Sport da contatto, nessun risarcimento per le lesioni da colpo irregolare anche in allenamento
Lo ha stabilito la Corte di cassazione, sentenza n. 4707 depositata oggi, chiarendo che non costituisce illecito civile in mancanza del carattere ingiustificato dell'azione dell'atleta
Negli sport da contatto non scatta il risarcimento del danno neppure per gli infortuni occorsi in allenamento, a meno di non provare che l'azione che ha prodotto la lesione sia estranea alla funzionalità della pratica sportiva. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, sentenza n. 4707 depositata oggi, respingendo il ricorso di un uomo che aveva riportato una invalidità permanente del 7%, nel corso di una lezione di Mixed Martial Arts, dopo essere stato colpito nelle parti basse.
Già la Corte di appello di Trieste aveva affermato che i falli commessi durante lo svolgimento di un'attività sportiva godevano della copertura della relativa scriminante se ed in quanto frutto di condotte colpose e funzionali al gioco. E siccome l'arte marziale in questione "esigeva il contatto fisico più completo che esistesse", il fallo inferto restava "in necessario collegamento funzionale con il modello sportivo di riferimento".
Proposto ricorso, la Terza Sezione civile ha ricordato che nella pratica sportiva in generale, il ricorso alla violenza, nel caso di violazione della regola, "si traduce in illecito civile se è tale da non essere compatibile con le caratteristiche proprie del gioco nel contesto nel quale esso si svolge". Il quid pluris richiesto dunque si traduce in una "eccedenza" che segna "la rottura del confinamento dell'illecito nei margini della pratica sportiva perché l'azione si presenta come non funzionale allo scopo sportivo o comunque non compatibile con quest'ultimo".
Né, prosegue la decisione, la natura di disciplina sportiva "a violenza necessaria" muta il quadro dei principii illustrati, "perché anche in questo ambito non è predicabile la coincidenza mera di illecito sportivo ed illecito civile". Anche nel campo di uno sport caratterizzato da un contatto fisico assai elevato si pone infatti la questione di un uso della violenza sproporzionato rispetto alla violenza postulata dalla disciplina sportiva e tale da renderla estranea allo scopo sportivo.
Si pensi al caso, argomenta la Corte, dei colpi vietato, per es. sotto la cintola, sulla nuca, nel pugilato: "se tali colpi sono inferti nel corso dell'incontro fra i due contendenti nel pieno dell'attività agonistica è sicuramente consumato l'illecito sportivo, ma non può dirsi che si verifichi automaticamente l'illecito civile; se quei colpi sono inferti invece, sempre sull'onda dell'aggressività indotta dall'agonismo, con il contendente già al tappeto, emerge la configurabilità dell'illecito non solo sportivo, ma anche civile, per la non funzionalità dell'aggressione allo scopo sportivo, essendo il contendente già al tappetto".
Con riguardo poi alla specifica questione dell'aver subito il danno nel corso di un allenamento e non durante una competizione dove maggiore è l'ardore agonistico, la Cassazione fa un distinguo rispetto agli sport da contatto fisico solo eventuale. Soltanto in quest'ultima ricorrenza, affermano i giudici, la condizione dell'allenamento "dovrebbe ridurre l'agonismo e le sue diverse sfaccettature (energia, aggressività, velocità, istintività di reazioni), rendendo il contatto violento tendenzialmente meno giustificato". Nello sport da combattimento, invece, "anche l'allenamento, benché mancante del profilo agonistico, è connotato dal contatto fisico e dall'uso della forza, per cui la soglia di tolleranza della violenza resta più elevata rispetto all'allenamento di uno sport a violenza soltanto eventuale e nel quale la componente dell'impatto fisico dovrebbe trovare maggiore giustificazione nelle modalità agonistiche, estranee all'allenamento".
Da qui l'affermazione del principio di diritto per cui "nello sport caratterizzato dal contatto fisico e dall'uso di una quota di violenza la violazione nel corso di attività di allenamento di una regola del regolamento sportivo non costituisce di per sé illecito civile in mancanza di altre circostanze rilevanti ai fini del carattere ingiustificato dell'azione dell'atleta".