Supertassa sui diritti di opzione
È soggetto a
È questa la decisione della sezione tributaria della Cassazione 10240 del 26 aprile 2017: una sentenza sorprendente, non solo perché inverte l’unico precedente di legittimità conosciuto (la sentenza 11466/2005), ma anche perché suffraga la conclusione della
Quanto al superamento del precedente, la sentenza 10240/2017 lo svaluta, affermando che si tratta «di un caso non perfettamente coincidente», quando invece, leggendo la sentenza 11466, si nota con evidenza che si verte nella medesima fattispecie, con l’unica differenza che, nel caso del 2005, si trattava di una cessione di diritti di opzione effettuata nell’ambito di una ricapitalizzazione a seguito di perdite (con la cessione dei diritti di opzione, in quel caso, si consentiva l’ingresso di un nuovo socio, il quale, acquistando il diritto di sottoscrivere la ricostituzione del capitale azzerato a causa di perdite, diveniva socio della società in questione al posto dei vecchi soci).
Circa poi il ragionamento che conduce alla sua decisione 10240/2017, la Cassazione afferma, in sostanza, che la cessione dei diritti di opzione non è una cessione di partecipazioni (fattispecie, quest’ultima, tassata con l’imposta di registro in misura fissa); e che, quindi, trattandosi di un atto dotato di “contenuto patrimoniale”, il quale non trova una specifica disciplina nell’ambito della legge di registro, deve essere ricompreso nell’ambito applicativo della norma residuale di cui all’articolo 9, Tariffa parte prima, allegata al Dpr 131/1986, e cioè quella che, appunto, dispone l’aliquota del 3% alla base imponibile rappresentata dal prezzo pattuito.
Che la cessione dei diritti di opzione non sia una cessione di partecipazioni è evidente, e non c’è bisogno di indugiare granché sul punto. Ci sarebbe però da operare una riflessione (di cui nella sentenza 10240/2017 non c’è evidenza) se possa essere plausibile che l’atto “preparatorio”, preordinato rispetto alla stipula di un altro atto, abbia una tassazione maggiore rispetto all’atto “principale”.
Riflessione quanto più necessaria tanto più si pensi che il legislatore ha ritenuto di prevedere (con evidente finalità di agevolazione) l’imposta di registro in misura fissa per una rilevantissima manifestazione di capacità contributiva qual è quella rappresentata dal negozio avente a oggetto la trasmissione di quote di partecipazione al capitale di una società.
Se, dunque, un soggetto acquista un’opzione al fine di sottoscrivere un aumento di capitale (altra fattispecie che il legislatore tassa con l’imposta di registro in misura fissa) vi è una duplice manifestazione di capacità contributiva o ve n’è una sola ? La risposta pare non poter essere che in quest’ultimo senso: l’acquisto dell’opzione è il necessario “mezzo tecnico” affinché un “non-socio” possa partecipare a un aumento di capitale e acquisire una quota di partecipazione nella società emittente. Chi spende per comprare un’opzione, calcola l’esborso complessivo (il prezzo dell’opzione e il prezzo della partecipazione) per ottenere il risultato finale dell’acquisizione della qualità di socio. Appare veramente non condivisibile ritenere che il primo segmento dell’operazione debba scontare un’imposta proporzionale e il secondo segmento un’imposta fissa.
Corte di cassazione, sentenza 26 aprile 2017, n. 10240