Professione e Mercato

Studio del Notariato sull'impresa familiare

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di Angelo Busani


L'impresa familiare, nonostante il suo ruolo residuale nel panorama delle norme che disciplinano l'esercizio delle attività economiche, è un modello tanto diffuso quanto problematico da gestire sul piano operativo, in quanto la sua impostazione mediante un modello “collaborativo” (e non con un modello “associativo” come la società) genera un complesso di rapporti di debito/credito (tra imprenditore e familiari) di complessa valutazione.
Le complicazioni si presentano sia nella fase di ordinaria routine dell'impresa, sia, soprattutto, nelle fasi “straordinarie”: si pensi alle fattispecie di fuoriuscita del collaboratore dall'impresa, di cessazione dell'impresa, di circolazione dell'azienda per effetto di cessioni e conferimenti in cui, oltre a valutare l'impatto impositivo dell'eventuale trasferimento dei beni, occorre considerare come trattare fiscalmente il diritto del familiare e l'eventuale liquidazione del medesimo, nel rapporto con l'imprenditore.
Un tentativo di offrire un quadro di chiarezza a questo insieme di tematiche è offerto dallo Studio n. 227-2015T del Consiglio Nazionale del Notariato, nel quale si prende, tra l'altro, in esame il tema della cessione a titolo oneroso dell'azienda condotta in regime di impresa familiare e del relativo realizzo di plusvalenze.
Una questione interpretativa particolarmente rilevante è dunque quella dell'imputazione ai familiari dell'imprenditore, ai sensi dell'art. 5, comma 4, del Tuir, dei componenti pluriennali del reddito di impresa e, in particolare, appunto, delle plusvalenze derivanti dalla cessione dell'azienda familiare.
Lo Studio del Notariato rileva che, secondo un primo orientamento, il diritto del familiare ai beni dell'impresa acquistati con gli utili e il diritto agli incrementi dell'azienda, compreso l'avviamento (previsti dall'articolo 230-bis del codice civile) non avrebbero natura reddituale e non sarebbero dunque ricompresi nell'ambito applicativo dell'articolo 5, comma 4, del Tuir; le plusvalenze d'impresa dovrebbero di conseguenza essere tassate solo in capo al soggetto imprenditore.
Altra impostazione è invece quella secondo cui l'imputazione ai familiari pro quota dei redditi dell'impresa commerciale debba riguardare anche i redditi a formazione pluriennale. La formulazione e il fondamento dell'articolo 5, comma 4, del Tuir, non consentirebbero, in questa prospettiva, di distinguere tra i componenti che concorrono a formare il reddito, essendo il concetto di imputazione riferito unitariamente al reddito prodotto e, nel caso di impresa commerciale, determinato ai sensi degli articoli 81 e seguenti del Tuir.
La prassi dell'Agenzia delle Entrate (risoluzione n. 78/E del 31 agosto 2015) sposa il primo orientamento, derivandone l'intera imputazione in capo all'imprenditore della plusvalenza realizzata in caso di cessione dell'azienda familiare.
L'eventuale liquidazione effettuata ai familiari da parte dell'imprenditore sarebbe, inoltre, in questa prospettiva, irrilevante fiscalmente: sia perché non costituirebbe reddito per costoro; sia perché la stessa somma liquidata non sarebbe deducibile dal reddito di impresa.

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