Civile

Tarsu, esenzione solo nel caso in cui i locali sono destinati all'effettivo svolgimento del culto religioso

Ai fini del riconoscimento dell'esenzione dalla tassa è necessario che il Comune impositore accerti l'effettiva destinazione dei locali al culto religioso; circostanza, quest'ultima, che deve già essere richiamata dal contribuente nella denuncia di occupazione dei locali

di Giuseppe Durante*

L'annosa questione degli immobili destinarti ad attività religiose o più in generale di culto non hanno creato problemi solo per l'IMU ma anche in materia di TARSU/TARI .

In particolare, ai fini del riconoscimento dell'esenzione dalla tassa è necessario che il Comune impositore accerti l'effettiva destinazione dei locali al culto religioso; circostanza, quest'ultima, che deve già essere richiamata dal contribuente nella denuncia di occupazione dei locali .

E' questo un dato formale non emendabile sub judice da part dell'occupante. In altre parole,ai fini della esenzione TARI, occorre accertare non solo che i locali appartengano ad una comunità religiosa, quale che sia il culto da essa esercitato purché non contrario ai principi fondamentali dell'ordinamento, ma anche che nei locali per i quali è richiesta l'esenzione dal pagamento del tributo, la comunità si riunisca effettivamente al fine unico di esercitare il culto e non ad altri fini.

Detta verifica deve eseguirsi in concreto e non in astratto; pertanto, non è sufficiente solo la classificazione catastale dei locali come edifici destinati al culto, né si può presumere che tutti i locali così classificati siano effettivamente destinati al culto.

E' quanto ha dispoto la Corte di Cassazione con la Sentenza N°18137 del 06 giugno 2022 .

In altre parole, gli Ermellini hanno subordinato il beneficio dell'esenzione TARI alla configurabilità di "condizioni oggettive" da cui è possibile evincere inequivocabilmente la destinaizone dei locali all'esercizio di attività religiose. Il dato formale indicato in dichiarazione dall'occupante non è sufficiente per ottenere l'esenzione dal tributo; è necessaria altresì la configurabilità di fatto riferita alla destinazione dell'immobile all'attività di culto; circostanza che l'ente locale dovrà verificare, anche pervio accesso in loco. Secondo i giudici di Legittimità solo la coesistenza del dato formale unitamente a quello sostanziale può giustificare la richiesta di non debenza TARI da parte del contribuente.

Si tratta in sostanza dello stesso principio applicato ab origine in vigenza ICI ex art.7, comma 1 del D.lgs.n°504/1992 poi traslato per l'IMU riferit aagli immobili.

il caso

La questione impositiva posta al vaglio degli Errmellini è riconducibile nel caso di specie ad una Associazione che con separati ricorsi impugnva due cartelle di pagamento relative alla Tarsu degli anni 2007 -2011 pretesa dal Comune, ritenendo il Comune impositore che i locali oggetto di tassazione erano adibiti al culto, ed in quanto tali, beneficiano della esenzione prevista dal Regolamento comunale predispoto dall'ente locale in materia di Tarsu. I ricorsi riuniti venivano accolti dal giudice tributario di prime cure. Il Comune proponeva nei termini di legge due atti di appello accolti dalla CTR in riforma della sentenza di primo grado.In particlare, in sede di graveme, veniva rilevato che l'edificio era accatastato in categoria E/7 e, pertanto, non sussisteva in capo alla associazione nessun obbligo di presentazione di una domanda di esenzione dal tributo; tuttavia correttamente il Comune aveva limitato la propria pretesa tributaria ai locali accessori al luogo del culto pari a 55 mq, poiché il concetto di edificio destinato al culto non comprende anche il legame funzionale di quei locali accessori e pertinenziali rispetto all'edificio principale autonomi strutturalmente come ad esempio l'atrio, il retro e i servizi igienici; si tratta, quindi, di locali non strettamente connessi alla attività di culto e pertanto evidentemente incompatibili con lo svolgimento di qualsiasi attività religiosa. Avverso le predette sentenze del giudice tributario di appello l'Associazione proponeva ricorso per cassazione, affidandosi a quattro motivi di censura ex art.360 cpc. Si costituiva in sede di legittimità il Comune con rituale controricorso.

Il principio giurisprudenzial espresso dalla Corte di Cassazione nella Sentenza N°18137 del 06 giugno 2022

Con riferimento alla questione impositiva posta al vaglio dei giudici di Legittimità, gli stessi hanno espresso il principio secondo cui , ai fini della esenzione Tarsu, occorre accertare non solo che i locali appartengano ad una comunità religiosa, quale che sia il culto da essa esercitato purché non contrario ai principi fondamentali dell'ordinamento, ma è altresì necessario che nei locali per i quali è richiesta l'esenzione dal tributo la comunità si riunisca per esercitare effettivamente il culto escludendo, pertanto, altri fini evidentemente estranei rispetto all'attività di culto. Hanno rilevato ancora gli Ermellini che detta verifica, deve eseguirsi in concreto e non in astratto. Pertanto, non è sufficiente la classificazione catastale dei locali come edifici destinati al culto, né si può presumere che tutti i locali così classificati siano effettivamente destinati al culto. La stessa norma regolamentare così come predisposta dall'ente locale deve essere interpretata in termini coerenti con la norma primaria che disciplina il tributo nonché con i principi posti dalla Direttive UE. E' quindi necessario, secondo quanto disposto dai giudici di Legittimità che si accerti se effettivamente il contribuente abbia dichiarato che i locali sono destinati di fatto al culto religioso nella denuncia originaria o in quella di variazione, e che, tale effettiva destinazione sia stata debitamente riscontrata dal comune impositore, in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o in alternativa enucleabili da idonea documentazione; con la precisazione che, la mancanza del primo di questi requisiti e cioè, la denuncia o la variazione non è emendabile in giudizio, mentre in caso di contestazione lo è il secondo requisito e cioè, la prova della effettiva destinazione dei locali (Cass. 2125/2017; Cass. 21011/2021; Cass. 14037/2019; Cass. 31460/2019). In altre parole, non può essere sanata sub judice l'omissione del soggetto che occupa i locali riferita alla dichiarazione di occupazione che non menziona la desinazione dell'immobile ad attività religiose.

Diversamente, è possibile davanti al giudice tributario adito delegittimare la pretesa tributaria del Comune impositore,dimostrando attraverso documentazione idonea che richiama circostanze oggettive, l'effettiva destinazione della superficie occupata ad attività destinate al culto religioso.

Secondo la Suprema Corte, al dato formale (identificativi catastali dell'immobile, indicazione nella dichiarazione di occupazione) deve affiancarsi necessariamente il dato sostanziale, ossia, l'effettiva destinazione dei locali ad attività religiose e di culto desumibile, tale circostanza, da una attenta e scrupolosa verifica del Comune che previo accesso in loco.

Con riferimento al caso che ci opccupa, come già segnalato, anche il Regolamento del Comune ha messo in evidenza la necessità del requisito concreto,laddove, parla di "edifici adibiti al culto" e non di edifici classificati come destinati al culto e di locali "strettamente connessi all'attività del culto stesso".

La norma regolamentare, inoltre, deve essere interpretata in termini coerenti con la norma primaria nonché con i principi posti dalla Direttive UE. Ne deriva, la necessita imprescindibile che il Comune stesso accerti se effettivamente la parte contribuente abbia dichiarato che i locali sono destinati al culto nella denuncia originaria o in quella di variazione, e che tale destinazione sia stata effettivamente e debitamente riscontrata in considerazione ad elementi obiettivi direttamente rilevabili in loco oppure accertabili attraverso l'ausilio di idonea documentazione; con la precisazione che, la mancanza del primo dei requisiti e cioè la denuncia o la variazione, come già segnalato, non è emendabile in giudizio, mentre in caso di contestazione lo è il secondo requisito e cioè, la prova della effettiva destinazione dei locali all'pesecizio di attività religiose.

* DURANTE Giuseppe, Professore a contratto in Diritto tributario presso la Facoltà di Economia dell'Università LUM "G. De Gennaro" in Bari – Avvocato Tributarista- Esperto di Fisaclità Locale e Processo Tributario

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