Lavoro

Somministrazione, temporaneità valutabile pure in caso di decadenza

Per i rapporti precedenti il decreto Dignità valgono le indicazioni della Corte di giustizia europea

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di Angelo Zambelli

La Cassazione, con la sentenza 29570/2022 dello scorso 11 ottobre, torna per la seconda volta in pochi mesi (dopo la sentenza 22861/2022 del 21 luglio) a pronunciarsi sulla possibilità che, nonostante l'intervenuta decadenza del prestatore dall'impugnazione del singolo contratto di somministrazione a termine – accertata in entrambi i gradi di merito –, il reiterato invio mediante missioni di un lavoratore presso la medesima impresa utilizzatrice possa condurre all'accertamento di un'ipotesi di ricorso abusivo all'istituto della somministrazione alla luce delle indicazioni della Corte di Giustizia europea.
Nel caso sottoposto ai giudici di legittimità la Corte d'appello di Brescia, esclusa la configurabilità di un unico rapporto di lavoro in presenza di plurimi contratti e confermata la decadenza dalla loro impugnazione in cui era incorso il lavoratore, aveva escluso la configurabilità di un uso distorto, in frode alla legge, della somministrazione a termine.
Il lavoratore ha dunque richiesto alla Cassazione di valutare la congruità dell'interpretazione fornita dalla Corte territoriale rispetto al dettato dell'articolo 5, comma 5 della direttiva 2008/104 sul lavoro tramite agenzia.
Sul punto, le pronunce della Corte di giustizia richiamate dalla Corte di legittimità (sentenze 14 ottobre 2020, causa C-681/18 e 17 marzo 2022, causa C-232/20), individuata la «temporaneità» quale requisito immanente e strutturale del lavoro somministrato, impongono di verificare se la pluralità di missioni del medesimo lavoratore presso la stessa impresa determini in concreto una complessiva durata dell'attività presso l'utilizzatore tale da non poter «ragionevolmente qualificarsi temporanea»: da ciò potrebbe infatti ricavarsi un ricorso abusivo al lavoro somministrato in base all'articolo 5, comma 5, della direttiva 2008/104.
Sulla scorta di tali considerazioni la Cassazione, rilevato che la disciplina dettata dal Dlgs 81/2015 in tema di somministrazione a termine applicabile al caso di specie (ante decreto Dignità) non prevede alcun limite temporale alla durata massima delle missioni; non prevede causali giustificative; non contempla un numero massimo di missioni dello stesso lavoratore presso la medesima impresa utilizzatrice; non pone limiti a proroghe o rinnovi (in sintesi, nulla, se non i limiti quantitativi previsti dal Ccnl), ha ritenuto, demandando al giudice del rinvio tale indagine, che l'intervenuta decadenza del lavoratore dall'impugnazione dei singoli contratti impedisce che la vicenda contrattuale sia fonte di azione diretta nei confronti dell'utilizzatore, ma che tale successione di missioni può considerarsi «fattualmente» rilevante, quale «antecedente storico», per la valutazione sulla possibile elusione del requisito della «temporaneità» che, secondo le statuizioni della Corte di Giustizia, si ricava dalla direttiva 2008/104.
Il principio appena riportato, secondo cui i contratti precedenti possono essere tenuti in considerazione quali «antecedenti storici» seppur non impugnati nei termini decadenziali, non può evidentemente estendersi né ai contratti a tempo determinato - la cui disciplina, al contrario della somministrazione, ha da tempo numerosi e ben definiti vincoli e limiti (analiticamente richiamati dalla Cassazione nella sentenza in esame), senz'altro idonei a tutelare il lavoratore dall'abuso di tale strumento - né, pare di poter dire, ai contratti di somministrazione a termine stipulati successivamente all'entrata in vigore del decreto Dignità, che ha esteso tali limiti anche alla somministrazione.

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