da parte del medesimo Caio e gli «obblighi di gestione» che Tizio «avrebbe dovuto osservare nella qualità di amministratore unico della società».
Caio, avendo rilevato «carenze dell'attività gestoria» svolta da Tizio, lo ha convenuto in giudizio «per sentirne dichiarare la responsabilità da inadempimento del patto parasociale e ottenerne la condanna al risarcimento del danno».
Tizio, costituitosi in giudizio, ha eccepito, in via pregiudiziale, il difetto di giurisdizione del giudice italiano, difetto dichiarato sia in primo che in secondo grado.
Caio ha dedotto, quale motivo del ricorso per cassazione, che «erroneamente il giudice d'appello abbia applicato l'art. 5, n. 3, del regolamento n. 44/01, in luogo del titolo di giurisdizione generale fissato dal precedente art. 2, calibrato sul domicilio del convenuto nel territorio di un determinato Stato membro».
Le Sezioni Unite hanno ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice italiano.
Il referente normativo è stato individuato nel Regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, testo normativo del quale i Supremi Giudici hanno valorizzato - ritenendolo «illuminante» - l'undicesimo considerando, dal quale si ricava che «[l]a giurisdizione dei giudici dello Stato membro nel cui territorio il convenuto ha il proprio domicilio costituisce […] la regola generale».
A tale regola, espressione di uno degli scopi generali del Regolamento, consistente nella «ricerca di un alto grado di prevedibilità delle regole di competenza giurisdizionale», è possibile derogare, secondo l'argomentare del Supremo Collegio, «in casi limitati ed espressamente enumerati, che non tollerano interpretazioni estensive, le quali produrrebbero l'effetto di privare le parti della scelta, che a loro altrimenti spetterebbe, del foro giurisdizionalmente competente, rischiando di condurle dinanzi a un giudice che non è quello del domicilio di alcuna di esse».
In particolare, l'articolo 22 del Regolamento «enumera le competenze esclusive che si applicano "indipendentemente dal domicilio"»: «occorre quindi, per poter escludere che la controversia sia devoluta alla competenza giurisdizionale del giudice italiano, che è il giudice dello Stato membro in cui è domiciliato il convenuto, verificare se sia applicabile uno dei titoli giurisdizionali previsti dall'art. 22 del regolamento».
Nel caso scrutinato le Sezioni Unite hanno escluso l'applicabilità del punto 2 del menzionato articolo 22, insuscettibile di interpretazione estensiva, il quale «riserva allo Stato membro in cui la società ha la sua sede» le controversie «sulla validità, nullità o scioglimento delle società o persone giuridiche e sulla validità delle decisioni dei rispettivi organi».
Il sindacato di gestione «non è capace, di per sé, d'interferire direttamente con le decisioni, perché esplica effetti obbligatori, circoscritti alle sfere giuridiche degli stipulanti, e postula, per avere attuazione, che l'amministratore recepisca le direttive del sindacato e autonomamente decida di dare ad esse esecuzione»: «l'ambito circoscritto alle parti dell'efficacia dei patti non consente di ritenere che essi possano comunque incidere sulla "validità delle decisioni" degli organi della società, la quale rispetto ai patti è comunque terza».
Conclusivamente, i Supremi Giudici hanno ritenuto l'operatività del «titolo generale di giurisdizione, che è quello riferito al domicilio del convenuto».