Penale

Sulla diffamazione è caduto nel vuoto il monito della Consulta

Dopo 12 mesi, la settimana prossima il giudizio di incostituzionalità della previsione del carcere per i giornalisti

di Giovanni Negri

La bocciatura è doppia. Per l’attuale versione delle norme sulla diffamazione che tuttora prevedono il carcere per i giornalisti, ma anche per il Parlamento, che nell’anno di tempo che aveva a disposizione, nulla ha fatto per arrivare a una riforma condivisa. La prossima settimana, infatti, si svolgerà l’udienza della Corte costituzionale, al cui termine la disciplina attuale sarà giudicata illegittima. Cade così nel vuoto, per la seconda volta, quel monito rafforzato che, nelle intenzioni della Consulta, rappresenta una frontiera più avanzata della leale collaborazione tra organi costituzionali.

Lo scorso 26 giugno, infatti, la Corte affidò un anno di tempo al Parlamento per intervenire e trovare un nuovo punto di equilibrio tra libertà di manifestazione del pensiero e tutela della reputazione. Un bilanciamento diverso e tanto più necessario alla luce della evoluzione della tecnologia e delle sue applicazioni ai mezzi di comunicazione. Dove il riferimento era agli effetti di amplificazione degli addebiti diffamatori diffusi su social network e motori di ricerca.

A chiedere la rimozione della detenzione per i giornalisti, del resto, è da anni la Corte europea dei diritti dell’uomo che ne ha messo più volte in evidenza i pericoli per la libertà di informazione e la forza intimidatoria per i giornalisti.

Dalla Corte costituzionale arrivava anche una serie di indicazioni per il Parlamento, che peraltro da tempo discute del tema, invitando a disegnare un sistema di tutela che prevedesse sia il ricorso a pene non detentive, rimedi riparatori civilistici ed efficaci misure di natura disciplinare. Uno spiraglio veniva lasciato al carcere che avrebbe dovuto sanzionare solo i casi di estrema gravità, con condotte di incitamento all’odio o di istigazione alla violenza.

Una strada che allora la Consulta aveva già in parte tracciato e che le forze politiche hanno preferito non percorrere. Così, dopo il caso del fine vita, anch’esso trascurato dalle Camere, che non sono andate oltre rituali giri di audizioni, anche sulla diffamazione a dovere essere registrato è un nulla di fatto.

Per evitare il terzo indizio che, a questo punto farebbe forse più di una prova, non resta che il tema dell’ergastolo ostativo, sul quale la Corte ha rinviato il verdetto di incostituzionalità al 10 maggio 2022.

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