Civile

Sul richiedente lo status di apolide grava un onere “attenuato” di prova nel processo

di Paola Rossi

La Corte di cassazione con la sentenza n. 4262/15 ha affermato che l'onere della prova dello straniero che richieda il riconoscimento del proprio status di apolide, di non aver titolo alla cittadinanza in altro Paese, sia un onere “attenuato”. Il che vuol dire che il giudice di merito è tenuto a verificare ex officio tutte le condizioni sostanziali, e non solo quelle formali, che dimostrano l'assenza del diritto alla cittadinanza in uno Stato diverso dall'Italia.

Il caso concreto legato alla Bosnia - Nel caso specifico il giudice di appello che aveva riformato la sentenza di primo grado aveva negato il riconoscimento dello status affermando che il richiedente non aveva fornito la prova dell'impossibilità giuridica di ottenere la cittadinanza bosniaca del nuovo Stato emergente dalla dissoluzione della Jugoslavia. Ed era stata esclusa la sufficienza della prova nella mera assenza della persona nel registro anagrafico della città di Mostar. Ma come stigmatizza la Cassazione il giudice di seconde cure ha mancato di integrare la prova dell'apolidia attraverso la propria attività ex officio. Citando le Sezioni unite la sentenza afferma infatti il dovere del giudice di valutare complessivamente la situazione sostanziale e non fermarsi a un esame formalistico dei riscontri documentali o più in generale probatori acquisiti.

La posizione del ministero dell'Interno - Il ministero dell'Interno in primo grado non aveva mai contestato l'origine bosniaca dei genitori della richiedente e poi nell'impugnazione aveva puntato i motivi d'appello sulla mancata prova dei fatti produttivi della perdita o del mancato acquisto della cittadinanza bosniaca o italiana. Qui la Cassazione esclude l'esame del giudice di appello sulla circostanza non contestata, ma conclude dicendo che tale giudice non ha adempiuto ai propri doveri istruttori colmando i dubbi e le incertezze sulla sussistenza dei presupposti del riconoscimento dello status. Infatti, in base al principio iura novit curia avrebbe potuto verificare agevolmente che la legge bosniaca applicabile ratione temporis al caso concreto escludeva per la richiedente la possibilità di ottenere la cittadinanza del Paese ex-jugoslavo. Infatti, la coatituzione del nuovo Stato europeo riconosce la cittadinanza a chi sia nato all'estero da almeno un genitore bosniaco successivamente al 1995 mentre la richiedente era nata nel 1986 e non aveva instaurato alcun altro legame con il Paese di origine dei genitori, neanche vi si era mai recata.
La Corte di cassazione boccia il ricorso del ministero che aveva ottenuto ragione in appello e ritiene sufficienti gli accertamenti emergenti dal processo e decidendo nel merito riconosce la condizione di apolidia alla cittadina straniera che l'aveva richiesta.

Il diritto a una vita libera e dignitosa - Al pari degli stranieri anche gli apolidi hanno diritto ha condurre un'esistenza libera e dignitosa nello Stato italiano. Infatti, come affermano i giudici di legittimità a questa categoria di persone va applicata la protezione garantita dall'articolo 2 della Costituzione a tutela di diritti inviolabili e va quindi affermata l'equiparazione ai cittadini stranieri in tema di diritti della persona umana. Tra questi - come il diritto alle indennità di inabilità o invalidità - la Corte costituzionale ha anche riconosciuto l'accesso alle prestazioni connesse a diritti fondamentali costituzionalmente protetti erogate da Regioni e Province autonome. Quindi una volta accertata la condizione di apolidia all'interessato va rilasciato a norma dell'articolo 17 della Convenzione del 1954 un “permesso di soggiorno” valido per lo svolgimento dell'attività lavorativa.

Corte di Cassazione – Sezione VI civile-1 –Sentenza 3 marzo 2015 n. 4262

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©